Il costruttore di maricelli

Mio padre amava costruire maricelli. Appena arrivava al mare cominciava l’opera. Edificava con due pietre piatte più grandi un sedile in riva al mare e cominciava la sua impresa edile. Radunava in semicerchio i sassi più grandi, spostandoli o facendoli scivolare fino a capovolgerli, riportando alla luce il loro versante più scuro, un verde intenso abitato da alghe, granchi e lumache. Poi creava un doppio strato di cinta per la sua piscina naturale. Lavorava sodo. A volte finiva l’opera quando dovevamo rientrare a casa.
Quand’ero piccolo il maricello era fatto apposta per me. Ero felice di entrare in quella conca paterna, mi sentivo beato e protetto. Però quando diventai più grande e andai in mare aperto mio padre continuò la sua edilizia marina, con la stessa solerzia, pur senza un beneficiario visibile. Ritrovò la motivazione affettiva a costruire darsene quando arrivarono i nipoti. Fece maricelli per loro, a volte a due piazze, per evitare conflitti interportuali tra i piccoli usufruttuari. Ma continuò nella sua arte di costruzione marittima anche quando loro erano grandi e lui aveva ormai varcato l’età più grave. Arrivava al mare e si metteva all’opera alacremente, come se avesse un contratto da rispettare con la capitaneria di porto o come se fossero ex voto per Nettuno, Afrodite o per un’ignota divinità marina. Erano effimeri santuari, monumenti marini costruiti con materiale indelebile come la pietra ma precario come l’acqua. Le mareggiate pomeridiane o lo spostarci il giorno dopo in un altro punto della costa lo avrebbero impegnato a rifare l’opera daccapo. Un misto tra la fatica di Sisifo e la tela di Penelope; un’impresa mitologica.
Era uomo di libri e non d’azione, mio padre, salvo costruire maricelli. Da filosofo nell’indole prima che nel mestiere, si dedicava con passione alle opere socialmente inutili, gratuite, prive di tornaconto. Appresi da lui quel mestiere, l’arte di dedicarsi alle opere vane, perché sono le più belle e in fondo le più necessarie, anche se durano lo spazio di un mattino. Fioriture operose dell’ozio. L’inutile è il blasone di chi dispera. “Così andarono morendo i giorni e coi giorni gli anni, ma qualcosa di simile alla felicità accadde una mattina” (Borges). Quella mattina, al mare…

Dispera bene (Marsilio 2019)

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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