Almirante, il paroliere d’Italia

Almirante, il paroliere d’Italia 

​Se dici Msi oggi, tutti o quasi traducono con Giorgio Almirante. Un partito ricco di personalità diverse e di correnti contrastanti, tutt’altro che monolitico, alla fine si è identificato nel suo leader-icona di più lunga durata e di più grande popolarità. Almirante è stato il miglior oratore della repubblica italiana. Nessun democristiano o comunista reggeva il paragone con lui. Né statisti come De Gasperi o Einaudi né intelligenze politiche come Togliatti e Moro, Craxi e Andreotti, Spadolini o Malagodi, Fanfani e Saragat. C’erano oratori efficaci nella prima repubblica, come Pajetta o Pannella, Nenni e Pertini, e più numerosi a destra; ma nessuno sapeva usare come lui le corde del cuore e dell’ironia, dell’arte oratoria e dell’invettiva politica, scorrendo con lievità da un genere all’altro e componendole tutte in una lezione di italianità e di italiano, nel senso liceale della parola. A ciò si aggiungeva l’indicibile carisma che accompagna chi naviga sull’onda della nostalgia e sa evocare amori proibiti e storie rimosse, facendo leva sul fascino allusivo del rimpianto e dell’eroico andare contro la corrente del tempo.
Corredavano la sua oratoria, l’impronta genetica di figlio di attori, il timbro di voce sincero e suadente, il fascino di seduttore e lo sguardo con i suoi occhi chiari che da solo già bucava il video e la piazza. Il meglio di sé lo dava sul palco o davanti ad una telecamera; invece, dal punto di vista umano e interpersonale più d’uno aveva a ridire su Almirante. La sua oratoria aveva un’impronta poco mussoliniana, non aveva nulla di ideologico o di guerriero, molto di letterario e di teatrale. Pur avendo cominciato da politico bohemiénne, Almirante non era un Masaniello dal populismo facile. Non era uno stratega politico né aveva una spiccata impronta ideologico. La sua cultura non era poi la cultura di destra ma la cultura letteraria del nostro paese: Dante e D’Annunzio, la cultura dei professori di liceo d’una volta, umanistica e poetica, l’uso perfetto della lingua e dei toni, insaporita della verve giornalistica del polemista d’opposizione. Almirante fu un grande giornalista rubato dalla politica, diceva Gaspare Barbiellini Amidei che lavorò con lui da giovane al Secolo d’Italia.

Amava le donne, Mussolini e la Juventus e aveva la civetteria della superstizione. Non ostentava fasci e manganelli ma corni anti-iettatori. Pur radicato nel neofascismo, Almirante percorse la via di una destra nazionale e sociale, aperta a liberali, monarchici e antifascisti; ma il suo sogno di una grande destra s’infranse contro i livori e gli assetti del tempo.
Per decenni, sull’onda dell’almirantismo, l’unico criterio di giudizio e di selezione per la classe politica della destra missina fu l’oratoria: il comizio era il paradigma e l’orgasmo collettivo, sul comizio si fondava la popolarità e il prestigio di un leader; del resto, poteva solo parlare un politico della destra emarginata. Anfuso e Delcroix, Mieville e Niccolai, Petronio e Cerullo, e molti altri in ogni regione d’Italia, restarono memorabili nell’immaginario dei missini per la loro capacità di trascinare mediante le parole, i comizi, i discorsi. Ma Almirante fu il paroliere per eccellenza della destra italiana. Non c’è mai stato in Italia un leader politico, d’opposizione e di un partito piccolo e malvisto come il Msi, capace di riempire le piazze della città e gli ascolti in tv.
Almirante non rinnegò mai il fascismo ma quando fondò la destra nazionale tento di storicizzare il fascismo e di proiettarsi nel presente; ma strada facendo fece marcia indietro e quando Pannella in un celebre congresso missino romano paragonò il fascismo al neofascismo per sottolineare che c’era ormai poco della sua pur tragica grandezza, Almirante si affrettò a rivendicare al suo Msi di essere l’erede del fascismo. A chi accusa Almirante di aver coltivato la doppiezza tra legalità democratica ed eversione, tra doppiopetto e manganello, va ricordato che Almirante non spinse mai alla lotta armata, alla violenza e fu nemico dell’eversione di destra; tutta la sua carriera politica si sviluppò alla luce del sole, nelle piazze e in parlamento, che onorò come pochi per i suoi discorsi memorabili, anche per durata. Almirante non è immaginabile fuori della democrazia parlamentare. Era il suo habitat. Chi lo dice non fu almirantiano, anzi ebbe scontri e carteggi polemici con lui, fu considerato da lui con sospetto perché ritenuto intellettuale di nuova destra, postfascista e simpatizzante del socialismo tricolore. Dall’esterno gli preferì i suoi oppositori interni, da Rauti a Niccolai e Mennitti. Il suo era il partito dei sentimenti e dei risentimenti senza possibilità d’incidere che oscillava tra il partito-taxi (Mattei), pronto soccorso governativo e l’opposizione di testimonianza, che commercializzava la nostalgia a fini elettorali.
​Ma tra i 15 e i 17 anni Almirante fu il mio mito e lo seguivo nelle piazze con un fervore, un entusiasmo che non ho più avuto per la politica. Quella ricerca della piazza del comizio, in città che non conoscevamo, quell’incauto attraversare da militanti ignari la piazza antagonista dove si teneva la manifestazione antifascista, noi alieni col fazzoletto tricolore al collo tra due ali di folla col fazzoletto rosso che inveiva contro di noi, taluni cercando la rissa. E seguivamo, come se fosse la cometa, i bagliori e le note dell’Inno a Roma che annunciavano e localizzavano il comizio. Prima sommesse, poi sempre più forti e vibranti, mentre cresceva per la strada il popolo col tricolore al collo e le bandiere, il canto in bocca e lo sguardo complice e fiero. Fino all’estasi comunitaria di una piazza che sentivi come la tua patria, assediata e provvisoria, mentre Hamelin col suo piffero chiamava a raccolta i topi rapiti. Fascisti carogne usciamo dalle fogne. Poi mi accorsi che la sua destra era un’illusione ottica e vocale, il fascino dei suoi discorsi alati alla fine serviva per tenere in vita un partito. Ma ciò non impedisce di riconoscere in Almirante una figura memorabile della politica italiana, amata ben oltre i confini dell’Msi, perché riusciva nell’incantesimo di trasformare la professione di politico in una passione civile. Almirante con la sua fiamma non appiccò incendi ma focose passioni consumate nell’arco di un comizio. Almirante, paroliere d’Italia.

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  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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