La Tradizione, risposta alla Cappa che ci opprime
Recensione di Aurelio Porfiri
Ci sono pensatori che vale sempre la pena leggere, perché pur se si può non essere sempre d’accordo con tutte le loro posizioni, hanno però sempre qualcosa di importante da dire e in alcuni casi lo dicono anche bene. Certamente questo è il caso di Marcello Veneziani – filosofo, scrittore e giornalista – che oramai da parecchi anni anima con il suo pensiero il fronte conservatore. Ho sempre pensato che dalla sua parte egli possiede anche un vantaggio non da poco, cioè la felicità di scrittura, la gioiosa tenzone in cui egli si ingaggia in ogni suo scritto per trasformare in una lingua elegante i suoi pensieri inattuali.
Questo è anche il caso in La Cappa. Per una critica del presente (Marsilio 2022), ultima sua fatica in cui il tema della tradizione è sempre sullo sfondo, quasi tracima ad ogni riga. Ma questo tema non è vissuto in senso nostalgico, ma come nostalgia del futuro, come assenza di qualcosa che pur ci è necessario.
Perché la Cappa? “Nella Cappa tutto appare dai contorni indefiniti: fantasmi, figure e paesaggi, mezzi di trasporto e alveari domestici, strumenti tecnologici ed espansioni illimitate della nostra voce e della nostra immagine, metropoli e deserti – che a volte coincidono – e poi immagini velate di imperi sconfinati, ombre cinesi, sagome di fanatici attentatori, fantasmi di barconi, sbarchi dall’Africa e dal Medio Oriente. Non è nitido il paesaggio, ma è avvolto in questa caligine che rende indeterminate e spettrali le cose. Da quando fu abolito lo straniero ritenendo che tutto l’umano fosse nostrano, tutto ci appare straniero, anche noi stessi. Alienazione integrale. Capovolgendo Terenzio: tutto ciò che è umano lo reputo alieno. Me incluso. Ma la sensazione più forte è quella di sentirsi stranieri al proprio tempo, una sensazione di disagio ed estraneità, non solo polemica. A volte felicemente inattuali. In positivo, sentirsi stranieri al proprio tempo agevola la distanza critica necessaria per capirlo”. E di questa comprensione del proprio tempo senz’altro Marcello Veneziani è un interprete importante, sempre da tenere a portata di mano.
Quando scorrete il libro vi accorgerete della sagacia della sua scrittura, quando per esempio parla della differenza tra natura ed ambiente, un capitolo che da solo vale la lettura. Parla di molte cose nel suo libro, inclusa la crisi del Cristianesimo che stiamo vivendo: “Tutto è ridotto al pronto soccorso dei poveri migranti, ad amare il prossimo soprattutto se viene da lontano, se è straniero e non è cristiano; si pretende che un mondo piccolo si carichi sulle spalle un mondo grande, sapendo che crollerà per il suo peso insostenibile. Senza porsi ulteriori problemi, come la crescita demografica vertiginosa o gli effetti pratici dell’invasione massiccia di popolazioni che vedono l’Occidente come punto di ristoro ma non come civiltà a cui convertirsi e in cui integrarsi. Dal punto di vista teologico la Trinità viene ridotta a una Persona. Spariscono il Padre e lo Spirito Santo, e con loro sparisce la Tradizione e la Profezia, resta il Figlio e si occupa di salvare i corpi, pescatore non di anime ma di barconi; non annuncia redenzione ma ospitalità. Il cristianesimo come ong. Certo, la carità non può limitarsi ai cristiani e ai connazionali. La misericordia non ha barriere, la carità va rivolta agli ultimi e a chi sta male. Ma la fede ridotta all’accoglienza è assistenza sociale, umanitaria, patronato sindacale; non è più religione. Intendiamoci, non va criticata la carità di accogliere, che fu anche di altri papi e che è in toto cristiana, ma la riduzione del messaggio cristiano all’ossessivo refrain sui migranti. C’è un’umanità intera che ha bisogno di un Padre, non solo i migranti”. E molto altro ci sarebbe da sottolineare in questo testo.
Ho notato che Marcello Veneziani è stato particolarmente prolifico recentemente e di questo certamente si rallegrano tutti coloro che hanno a cuore il tema della tradizione, cattolici e non, perché sanno che abbiamo sempre più bisogno di quei valori che a volte ci sembra di aver irrimediabilmente perduto.