Eliade e Cioran complici nella grandezza

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Si respira aria di grandezza, qualcosa di eccelso e di perduto nel carteggio tra Emil M. Cioran e Mircea Eliade. La grandezza epica e tragica di un mondo, di due scrittori che svettano sul loro tempo, di un’amicizia più forte del fuoco, di una tensione spirituale rara e ormai sconosciuta. E un legame patrio profondo e carnale quanto sofferto, a tratti rigettato, di due esuli dalla Romania, divenuti poi esuli dal comunismo. Quel mondo lontano da cui provengono, in cui hanno vissuto l’infanzia e la giovinezza, li unisce ma non li reclude, semmai li spinge all’esilio nel mondo. Eliade viaggia tra Oriente e Occidente, vive in India e poi si stabilisce in America, passando per Lisbona e Madrid; una vita intensa tra università, viaggi e conferenze, sulle tracce del sacro. Cioran si ritira a Parigi, vivendo da bohémienne e da flaneur nel Quartiere latino, coltivando una briosa estetica del fallimento, in cui rende scintillante e perfino cordiale il nichilismo, nella prosa e nello stile di vita.

Il titolo dell’epistolario è Una segreta complicità (ed.Adelphi, pp.300, 22 euro) e raccoglie le lettere intercorse tra i due nell’arco di mezzo secolo, tra il 1933 e l’83. La loro segreta complicità può intendersi su vari piani. Sono accomunati da un peccato di gioventù. Indicibile. Hanno creduto nella rivoluzione nazionale “di destra” della Guardia di Ferro di Corneliu Zelea Codreanu; e di quella speranza, di quella militanza, vi sono tracce innegabili in questo carteggio. Eliade è entusiasta perfino della Berlino nazista del 1936, che visita al tempo delle Olimpiadi. Cioran guarda con simpatia al nazional-populismo di Doriot e collabora brevemente col governo di Vichy. Ma condividono il richiamo generazionale alla terra d’origine da cui però sono fuggiti, prima che per ragioni politiche, per ragioni esistenziali, per vivere nel cuore del mondo, per conoscere e confrontarsi con lo spirito del tempo e non finire reclusi nel conformismo periferico, contadino e poi comunista del loro paese. E sono accomunati dal rifiuto e dal disgusto per la storia.

Ma la più profonda complicità è nella visione del mondo incentrata sul destino, che esprimono in modi opposti. Per tradurre la loro dualità in modo banale ma comprensibile, Cioran naufraga nel pessimismo mistico, Eliade invece esprime ottimismo religioso. Pur con opposti esiti hanno una comune matrice, rigettano l’illusione del tempo e vivono sul confine tra l’essenza e l’esistenza. Per Cioran la religione riveste il Nulla disperato e assoluto, di cui Dio è solo un grandioso pseudonimo. Per Eliade, invece, le religioni possono tramontare e trasmutare ma restano alla base e alla cima del mondo e dell’uomo. Ma Cioran il nichilista reputa Eliade “irreligioso” come lui e ritiene che si occupi di religioni pur non avendo alcuno spirito religioso. All’opposto, Eliade sostiene che Cioran compia “la più precisa autopsia del cristianesimo”, mentre a lui tocca “il più disperato tentativo di riattualizzarlo attraverso la storia comparata delle religioni”.

Anche nell’epistolario, Cioran corteggia la morte e costeggia la disfatta, con voluttà di catastrofe; invidia chi come Paul Celàn, ha avuto il coraggio di suicidarsi, attribuendo alla sua indole contadina l’accanimento a vivere. Eliade racconta i suoi mondi reali e virtuali, in forma di romanzi, studi ed esperienze di vita alla ricerca del sacro, del mito e delle origini. Ma poi tornano sulle comuni amicizie romene, dai filosofi Costantin Noica e Mircea Vulvancescu al drammaturgo Eugéne Jonesco – descritto nella sua decadenza, “invecchiato, abbattuto, assente, senza più curiosità” – allo scrittore Vintila Horia e alla campagna diffamatoria orchestrata dai comunisti francesi e dal regime di Bucarest contro di lui, costretto a non ritirare il premio Goncourt a Parigi. E tornano al loro spirito di gioventù, narrano i loro ardori sessuali. Eliade confessa di sentire “un atroce bisogno di evadere nell’irrazionale, nella carne, nella degradazione vitalizzante e fertile della prima giovinezza”. E Cioran racconta il suo bisogno d’incontrare “persone volgari e provare un genere di dongiovannismo nato dalla disperazione, dalla nausea e dalla passione”.  Cioran difende Eliade quando lo bandiscono dall’università per immoralità e letteratura pornografica, nonostante il giovane professore, benché trentenne, abbia già pubblicato una quindicina di libri e sia il massimo orientalista dei paesi baltici.

Colpisce la generosità di Eliade nei confronti di Cioran, i continui invii di denaro per aiutarlo, sapendo che se la passava piuttosto male. Ma colpisce pure la generosità del cinico Cioran che spesso distribuiva le somme inviategli da Eliade tra i profughi romeni più bisognosi. Anzi, lui individualista assoluto, povero e maledetto, si sobbarca di mantenere tre nipoti rimasti a suo carico, in seguito alla morte della loro madre – sua sorella – e di sua madre. Proprio io, nota Cioran, che ho orrore morboso per il matrimonio e ho fatto di tutto per non avere una famiglia… La loro solidarietà verso i connazionali è fattiva, anche se spesso si accompagna a giudizi negativi sulla loro indole e la loro condotta.

Le ultime lettere sono un inventario dei rispettivi malanni, “Siamo giunti a un’età in cui tutto ruota intorno alla salute e alla malattia, e questo tormento è insieme tragico e umiliante”, scrive in una delle sue ultime lettere Cioran, alla fine dell’82. Eliade morirà quattro anni dopo, Cioran tredici anni dopo. La loro inattualità nasce dal contrasto stridente tra la loro grandezza d’animo e la presente, meschina aridità. Due giganti in esilio nel tempo.

MV, La Verità 10 gennaio 2020

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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