E venne il tempo dell’ordine e della decisione
Più Stato. Più Ordine. Più Autorità. Più Disciplina e Ubbidienza. Pieni poteri. Coesione nazionale. Amor patrio. Focolare domestico. Muri, recinti, confini. Non sembra di vivere nello stesso paese di febbraio scorso e degli anni precedenti. Tutto è cambiato, anzi si è capovolto, sul filo del coronavirus e della paura.
Non solo, ovviamente, per le misure eccezionali adottate; ma per il messaggio che le accompagna, il sostrato profondo a cui si appella. Dappertutto appelli alla nazione e agli italiani in tenuta da guerra, con una predicazione fino a ieri calpestata e irrisa, comunque rigettata. Il lessico prevalente di questi giorni evoca il patrimonio ideale, morale e pratico di una visione conservatrice, nazionale, decisamente anti-global, anti-sessantottina, anti-libertaria.
Avverti che il vento è cambiato quando senti in tv persino il mite buonista Walter Veltroni evocare addirittura l’unicità del comando, un solo capo che decida su tutto e per tutti; e quando leggi sul Corriere della sera che persino il biografo-detrattore di Mussolini, Antonio Scurati, si appella al “sentimento di appartenenza a un comune destino”, come avrebbe detto il Duce medesimo… E quando senti da tutti che non si tratta più di rispettare i parametri europei, di attenersi alle direttive europee, di auspicare più Europa, ma al contrario esigere che i nostri margini possano essere sforati davanti a un’emergenza nazionale. Oggi nessuno osa mettere in discussione che tra l’assetto contabile delle finanze e la vita reale dei popoli si debba scegliere senza esitazioni la seconda.
Ora, non si tratta di rivendicare rivincite politiche e revanscismi ideologici, che sono in generale inopportuni e in questo frangente del tutto impropri; si tratta semplicemente di affrontare la realtà, di essere pratici, realisti, tenendo a mente cosa è necessario per dare efficacia alla profilassi e alla ripresa di un paese in ginocchio. Non si può pensare di governare un paese prescindendo o addirittura mortificando ogni giorno quei principi, quei criteri di organizzazione, quei riferimenti efficaci e necessari alla vita insieme; salvo richiamarli in servizio di corsa, con l’ambulanza. Sono il sottofondo ordinario della vita di una collettività e diventano lo sfondo necessario in caso di emergenza, come nel nostro caso.
L’ordine è un bene e non un male, lo Stato dev’essere autorevole e non minimo o permissivo, il decisionismo di chi guida una nazione dev’essere ampio e forte, tempestivo e responsabile, non è l’anticamera della dittatura; la disciplina e l’ubbidienza sono virtù da coltivare, non brutte piaghe da estirpare; la coesione nazionale e l’amor patrio sono sacrosanti e positivi principi di vita comunitaria e non denotano alcuna fobia verso stranieri o altre etnie; la casa è un valore e un bene-rifugio non solo in senso degli investimenti patrimoniali; i muri protettivi servono, nelle città come negli ospedali e nei paesi, come i recinti, come i confini, e non bisogna cancellarli o abbatterli. E tutto questo non va tirato in ballo come un freno d’emergenza solo in caso eccezionale; ma è necessario che rappresenti la forma quotidiana di vivere civile, il modello di educazione pubblica, che in tempi sereni viene contemperato con il senso della libertà, dell’autonomia, dei più ampi scenari e di più duttili facoltà di circolazione.
Non pensiamo che si tratti solo di fronteggiare un’emergenza perché una società assai complessa e interdipendente come la nostra, dove la viralità è nelle cose prima che nelle malattie, occorre che ci sia unità di comando, tempestività delle decisioni, priorità alle competenze, gerarchie delle responsabilità, possibilità di far rispettare l’ordine e la disciplina, senza deroghe e indulgenze. Quando poi si tratta di decidere chi curare prima di altri, scelta ripugnante che tutti vorremmo evitare, allora riemerge il problema di fondo che quando non puoi adottare come vorresti un criterio universale, devi scegliere: e dunque stabilire chi viene prima rientra in ogni emergenza, dai tempi in cui si diceva davanti a un’emergenza, prima le donne, i vecchi e i bambini; o prima i connazionali o prima i più bisognosi.
Qualunque sia il criterio occorre qualcuno che sia in grado di stabilire il metodo e farlo osservare. Cadono nel nulla e nel ridicolo le decisioni assembleari, la collegialità e la concertazione oppure l’uno vale uno, l’incompetenza al potere, e via dicendo. Tornare alla realtà per affrontare le chiamate imperiose del destino.
MV, La Verità 12 marzo 2020