La festa patronale si fa ma senza il santo

Attratto dalla nostalgia delle origini, dell’antico e dell’infanzia, sono tornato al mio paese in Puglia per la festa patronale. Una festa importante perché il mio paese, Bisceglie, non ha solo un santo patrono ma ben tre, addirittura, un vescovo cristiano e due militi romani mandati per arrestarlo e convertiti alla fede, e poi martirizzati tutti e tre. Mauro il Vescovo, Sergio e Pantaleone i due militi convertiti, infedeli all’arma ma fedeli a Cristo. Il ritorno a casa non è solo il ritorno ai santi ma è un crocevia di rimpatriate famigliari o tra ex-compagni di scuola. Ho rivisto persino un compagno delle elementari che ricordavo ancora col fiocco in gola e ora sforna panzerotti in darsena.

Ma non volevo farvi un personale amarcord, vorrei invece parlarvi di una cosa strana assai, che non riguarda solo il mio paese natale. E che potrebbe riassumersi sotto un antico proverbio liberamente interpretato: scherza coi fanti ma lascia stare i santi.

Dunque, per il solito, maledetto Covid quest’anno la festa patronale ha perso il suo pezzo forte, il suo culmine, la sua Tradizione: la processione con i tre santi, la venerazione delle loro ossa, il loro quadro antico e splendente d’oro. Sai, le processioni sono assembramenti, il virus è devoto, non si perde una ricorrenza, come abbiamo visto al tempo del lockdown le chiese sono state interamente dedicate al culto di Corona Sanctus, ovvero San Covid 19 dopo Cristo, l’unico santo che fa martiri i devoti anziché se stesso.

È una giusta prevenzione, dice la gente. Però, per risarcire il popolo o per rassicurarlo, la festa patronale si fa lo stesso, magari senza bancarelle e giostre. E nascono i cobas del patrono, ovvero i comitati spontanei di base che festeggiano nonostante il divieto. Per andare incontro al popolo sovrano vengono allestiti in vari angoli del centro storico, nei dintorni del porto, gruppi musicali che cantano, ballano e attirano pubblico con e senza mascherina.

Trattorie, bar, localini aum aum, sushi bar (un tempo qui si mangiavano cozze crude ma nell’era global hanno permesso di soggiorno solo se si travestono da sushi) traboccano di gente, brulicano di movida. Le strade sono piene, al porto la calca è tale che per farti largo devi buttarti in acqua.

Il curioso risultato è che alla fine gli unici a osservare il distanziamento sociale, anzi sacrale, sono i tre santi. La festa si fa, si scherza coi fanti, ma si lascia stare i santi prigionieri nelle loro teche. Solo loro non possono uscire in processione, solo il loro culto non si può fare, si limita a una messa solenne. Festa patronale senza patrono, il santo fa miracoli in smart working, recluso in chiesa, lontano dalla folla, collegato al cielo e ai suoi devoti.

L’appestato è il santo patrono, in veste di Santo Espiatorio. Presumo che i tre santi siano stati a loro volta separati: anche se due sono morti per non perseguitare il terzo, ora per ragioni sanitarie ognuno deve stare in campana. E lo stesso vale per gli altri santi venerati da noi, dall’Addolorata a san Trifone. La festa si fa, lo struscio pure, si procede nuotando tra la gente, ma i santi no, agli arresti domiciliari nella Casa del Signore. Mi chiedo: ma il virus non attacca le persone che si assembrano ad ascoltare musica, il virus è fortemente ateo e anticlericale, se la prende solo coi santi, attacca le confraternite ma risparmia le band?

Non capisco il criterio scientifico e sanitario che vieta le manifestazioni religiose e ammette o perlomeno tollera quelle ludiche e canore. Certo, la festa non si può sopprimere nei cuori della gente, se non indicendo un lockdown con reclusione forzata di massa; altrimenti la gente si riversa in piazza e come si fa a stabilire che cinquanta possono fare lo struscio e mille no, in base a quale criterio usare il numero chiuso? Sicché nella Cattedrale, detta Chiesa grande, possono entrare a messa solo 71 persone, mentre a vedere queste band, a passeggiare intorno al porto, ad assalire i deliziosi localini, il numero si fa imprecisato, a discrezione del gentile pubblico.

Qualcuno dirà: ma al tuo paese siete tutti pazzi, oppure qualcuno se la prenderà con chi lo amministra, col ministro Boccia che è del posto, con Renzo Arbore che si è esibito qui, con chi volete voi. Ma la stessa cosa succede un po’ ovunque, al sud, lo dico per esperienza multipla e diretta, e presumo che anche a nord succeda la stessa cosa, come del resto a Roma dove la festa patronale è quasi quotidiana, per esubero di santi, martiri e papi.

Vi sembra normale? Certo, qualcuno adotterà la motivazione ideologico-umanitaria, dirà che le processioni sono solo ultimi lasciti di vecchie superstizioni, di una fede tutta osservanza e rito, liturgia e pacchianeria, ma non autentica. Mero cattolicesimo senza cristianità. I veri cristiani, vi diranno, si occupano di accoglienza, di migranti, di soccorso umanitario. Il resto è oscurantismo reazionario, è residuo magico di vecchie credenze popolari, come il corno e il ferro di cavallo. È kitsch religioso. Del resto ormai si parla delle processioni al sud solo per sottolineare l’inchino ai padrini del posto, ai mafiosi viventi o agli arresti domiciliari, e non per Covid. Fa niente se magari le mafie diversamente nominate magari sono più attive nel gestire il traffico di migranti, il business intorno a loro, piuttosto che badare ancora a questi rituali antichi e improduttivi. Fa niente se si sopprimono le processioni e le messe per il covid19 mentre i migranti arrivano a frotte e portano con loro lo stesso virus per cui neghiamo i sacramenti. Ma state certi: in caso di ritorno del Mostro diranno che la colpa del contagio è delle feste patronali. Passata la festa gabbato lu santo.

MV, La Verità 11 agosto 2020

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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