Le regionali e i 4 animatori del villaggio Italia (Libero, 31/05/2015)

Le regionali e i 4 animatori del villaggio Italia (Libero, 31/05/2015)
Come si presenta la politica italiana oggi davanti alle urne? Dico non i candidati alle Regioni, i sindaci e le liste locali, ma la politica nel suo orizzonte generale. Spariti i partiti o ridotti a larve, declinato anche il partito personale che aveva ancora la forma di un partito seppure in funzione del suo leader carismatico, la politica oggi si risolve nelle figure e nelle performance di quattro animatori del villaggio Italia. Animatori più che leader, ovvero istrioni da palcoscenico e da video in grado di concentrare le attenzioni su di loro. Quattro conduttori di uno spettacolo permanente, one man show. Renzi è il più brillante ed efficace, Berlusconi il più vetusto e un po’ il patrono degli animatori, Grillo il più professionale e navigato, Salvini il più ruspante e irriverente. Non provengono da una storia, una cultura politica, una comunità, semmai dal loro disfarsi. Renzi ha grande capacità d’intrattenere il pubblico con gag e giochi di prestigio e tenere alto il morale e l’attenzione della platea in una fiction sulla rinascita italiana. Grillo è animatore di mestiere e ha trasferito il format dal cabaret al Paese in uno spettacolo live che esonda nella realtà e ne chiede l’abolizione. Salvini è un bravo attore televisivo, genere reality people, e semplifica in poche, efficaci battute i nodi complessi che strozzano l’Italia, cavalcando ciò che è politicamente scorretto e non si può dire. Berlusconi è il padre putativo dei tre animatori, decano dei piacioni e impresario di spettacolo, show man per vent’anni, anche se la sua compagnia, un tempo variegata, si è ridotta a pochi figuranti, un paio di cagnolini e ogni settimana va fuori qualcuno. (Naturalmente ciascuno di noi ha poi l’animatore preferito).
La politica in Italia non c’è più da un pezzo. Al suo posto ci sono i Quattro Animatori più una selva di caratteristi e comparse, attori minori, subordinati o insubordinati ai predetti istrioni, e ricco contorno di mariuoli e faccendieri. Quattro presentatori fra tanti impresentabili, non è un bel vedere, converrete. E poi ci sono tanti che sono presentabili, ma non sono credibili…
A far da contrasto con gli animatori c’è la personalità meno animata per indole e protocollo, il Presidente della Repubblica Mattarella. Il suo ruolo è inverso: non intrattenere la platea, non sorprenderla ed eccitarla, ma sedarla e rassicurarla, usando il frasario misurato delle ovvietà istituzionali. Quasi per garantire the balance of powers, l’equilibrio dei poteri, il Capo dello Stato compensa il moto perpetuo e la parola fluente del premier col muto perpetuo, l’immagine statica e l’eloquio sobrio e scontato, prevedibile ai limiti del modulo prestampato. Non è escluso che col tempo Mattarella, come già accadde al suo predecessore Cossiga, s’ammutini al copione “Quattro animatori e una mummia” e prenda gusto a cantare in libertà. Ma per ora accetta il ruolo di capo dello statico.
Qual è oggi il lessico della politica nell’era degli animatori, come parlano i politici? Tramontato il politichese col suo contorto e oscuro latinorum, oggi prevalgono tre tipi di linguaggio: uno è il gergo dell’autenticità – come lo definiva Theodor Adorno – che simula il linguaggio della gente, i giudizi drastici e la rude franchezza, il “parla come magni”, usato soprattutto alle opposizioni populiste e radicali, da Grillo a Salvini. Poi c’è il gergo della fattività che simula il linguaggio della concretezza di chi annuncia baldanzoso riforme e ostenta prodigiosi risultati, in uso di chi governa, ieri Berlusconi, oggi Renzi; infine c’è il gergo dell’eticità, che simula di cambiare la realtà tramite il lessico nel nome del politically correct, l’unico canone moralistico-ideologico in auge, quel “piagnisteo del bigottismo progressista” (Robert Hughes) in uso soprattutto a sinistra e tra le sue vestali istituzionali, come la presidente della Camera Boldrini. Sono questi i linguaggi della politica, tre forme gergali che fanno il verso alla realtà, alle realizzazioni e all’etica.
L’avvento degli animatori e del loro gergo è un progresso o un regresso rispetto all’epoca dei partiti e delle ideologie o in rapporto alla sovranità popolare e al bene comune? Non idealizzo affatto il passato ma non mi sembra un passo avanti o in alto: nella migliore delle ipotesi è un passo fuori, nella peggiore è un passo in basso.