L’amore proibito degli italiani per Mussolini
Se non fosse Bruno Vespa, oggi l’autore del libro Perché l’Italia amò Mussolini sarebbe sotto processo e sotto linciaggio mediatico. Ai professionisti dell’antifascismo non serve leggersi il libro, sciropparsi tutte quelle pagine; basta quel titolo, più quella copertina decorata da cimeli fascisti. E quel che lui dice in tv. Acchiappatelo, è un neofascista o un fascista col neo, prende in pieno tutte le leggi speciali promulgate per colpire il fascismo tornante, dalle norme transitorie della Costituzione alla Legge Scelba fino alle ultime, via Fiano, Boldrini e compagnia bella (ciao). Per fortuna, l’autore è Bruno Vespa; lui ha uso di mondo, è immunofascista, ha relazioni diplomatiche con tutti, modi curiali e affettazioni ecumeniche, viene dalla vecchia scuola democristiana e della Rai monocanale, è la versione televisiva di Gianni Letta, non solo per le radici abruzzesi, ha sempre omaggiato tutti in tv, pur senza mai perdere la sua professionalità.
Vespa è considerato un centauro, metà giornalista e metà schermo, sta in tv come una manopola o una valvola, è incorporato al televisore prima che alla televisione. Non si può processare un elettrodomestico. Attaccare Vespa per apologia di fascismo suonerebbe ridicolo. A parte alcune sue pose ducesche, e alcuni scatti malmostosi di carattere, Vespa è il contrario di un fascista, è da sempre un centrista e un mediatore, ha benedetto non pochi inciuci, e anche la sua predilezione berlusconiana non gli ha mai impedito di tessere le sue tele multicolori. Insomma Vespa può varcare la zona rossa, ha il passaporto diplomatico, la franchigia sanitaria.
Si, qualcuno lo ha criticato, condannato, contraddetto. Ma poca roba, marginale, rispetto a quella copertina e alle tesi che lui esprime su tutti i canali tv. E il fatto che non si sia scomodato l’Episcopato Antifascista lo comprova.
Del resto, Vespa ha scoperto l’acqua calda, anche se in certi momenti pure l’acqua calda è una scoperta sensazionale. Ha detto che l’Italia amò Mussolini, che gli italiani gli tributarono un consenso largo, lungo e sincero, che Mussolini fece anche cose buone, soprattutto opere sociali e popolari, che grandi leader di nazioni democratiche lo elogiavano e lo ammiravano (probabilmente anche perché reputavano gli italiani bisognosi di una dittatura, ha ragione Carlo Calenda). E molti intellettuali fascistissimi, sostenitori delle leggi razziali e finanziati dal regime, alla caduta del Duce saltarono il fosso e passarono a vituperare Mussolini, i fascisti e i neofascisti dalla nuova cattedra antifascista.
Queste sono cose che scrive anche il massimo storico del fascismo Renzo De Felice, ma che sottovoce ha sempre detto o pensato l’italiano comune; sono esperienze di vita per gli italiani che vissero quegli anni. Un tempo, lo ricordo bene, lo ammettevano a denti stretti anche i comunisti, che salvavano il fascismo dalla sua ultima fase, e Mussolini dai suoi gerarchi, accusandolo di non aver portato fino in fondo la sua rivoluzione sociale. Lo riconoscevano tutti, perfino il partigiano (ma ex fascista) Giorgio Bocca. Ma questo pur sotterraneo senso comune è venuto meno negli ultimi anni, da quando è invalso il dogma che il Fascismo sia Male Assoluto ed Eterno (Eco dixit), non ha lati positivi (Mattarella posuit), si può solo condannare il regime e chi lo difende, senza più distinguere uomini, fasi, opere, versanti.
Vespa ha semplicemente ripreso quella considerazione che era diffusa all’epoca dell’Italia democristiana e che naturalmente conviveva, come convive in lui, con l’altrettanto diffusa convinzione che il fascismo fosse dittatura e violenza: fu guerrafondaio, promulgò le sciagurate leggi razziali, si alleò a quel fanatico di Hitler.
Ma cosa spinge un mite giornalista ecumenico, immunofascista da una vita, a insistere in età avanzata su questi temi, di assoluto buonsenso e di scontata ovvietà, se non ci fosse l’Inquisizione antifascista permanente a renderli temerari? Quali possono essere i suoi moventi?
La prima pista, la più superficiale ma attendibile è che raccontare agli italiani quel che gli italiani in maggioranza vogliono sentirsi dire, è un bel colpo dal punto di vista editoriale. Mussolini vende, come ben sanno tutti. E un Mussolini nonsolocattivo, vende di più. Dunque, un movente commerciale e anche fiuto giornalistico.
La seconda pista, la più pittoresca, è l’essersi innamorato con gli anni della vulgata che lo indica come “figlio naturale di Mussolini”. Il suo nome, la sua data di nascita corrispondente al tempo della prigionia del duce a Campo Imperatore, le sue pose, altri aneddoti e coincidenze, hanno alla fine indotto Vespa a vedere con altri occhi, quasi filiali, il Pelatone; in fondo non è da tutti essere reputati figli del Duce, sentirsi eredi presunti di personaggi storici che grandeggiano ancora oggi, seppur sinistramente, sulla scena. Tesi concomitante, altrettanto plausibile.
La terza tesi, oltre la cassetta e la mitologia genetica, è che Vespa sia stato spinto dal paragone col presente: la parabola dalla Casta alla Feccia, la statura mignon dell’attuale ceto politico, l’avvento dei miserabili al potere, l’hanno magari indotto a rivalutare, almeno sul piano dell’arte di governare e di realizzare, il fascismo e il suo ducione.
Intanto le voci corrono e si deformano lungo la strada, creando bufale e cortocircuiti televisivi. E qualcuno si chiede se davvero la coppia Vespa-Mussolini sia entrata in finale a Ballando con le stelle.
MV, La Verità, 22 novembre 2020