Ma che roba è il grilloleghismo?
Ma davvero il neonato governo grillino-leghista è il governo più a destra nella storia della repubblica? A dirlo non sono i diretti interessati e nemmeno quelli di destra. Ma le fabbriche dell’opinione pubblica, a partire da la Repubblica e il Partito-Establishment del nostro Paese, ovvero il Pd. Ciò che a loro non piace diventa automaticamente identificato col Male, cioè con la Destra, dunque col Fascismo.
Ma usare ancora categorie come destra e sinistra, fascismo e antifascismo, davanti allo spettacolo della loro rovina e al cospetto di un’alleanza che nasce proprio sulle macerie delle categorie classiche della politica, significa attardarsi a descrivere il presente e il futuro con i vecchi arnesi del passato. Poi non sanno spiegarsi perché sono diventati minoranza netta nel Paese, non intercettano gli umori popolari e non sono in grado di capire il mondo, l’Italia, i postitaliani.
Non capiscono che vivono nell’era di Trump e di Putin, del capital-comunismo cinese e del nazionalpopulismo diffuso. Non capiscono perchè nelle dieci maggiori potenze mondiali, ad eccezione della Cina mao-mercatista, non c’è nessun paese a guida di sinistra. Però assodata l’incapacità dei superstiti di sinistra di capire e frenare il loro settarismo, la domanda resta: ma che roba è quest’alleanza giallo-verde che già nella designazione cromatica fuoriesce dal rosso e nero, dal bianco e dell’azzurro dei vecchi colori politici del ‘900?
La chiave generica è il populismo, che in sé è un magma che non indica una nuova destra o una nuova sinistra ma il loro collasso, il loro cortocircuito. Certo, l’ultima versione della Lega ha un’intonazione destrorsa e nazionalista, ma il socio di maggioranza, il movimento 5 Stelle, è un radicalismo antipolitico, pauperista, settario e rousseauviano. I due movimenti restano genericamente accomunati dal loro essere anti-establishment, populisti contro le elites.
La loro base elettorale forma un nuovo blocco sociale perchè non si sovrappongono ma si dividono per territorio: nordisti e sudisti. In verità la Lega al centro-sud ha quasi doppiato Fratelli d’Italia, ma la sua forza, i suoi eletti, sono quasi tutti a nord. E i grillini hanno preso voti ovunque ma al Sud hanno fatto cappotto, per quell’intreccio di rabbia, protesta e richiesta di nuove forme d’assistenza (come il reddito di cittadinanza) che è tipico del meridione. Interessante è il blocco sociale che si è cementato in questa alleanza; ma quando passa dalla protesta al governo, come si potrà comporre l’elettorato che chiede più tasse con l’elettorato che chiede sussidi a chi non lavora? E da quali copiose cantine dovranno attingere le risorse per avere la botte piena e la moglie ubriaca, cioè i poveri che stanno meglio e i benestanti con meno tasse?
E l’immenso popolo dei pensionati non rischia di vivere una specie di guerra civile al suo interno con le promesse e le minacce di colpire le pensioni migliori nella vana illusione di far crescere le pensioni peggiori? Senza considerare che spalmando il plusvalore delle pensioni cosìddette d’oro che sono l’uno per cento, non ottieni nessun sensibile miglioramento per le restanti novantanove pensioni. Soddisfi l’invidia sociale, non certo la redistribuzione.
Sarà dunque difficile quadrare il cerchio e tenere insieme pauperismo e leghismo. Ma queste due forze, imprenditrici del malessere, del rancore e della paura, hanno un’idea del Paese, una visione dell’Italia? La Lega, anche per occupare spazi elettorali nella prateria disertata da Alleanza Nazionale, ha assimilato qualcosa, dal sovranismo al richiamo identitario e comunitario, ma nessuna delle due si è minimamente posta il problema che se vuoi davvero cambiare un paese, se vuoi fare una rivoluzione, devi agire sul piano delle idee, della mentalità, dell’egemonia. Pensate a chi hanno messo alla cultura e alla pubblica istruzione, al disinteresse strategico verso questi ministeri chiave e quei temi importanti e vi renderete conto che non c’è la minima intenzione di dar spessore, lungimiranza, sostanza a una vera svolta. Ma loro sono postculturali e non solo postideologici; sono oltre il vecchio mondo di media e intellettuali. Sono il frutto della deculturazione di massa. Tutto questo può chiamarsi destra o nuova destra? Non direi.
Il centro-destra si è decomposto e ha preso tre strade diverse, o meglio due principali e una caduta nel mezzo, quella del piccolo partito della Meloni. Una ha scelto di cavalcare l’anti-establishment e di presentarsi in un’alleanza populista; l’altra che pure ha tenuto a battesimo il populismo in Italia e lo ha portato al governo, è rifluita almeno col suo vecchio leader-Faraone, su posizioni europopolari, moderate, liberali, pro-intesa col renzismo, perfino allineati al Quirinale. Quel modesto Mattarella che ha gestito malissimo la lunga crisi, confermando che la scelta di una terza fila per il Colle, era funzionale al sistema matteocentrico di Renzi, solo tappezzeria e figuranti introno al Re Sole, presto calato.
Dopo il trimestre senza governo, si contano molti caduti sul campo: la sinistra vecchia e nuova ma anche il berlusconismo. Una brutta gatta da pelare per gli eurocrati si prospetta il governo Di Maio-Salvini che si avvale del tandem Savona-Tria nell’economia. Manca nello scenario politico un vero Movimento della Nazione, conservatore e riformatore, sociale e decisionista, meritocratico e patriottico, che possa rappresentare il senso dello Stato, della Tradizione e della civiltà romana e cristiana. Diciamo allora che il favore verso il nuovo governo è dal nostro punto di vista limitato all’aver liquidato quel mondo vecchio e aver allarmato il mondo dei potentati.
Finisce la seconda repubblica e i suoi attori principali ma non è ancora cominciata la terza repubblica. Soddisfa vedere le facce dei perdenti, preoccupa vedere le facce dei vincenti.
MV, Il Borghese luglio 2018