Le foibe, il ricordo e l’oblio

“Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città… Non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già scarsi”.

È Salvini, è CasaPound o il Fronte Nazionale che scrive dei migranti?

Nossignori, è l’Unità, organo del Pci, del 30 novembre 1946 a proposito dei profughi istriani, dalmati, giuliani. Italiani doc, che secondo i comunisti fuggivano non da un nemico “ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori”.

Capito? I comunisti infoibatori erano “alito di libertà”, “eserciti liberatori”. E i profughi, cacciati dalle loro case, sopravvissuti alle foibe, erano abusivi da respingere…

Le foibe e l’esodo furono il frutto di un triplice odio: odio etnico, verso gli italiani; odio ideologico dei comunisti verso i fascisti o presunti tali; odio di classe verso i borghesi giuliani. Per questo furono una concentrazione speciale di orrore e crudeltà.

La giornata del ricordo è l’ultima commemorazione dedicata all’amor patrio istituita in Italia. Resta lì, orfana spaesata nel calendario dell’oblio, destinata a sopravvivere in un’indecorosa semi-clandestinità che volge alla rimozione graduale, fino alla sua definitiva estinzione.

Le altre ricorrenze nazionali, superstiti di vecchia data, galleggiano semi-sommerse: il 4 novembre vivacchia, rifugiata nella domenica più vicina e celebra le forze armate, il 24 maggio è sparita, il 17 marzo fu una breve meteora che apparve per i 150anni dell’unità d’Italia e poi sparì, dopo un’indecente manfrina di chi non la voleva istituire per micragnosi calcoli economici.

Sono artificialmente tenute in vita il 2 giugno e soprattutto il 25 aprile che è poi l’unica giornata rimasta davvero festiva nel calendario. Ma quelle date dicono poco al cuore della gente, suscitano residui risentimenti ma sempre più vaghi sentimenti.

Non c’è una giornata dedicata all’amor patrio, una festa dell’Italia, una celebrazione della comunità nazionale sentita e condivisa che ci colleghi alla storia e in positivo alla nascita dell’Italia e non alla guerra civile e mondiale.

Le foibe finirono nell’omertà sin da quando furono perpetrate. Perché tiravano in ballo le responsabilità del Pci e di un’ala cospicua della lotta partigiana nei massacri, perché incrinavano il rapporto con la vicina Yugoslavia di Tito, perché c’era il tabù della cortina di ferro che spartiva i due mondi, l’occidente filoamericano e l’est filosovietico.

Ancora oggi è proibito dire che gli infoibatori erano comunisti e che anche il Pci italiano aveva contribuito a sostenere l’operazione foibe. Nei documenti il Pci sosteneva che non si dovesse rinunciare a quella che veniva definita “la tattica delle foibe” (ovvero lo sterminio).

I rapporti e gli incontri tra Togliatti e i capi dell’operazione sterminio erano continui: da Mosca a Bari. Perché non parlare anche in questo caso di collaborazionismo e poi di negazionismo o dimenticazionismo?

Le foibe furono per decenni il ricordo atroce di una minoranza di profughi e il ricordo polemico di una minoranza di “patrioti”, in prevalenza legati al vecchio Movimento Sociale Italiano.

Solo mezzo secolo dopo cominciarono lentamente a risalire dal buio e ad affacciarsi timidamente nei libri di testo e nelle commemorazioni ufficiali, strappare messaggi ai Capi dello Stato e infine vedersi in tv in sceneggiati assai edulcorati in cui mai si parlava di partigiani comunisti ma solo vagamente di titini e dove non si capiva cosa fosse realmente accaduto; sembravano storie private, locali e famigliari, vicende avulse dalla storia.

Infine avvenne l’ufficializzazione del ricordo con l’istituzione della giornata.

Ma è durata poco l’attenzione, legata alla destra al governo, a volte alimentata dall’assurda pretesa di bilanciare l’enfasi via via crescente negli anni alla Shoah.

Per ogni ricordo delle foibe ci sono cento ricordi istituzionali e mediatici della Shoah. Ma l’olocausto, come impropriamente si definisce, riguarda più popoli e più paesi. I numeri delle vittime, si dice, sono imparagonabili.

Però la storia delle foibe assume grande rilievo, più rilevante della stessa shoah, se le foibe diventano il capitolo nostrano del più terribile ciclo di vittime del comunismo nel mondo, che si contano – come si sa – in decine di milioni. Uccisi in tempo di guerra e di pace.

Ma le comparazioni sono odiose e insensate.

Di solito le giornate dedicate a ricordare nascono quando i ricordi appassiscono. Un po’ come quando un anziano comincia ad annotare sul diario quando deve prendere la pasticca e quando è il compleanno della moglie: la memoria sta per andarsene, il ricordo si appanna, e allora nasce la necessità di farsi un nodo al fazzoletto della mente.

Più che dall’amore e dalla premura, la necessità di fissare il ricordo nasce dall’arteriosclerosi galoppante, dalla mente che si fa più labile e incerta e dallo svanire di quell’evento nel nostro cuore. Quando il ricordo è forte e vivo non c’è bisogno di dedicarvi una giornata ufficiale e rituale per ricordare.

L’Italia, ricca di storia millenaria, converte la sua bulimia di eventi in anoressia; la sua memoria antica, sovraccarica, si rovescia in amnesia e rimozione. “Scurdammoce o’ passato” resta alla fine l’unico inno nazionale. Ci unisce il patto dell’oblio.

MV, Il Tempo 9 febbraio 2018

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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