Il silenzio tombale di Mattarella

Sergio Mattarella è il punto fermo nel nostro convulso universo politico e istituzionale. Tutto si agita nei poteri, nei partiti, nel paese, le toghe svolazzano nere sui Palazzi; tutto si muove, eccetto lui, il Primo Motore Immobile delle Istituzioni. Un punto fermo ci vuole nel caos; ma che sia troppo fermo?

No, rispondono, è solo apparenza, Mattarella muove le fila, parla anche da muto, agisce sobrio, silente, allusivo, suggerisce, si muove come un sommergibile, non si esibisce. Sarà, ma troppe volte avremmo voluto che l’arbitro della Repubblica arbitrasse, che il Garante dello Stato garantisse. Troppi nodi irrisolti, troppe storture, troppi sfregi alla Costituzione, alla libertà, alla democrazia, alla divisione dei poteri… Dalla pandemia al pandemonio. E invece, dal Colle solo sermoni congelati, messaggi come moduli prestampati, predicozzi e rituali ovvietà. Più il solito politically correct, il solito antifascismo rituale, il solito luogocomunismo in apparenza ecumenico. Niente sugli abusi compiuti nel nome della salute, nessun appello di nessun tipo alla nazione alle prese col momento peggiore della nostra storia repubblicana.

Conte e Bergoglio gli rubano non solo la scena ma anche il ruolo. Da un lato il Conte Vanesio si mostra al Paese come Unica Voce del Palazzo, col suo protagonismo istituzionale e i suoi continui messaggi alla nazione: Mattarella ne fa uno a fine anno, i restanti giorni li fa Conte con la regia del suo puparo Rocco Casalino. Dall’altro lato Bergoglio troppo spesso parla da presidente, si occupa in modo laico, tra cornici secolari, di temi sociali, economici, sanitari, politici, migratori, internazionali, come se fosse al Quirinale. Mattarella, schiacciato nella morsa, appare come il vicario dei due, o l’intervallo, la pausa. Tace.

Sul pasticciaccio del Csm Mattarella si è trincerato dietro il formalismo giuridico, dicendo che non è in suo potere scioglierlo: ma basterebbe a un presidente esternare il suo parere o rifiutarsi di presiederlo per delegittimarlo e spingerlo alle dimissioni.

Ho vanamente sperato in tutti questi anni che Mattarella uscisse dal sarcofago, si dimettesse dal ruolo egizio di Mummiarella a cui era stato destinato dal suo Grande Elettore, Matteo Renzi; che ci stupisse, come fece anni fa il rimpianto Cossiga, che ci spiazzasse e ci facesse capire che è pure il nostro presidente, anche di noi che idealmente non lo avremmo votato. Insomma che fosse il presidente di tutti gli italiani e il Custode Supremo dello Stato, della Patria, della Costituzione. E invece, l’unico suo messaggio di questi ultimi mesi è che se cade Conte non si fanno altri governi, si va subito al voto: così spaventando i tre quarti dei Parlamentari ha donato una polizza salvavita all’indecente governo in carica e al premier che vende fumo in piena disgrazia.

Ricostruiamo la parabola di Mattarella. Per decenni era stato coricato nell’oblio, nel frigorifero, nelle seconde file della prima repubblica. Poi un bel giorno per un gioco di prestigio di Renzi, a sorpresa, un reperto old style della canuta Dc e del vecchio notabilato, apparve d’un tratto come la risorsa segreta della Repubblica. Appena eletto, tutti presero a vantarlo: quanto è santo, saggio e prestigioso, ecco l’uomo necessario all’Italia. E noi increduli chiedevamo: ma in tutti questi anni non vi eravate mai accorti di quanto fosse necessario Mattarella, visto che non avevate mai pensato a lui a proposito di niente? D’improvviso Mattarella passò per statista, via di mezzo tra Moro e Andreotti; la sua flemma, il suo aplomb, la sua bocca cucita, i suoi discorsi biascicati come rosari, la sua lieve gibbosità senza collo che fissava la testa sulle spalle, la nuvola bianca sul capo, furono i segni visibili della sua saggezza e della sua felpata prudenza.

Per carità, Mattarella è persona ammodo, corretta sul piano formale, dignitosa. Ma è forse il garbo il primo requisito per il capo di qualunque impresa, pubblica o privata? Figuratevi il Capo dello Stato.

Lo Zar Matteo partorì Mattarella al Quirinale per circondarsi di ombre e rifulgere come il Re Sole del sistema politico. Mattarella era una figura minore della prima repubblica, un gregario della corrente demitiana, aveva qualche notorietà perché proveniva dalla Famiglia Mattarella, figlio di quel Bernardo e soprattuto fratello di quel Piersanti ucciso dalla mafia. Il suo nome era legato al Mattarellum che non è un suo antenato ma uno dei tanti artifici elettorali della seconda repubblica, come il porcellum, il tatarellum o qualche altro pasticcellum parlamentare. Mentre il suo capocorrente Ciriaco De Mita diventava sindaco di Nusco, l’affiliato siculo diventava Presidente della Repubblica. Eccolo, il presidente ideale, la figura mosciarella che non fa ombra a nessuno, non parla ma sibila, non si muove ma fruscia; il capo dello statico. I suoi primi messaggi tavor di fine anno narcotizzavano gli italiani che dopo averlo sentito non aspettavano nemmeno la mezzanotte perché cadevano nel sonno… Mattarella appariva come un regnante assiro-babilonese, frutto di altre epoche e altri mondi e lo confermava il suo stile, il suo linguaggio, il suo incedere, il sontuoso copricapo bianco, suo e del suo inseparabile alter ego. Poi avvennero due cose impreviste: il crollo verticale di Renzi e la calata dei barbari, incapaci e ignoranti al potere. A quel punto Mattarella è apparso al paragone un eccelso statista, un illuminato giurista, un gigante della repubblica, quasi un messia.

Nella grave situazione anche noi cominciavamo a guardare a lui con disperata speranza. Prima o poi interverrà, lancerà segnali di vita… E invece Mattarella non ci sta traghettando verso alcun porto, non indica alcuna rotta, si limita al ruolo di guardiano del faro. Scruta di giorno e lampeggia di notte. Troppo poco per un paese che rischia di esplodere e poi di affondare.

MV, Panorama n.24 (2020)

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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