Jannik, il figlio che vorremmo
Jannik Sinner è il figlio che vorremmo avere. Non perché è un campione straordinario che colleziona vittorie di cui andare fieri; sarebbe troppo facile. Non perché porta a casa una valanga di soldi; son buoni tutti a volere un figlio che porta milionate in famiglia, non siate venali, scontati o spiritosi. E non perché gioca divinamente e fa godere gli appassionati di tennis, a cui personalmente non appartengo. Ma Jannik Sinner è il figlio che vorremmo avere per quel che è sul piano umano, per quel che dice, per come lo dice, e per come si comporta di conseguenza.
Subito dopo la sua vittoria al torneo dei Maestri ha detto con grazia naturale: “I miei genitori vengono prima di tutto, di qualsiasi trofeo o successo; non solo la lacrima di mia mamma quando mi hanno premiato come numero uno; anche mio padre, mio fratello, tutti. I miei sono l’emozione più bella che mi porto via di qui, solo loro conoscono i sacrifici che abbiamo fatto: è bello poter restituire qualcosina”. Alla faccia del qualcosina…
Ricordo pure l’altra volta che dopo una vittoria, espresse la sua riconoscenza a sua zia che lo accompagnava ad allenarsi e che non stava bene (poco dopo il suo grato ricordo sua zia morì). Parlando del suo impegno sportivo ha detto: “Sono uno a cui piace lavorare tanto, che indago: cosa faccio, cosa sbaglio, cosa posso fare meglio”. E i suoi allenatori confermano che Jannik è così, pronto a rimettersi in discussione, a provare altre strade, a imparare subito.
Infine in tv ha aggiunto, anzi ha ripetuto: “Sono fiero di essere italiano”; ci voleva un ragazzo che sembra così poco italiano, dal nome e cognome tedesco, che parla tedesco, per esprimere il sentimento semplice e bello, la fierezza di essere italiano. Lo ricordo a quelle agenzie di stampa italiane e a quei giornali che hanno parlato della sfida tra l’altoatesino Sinner e lo statunitense Taylor Fritz. Non capisco perché dell’americano si ricordi non lo stato di provenienza ma la nazionalità statunitense, e di Sinner si ricordi la sua regione e non la sua nazionalità… Eppure Jannik non ha dichiarato la sua fierezza di essere altoatesino (di cui sarà certamente fiero, ma sa che la sua nazionalità è italiana).
Rimettete in fila le cose che ha detto e ripensatele una per una e poi tutte insieme: l’amore per la famiglia, la sensibilità verso sua madre e suo padre, la gratitudine verso di loro, lo spirito di sacrificio, la condivisione del sacrificio come della vittoria (“i sacrifici che abbiamo fatto”); l’umiltà di lavorare, rimettersi in gioco e di correggersi in corso d’opera, il sano esercizio sportivo, non sentirsi una star ma ancora un ragazzo che deve imparare. Infine la fierezza di avere una patria, un’appartenenza nazionale, di sentirsi italiano. E l’emozione più bella che si porta della vittoria in un luogo lontano da casa sua, è la gioia dei suoi famigliari.
Cose semplici, belle, prive di retorica, sentimenti sani, elementari, realmente provati, come dimostra ogni giorno. E aggiungeremmo: senza montarsi la testa, se la frase non fosse già diventata un manierismo venato di ipocrisia.
Provate a riportare su strada quelle parole, quei sentimenti dichiarati; provate cioè a calare le dichiarazioni di Sinner nel contesto dell’Italia contemporanea, nelle più note pose e frasi dei giovani della sua generazione; o peggio, paragonate quelle parole, quei comportamenti del campione alle notizie tristi se non feroci della cronaca quotidiana.
Possiamo dire che Jannik Sinner è un esempio finalmente positivo per i suoi coetanei e per i suoi connazionali e contemporanei? Possiamo dire che sarebbe infinitamente migliore il nostro paese se si sentissero con più attenzione le parole di Jannik rispetto a quelle degli influencer, dei piccoli guru dei social o dei mass media, dal cinema alla tv, passando per la musica e per la moda?
Chi insegna più l’amore per la famiglia, il senso del sacrificio, la condivisione comunitaria, l’umiltà e la voglia di lavorare, l’amor patrio, la bellezza dello sport, la gratitudine verso i propri genitori? Perciò dico senza troppi giri mentali, che Jannik è il figlio che ci manca, il figlio che vorremmo, e so di non parlare solo a titolo personale. Certo, poniamoci anche la questione dal punto di vista opposto: quanti genitori meritano di essere così riconosciuti e amati dai loro figli, quanti hanno saputo amarli in modo sano, giusto, fecondo e condividere le loro gioie? Quante volte i figli restituiscono con l’ingratitudine, l’indifferenza e l’anaffettività quel che hanno ricevuto, o amori distorti, nocivi, possessivi e apprensivi? Vero anche questo.
Ma quando poi ci troviamo davanti a un esempio ben riuscito, a un legame felicemente reciproco, portiamolo a modello, non ritiriamoci nel nostro scettico, cinico disincanto generale, ma facciamo tesoro di un’esperienza di segno opposto, che smentisce lo spirito del tempo.
Da un figlio non ci aspettiamo trionfi e trofei, pacchi di soldi e successo, siamo pronti a caricarci sulle spalle, senza rinfacciarli, i loro errori e i loro fallimenti, le delusioni che ci danno e le divergenze anche dolorose; ma vorremmo almeno sentire una volta il briciolo di quell’attenzione, quel semplice esercizio di gratitudine, un granello di quell’affetto che abbiamo dato loro per una vita intera e che magari vorremmo che semplicemente si riflettesse in uno sguardo, in una parola.
Non a caso, di recente ho pubblicato un libro intitolato Senza eredi, dedicato ai Maestri che non hanno più discepoli. Sinner che ha vinto il torneo dei Maestri, è l’erede che vorremmo avere, anzi è la dimostrazione che anche un fuoriclasse che potrebbe puntare sulla sua eccellenza, ha invece la modestia e la sensibilità di sentirsi e dichiararsi figlio, erede grato dei suoi genitori e del suo Paese. Ad avercene come lui, non di campioni – che ne nascono uno ogni tanto – ma di ragazzi così, che ti fanno guardare con più fiducia all’avvenire e con più rispetto al passato.
La Verità – 19 novembre 2024