Berlusconismo, cosa è stato, cosa resterà

Ma cosa è stato il berlusconismo, finisce con lui o gli sopravvive?
Proviamo a darne una lettura senza allergia o simpatia. Per cominciare, il berlusconismo è un modo di vedere la vita, di raccontarla e di comportarsi, che ha in Berlusconi non solo l’inventore ma anche il modello e il primo narratore. Non è un’ideologia, perlomeno non come quelle venute dalla storia e dalla politica; non è un pensiero ma un atteggiamento pratico e non è una cultura più di quanto non sia la sua negazione. Il berlusconismo nasce negli anni ottanta, il suo orizzonte è il presente con vista sul futuro. L’habitat è l’Italia, a partire da Milano e dalla Brianza, ma con un occhio all’american way of the life in versione nostrana e gaudente. Il suo messaggio è un racconto di ottimismo operoso, con fiducia nell’happy end e nelle proprie forze individuali. E’ una forma di capitalismo popolare, a tratti populista, fondato sulla regola commerciale che il “cliente ha sempre ragione”; capitalismo post-industriale, incentrato sui consumi e sull’intrattenimento, che rappresenta l’irruzione della realtà nel mondo politico e della fiction nel mondo reale. Il grande movente è il sogno. E’ un’autobiografia collettiva e individuale che capovolge il pubblico in privato.
Potremmo definirlo un individualismo di massa, una visione del mondo tramite la tv e l’americanizzazione dei costumi: difatti il televisionismo berlusconiano è fuori moda nell’epoca dei social e degli smartphone, risale a un’era precedente. Non è dunque la morte di Berlusconi quanto il declino della tv come medium sovrano la ragione principale del suo declino.
Nel berlusconismo ha un ruolo centrale la pubblicità, ovvero la capacità di sedurre il consumatore e il cittadino, offrendogli prodotti e sogni. Lo spot e lo sport sono le ali del suo successo, i film e i quiz sono i suoi mezzi di penetrazione, casa per casa. Il testimonial ideale, l’archetipo, è l’italo-americano Mike Bongiorno. In tv il berlusconismo ha dato i suoi effetti più devastanti nell’intrattenimento e nella deculturazione di massa, nel modello consumistico e nell’americanizzazione. Ma non è il berlusconismo a cambiare gli italiani; è la mutazione degli italiani a produrre le tv berlusconiane e la loro offerta commerciale.
L’aspetto più originale del berlusconismo è la sua conversione da racconto d’evasione ai fini commerciali in movimento politico, fenomeno sociale e proposta di governo. Il berlusconismo non sopravvive come movimento d’opposizione: si galvanizza nella competizione elettorale, dove esercita la sua forza di persuasione e la sua capacità di seduzione, ma non può ridursi a testimonianza ideale nel ruolo antagonista di minoranza. Infatti non è mai stato a lungo all’opposizione: ha finito con l’appoggiare governi tecnici o di sinistra, di larga coalizione, fino a sostenere perfino chi lo aveva esautorato dal governo. Perché il berlusconismo è governativo d’indole. In questo somiglia alla vecchia Dc che fu partito di governo, mai d’opposizione. Sul piano politico, il berlusconismo nasce da un’operazione ingegnosa: raccogliere l’eredità del centro-sinistra in un quadro bipolare, servendosi delle forze ostili al vecchio establishment processato da Mani pulite. Così l’erede della Dc e dei partiti laici, liberali e socialisti, trova come alleati la destra venuta dal Msi e la Lega Nord di Bossi.
Sdogana due forze outsider e offre loro la possibilità di vincere e fermare la sinistra, in cambio del riconoscimento della sua leadership. Così nasce la monarchia berlusconiana, traduzione politica del berlusconismo. Il filo conduttore è il populismo, l’anti-sinistra, più un vago amor patrio, che per la Lega si restringe alla Padania. Le parole della politica di cui si appropria Berlusconi sono soprattutto due: liberale e moderato, ma non abbandona mai il riferimento ai cattolici e il debito verso Craxi.
La rivoluzione liberale diventerà uno slogan e un blasone, anche se sarà solo enunciata. il voto moderato si esprime anche con toni radicali, fino a dare l’impressione che il berlusconismo possa diventare una forma di bonapartismo (Berlusconi come un Napoleone dell’era televisiva). Ma nonostante le accuse (sintetizzate dal film di Moretti il Caimano) la deriva autoritaria non era nella natura del berlusconismo e di Berlusconi. E così è stato.
Ma il berlusconismo non è una teoria politica, non rientra nelle vecchie categorie. Usa il gergo sportivo, ricreativo, commerciale, rifugge ogni pedagogia etico-politica, ogni progetto educativo, diffida delle regole, nel nome della libertà e del privato, dello svago e della vita reale delle persone. Introduce nella politica il sorriso, la piacioneria, il corteggiamento. Riporta la politica al tempo reale, pur con la motivazione del sogno, l’italian dream. Il suo populismo non è rancoroso e ribelle, come in parte era quello missino e leghista e come sarà quello grillino; ma è gaudente, garantista, fondato sui fatti o almeno sulla retorica dei fatti. E’ la sua antipolitica: intercetta la protesta contro il potere ma la stempera in ottimismo costruttivo.
Sul piano culturale, il berlusconismo non ha rapporti con la cultura conservatrice, le idee di destra, il pensiero nazionale; non la promosse né la veicolò al governo o nelle sue reti. Come già aveva fatto la Dc, lasciò alla sinistra il dominio culturale, non ne oppose un altro, limitandosi a esercitare la sua influenza tramite il disimpegno, lo sport, la telenovela e l’intrattenimento pop. Il berlusconismo nelle sue tv lasciò più spazi a temi e autori sinistrorsi che al mondo cattolico o conservatore, salvo l’ossequio al leader e alla “mission” commerciale della tv.
Il berlusconismo probabilmente non durerà oltre il suo fondatore; ma più che sparire si ibriderà coi nuovi media e altri racconti. La stessa sorte si può prevedere per Forza Italia, come per Mediaset: la fusione, la confluenza, la metamorfosi. Avremo un berlusconismo hybrid e col tempo muterà pelle e perderà il nome…

(Panorama, n.26)


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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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