Alemanno e Rizzo contro il sistema
Non condivido il sarcasmo e il corale disprezzo manifestato in questi giorni verso Gianni Alemanno e Marco Rizzo e la loro presunta alleanza “rossobruna”, come è stata definita dai media allo scopo di screditarla in partenza. Lo dico oggi in occasione del Forum per l’indipendenza italiana che ha indetto Alemanno a Roma, a cui parteciperà Rizzo.
Conosco Alemanno da svariati anni e ho simpatia per Rizzo; condivido molte delle loro critiche al mainstream e all’establishment, al capitalismo globale, alla politica estera e alla politica sottomessa. Le loro idee sono tutt’altro che isolate, stravaganti o marginali; esprimono anzi un diffuso sentire e un più diffuso scontento, a partire dall’inevitabile delusione nei confronti dei governi che hanno guidato e guidano l’Italia da alcuni anni. Il caso Olanda o Argentina dovrebbe indurre a chiedersi come mai vincono spesso i leader e i movimenti più ostracizzati e screditati dai media.
In una vera democrazia c’è spazio anche per gli outsider e per chi esprime critiche radicali, purché nel rispetto delle leggi e delle scelte altrui, respingendo ogni violenza e ogni infantilismo insurrezionale. Tengono vivo lo spirito critico e la coscienza politica in un’epoca in cui la politica vale sempre meno, decide sempre meno, si differenzia sempre meno, almeno su alcuni temi obbligati. La comparsa di soggetti non allineati potrebbe riaprire questioni che vengono oggi bandite dalla politica.
E in un tempo in cui l’unico vero leader in campo è Giorgia Meloni, e poi giù il deserto, non dispiace pensare che si possa riattivare il gioco politico e il dibattito politico-culturale piuttosto asfittico di questi tempi, legato quasi interamente a questioni extrapolitiche che attengono ai sessi e ai gender, al patriarcato e al femminismo.
La riserva che nutro nei confronti di Marco Rizzo è, naturalmente, il suo persistente comunismo, di cui ammiro la coerenza ma non la sostanza; il suo perdurante marxismo-leninismo e la sua simpatia mai nascosta per l’Unione sovietica. Idee che distano, come è superfluo notare, anni luce dalla nostra concezione e dal nostro giudizio storico-politico.
Alemanno ha assunto di recente questa posizione non allineata; l’avesse presa ai tempi in cui era ministro, sindaco di Roma, leader della destra sociale in Alleanza Nazionale al tempo di Berlusconi, avrebbe avuto un altro significato e un altro valore. Farlo ora lascia qualche dubbio: è fuori dal giro politico-governativo perché ha assunto queste posizioni o ha assunto queste posizioni dopo che è stato emarginato, magari ingiustamente, dal suo mondo politico?
In ogni caso è improbabile una confluenza organica tra il comunitarismo sociale e identitario di Alemanno e il comunismo antiglobale e antiradical chic di Rizzo; al più è un’alleanza strategica, limitata a un tratto di tempo e ad alcuni obiettivi comuni.
Ma la mia riserva più grande è sulla possibilità d’incidere di un movimento del genere o di due movimenti distinti e paralleli. Certe posizioni le assumi quando non hai la possibilità di contare qualcosa o di governare; appena varchi la soglia dell’invisibilità e ti fai prima visibile, poi decisivo, in grado di influenzare le sorti di governi e maggioranze, allora ti trovi davanti a un bivio: o vieni estromesso, con ogni mezzo, o vieni neutralizzato, sterilizzato, addomesticato, e allora entri nel gioco politico ma a prezzo della tua identità e del tuo progetto originario. La stessa Meloni non avrebbe avuto accesso al governo se non avesse accettato alcuni passaggi in aperta contraddizione con i suoi programmi e annunci di partenza. Il passaggio dall’opposizione al governo comporta una mutazione inesorabile.
La storia sulla tassazione degli extraprofitti, prima annunciata e poi ritirata, è un monito esemplare e assai indicativo di quel che non può fare un governo, qualunque esso sia.
Ad Alemanno come a Rizzo si apre al più la via di un movimento che raccolga il dissenso in chiave di testimonianza, come è stato in passato il Movimento sociale italiano o alcune frange della sinistra radicale, non integrata. Magari non dispiacerà a una fascia di cittadini che ora non vanno neanche a votare, e darà una piccola rendita di posizione alla sua rappresentanza politica. Ma di fatto è destinata a non incidere nella realtà del paese e dei suoi assetti.
Insomma, una scelta impolitica, destinata a rappresentare un’area di scontenti e un voto di protesta; ma è difficile che possa influire davvero, se non a prezzo di compromessi e cedimenti che farebbero perdere la forte motivazione antagonista. Perché il sistema politico, allo stato attuale, è chiuso, ed è possibile scegliere in un arco assai limitato di opzioni.
Il massimo che si può pensare è riequilibrare gli assetti politici interni e internazionali e puntare, per esempio a livello europeo, a un’alleanza tra popolari e conservatori, piuttosto che tra popolari e socialisti, come oggi avviene. Ipotesi possibile, anche se non probabile, comunque interna a un preciso quadro di riferimento sul piano economico, militare ed euro-atlantico da cui non si può uscire.
A livello interno, il massimo che si può aspettare è un parziale riposizionamento del governo Meloni che sia meno incoerente alle premesse, alle promesse e alle intenzioni di voto del suo elettorato. E magari un ricambio almeno parziale della compagine ministeriale, piuttosto scadente.
Ciò non toglie che sia un bene se non una necessità, allargare le sponde della politica a nuovi soggetti meno integrati e meno omogenei agli assetti di potere vigenti. Non avrebbe senso, naturalmente, ridurre questi movimenti a malinconici fantasmi del passato, reperti scaduti del novecento.
Insomma si tratta di rimettere in moto la politica, non dico la storia, e superare le ultime, logore rappresentazioni di destra e di sinistra, centrini inclusi, che non rispecchiano le opinioni e gli umori della gente.
La Verità – 25 novembre 2023