​La censura secondo Montanelli

In tema di censura sono latore di un messaggio postumo di Indro Montanelli alla Sinistra Indignata. Rifiutandosi di unirsi ai comunisti nella lotta contro la censura scrive: “Onestamente non ci sentiamo di combatterla a fianco di gente che quotidianamente si appella alla coscienza nostra senza mai mostrarci quella sua e che anzi si ricorda di averne una solo su comando del padrone di turno” Corriere della sera, 11 novembre 1961. 

Ma che pensava Indro Montanelli della censura in tv, al cinema, sulla stampa? Stasera ne parleremo a Fucecchio, sua città natale in un incontro promosso dalla Fondazione a lui dedicata per presentare l’antologia montanelliana Contro ogni censura. Un rimedio peggiore del male, pubblicata da Rizzoli con un mio saggio introduttivo e i testi a cura di Guendalina Sertorio. “Dove c’è censura, io non ci sono” diceva Indro.

Montanelli non fu censurato dal regime fascista ma dal conformismo dell’Italia democratica e antifascista: prima costringendolo ad abbandonare il Corriere della sera, poi silenziandolo e disprezzandolo con la fondazione de Il Giornale. Eppure Montanelli non era un pericoloso estremista, raccomandava ai suoi lettori di votare Dc, come faceva anche l’altro grande quotidiano di destra del centro-sud, il romano Il Tempo: lui consigliava laicamente di turarsi il naso, Il Tempo di Gianni Letta, cattolicamente, esortava a farsi il segno della croce, ma entrambi consigliavano di votare scudo crociato.

Montanelli ebbe problemi di censura quando legò il suo Giornale a TeleMontecarlo, attaccato da pretori d’assalto, sinistre e perfino attentati terroristici. Una volta fu censurato in Rai: era il tempo in cui con il Giornale stava indagando su Ciriaco De Mita per l’Iripiniagate, dopo il terremoto del 1980. Gli annullarono un’intervista a Domenica in, lui denunciò la censura. Poi cercarono di riparare. Per quell’inchiesta sul Giornale fu pure trascinato in tribunale per diffamazione. Ma Indro ne uscì alla grande, e restarono memorabili alcune sue battute in tribunale su politica e malavita. Fu assolto a furor di popolo e di legge.

Montanelli subì, però, una duratura e subdola censura con Il Giornale, dal 1974 in poi; negli anni settanta, in città, fu temerario comprarlo in edicola o mostrarlo per strada. Eppure Montanelli aveva spiegato in una lettera del 1974 ad Alessandro Galante Garrone che si era assunto col Giornale il compito di rappresentare la “maggioranza silenziosa” per ricondurla all’ovile della democrazia liberale, e distoglierla dal Msi di Almirante; tra loro, diceva, c’erano tante brave persone. Poi la sua gambizzazione ad opera di terroristi rossi e la censura della notizia sulla stampa, a partire da un memorabile titolo apparso sul Corriere della sera che ometteva il suo nome. Poi tanti anni dopo, la frattura con Berlusconi, a lungo suo editore, e l’uscita dal Giornale, a vent’anni dalla sua fondazione. 

L’ultima censura Montanelli l’ha patita da morto, con la sua statua più volte imbrattata perché accusato di aver stuprato una giovane abissina (ma la presunta vittima chiamò suo figlio Indro).

Il nemico di Montanelli non fu la censura ma il conformismo che è una censura indiretta, viscida, gommosa. Così scrisse a chiusura dell’avventura da direttore de la Voce, il 12 aprile del 1995: “Per tenere e difendere le mie posizioni, ho dovuto in questi ultimi anni, fondare due giornali contro: contro la sinistra quando era la sinistra a minacciarle: ed ora contro l’attuale parodia di destra che le sta – cosa ancora più pericolosa – discreditando. Due battaglie, due sconfitte, di cui vado ugualmente fiero, ma che mi hanno lasciato addosso – nel morale ma anche nel fisico troppe cicatrici” .

Nelle pagine dell’antologia, Montanelli si occupa di censura al cinema e in tv, sulla scia di Curzio Malaparte (per una volta i due furono concordi). I bersagli di Montanelli contro la censura sono soprattutto i ministri dc Remo Gaspari, Umberto Tupini e Giulio Andreotti. In particolare difese dalla censura de La Dolce vita di Fellini; il regista commosso lo ringraziò: “Ah, Indro, mi hai fatto venire le lacrime agli occhi di gioia”. Analoga difesa, anche se meno accorata, Indro fece di Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti e de l’Avventura di Michelangelo Antonioni. Montanelli è realista, non chiede di abolire la censura, pur detestandola, ma di limitarne i danni e l’incidenza. L’ideale sarebbe per lui che il cinema si autodisciplinasse, senza ricorrere alle forbici del potere. La censura a suo dire è un male inevitabile, però non serve agli scopi per cui viene invocata e usata: perché non sa distinguere tra opere d’arte e film scadenti di cattivo gusto, è inutile e controproducente con i suoi divieti; l’ottanta per cento dei film, osserva, sono oltraggi al pudore, e dunque l’unico criterio di cernita è artistico, di qualità. E prefigura uno scenario preoccupante: se il pudore è così di frequente oltraggiato, qualunque Pubblico ministero può disporre il sequestro di un film su territorio nazionale, così paralizzeremo il cinema. Nella censura Montanelli ritrova l’indole vile e puerile degli italiani che hanno bisogno di scaricare su un’autorità il peso delle scelte che invece toccherebbero a loro, cittadini adulti. La censura morale può farla Catone, non un commissario governativo; appartiene all’etica più che al codice penale.

Per filtrare i film, Montanelli auspica l’uso oculato e selettivo del finanziamento pubblico: anziché censurare, meglio non sovvenzionare a pioggia il cinema ma solo i film di reale valore e interesse artistico, e non le pellicole volgari e banali. Il movente dei film pornografici, fa notare a chi li difende come libera espressione, non è la libertà ma solo far cassetta; puntano solo agli incassi. Montanelli ripudia la pornografia quanto il suo opposto, la bigotteria. Se la prende poi con la censura delle idee in Rai e cita il caso assurdo del dissidente russo Andrej Siniavskij che fugge dalla censura dell’Unione sovietica e viene censurato dai soviet della Rai nostrana, per mano di Enzo Forcella, allora soprannominato Forbicella… 

Già nel 1964 Montanelli denunciava la Rai per l’abuso di Resistenza e l’overdose di antifascismo, il monopolio partigiano dei comunisti e l’omertà su altre pagine di storia come l’attentato di via Rasella. Già 60 anni fa gli pareva anacronistica la partigianeria della Rai…

E oggi? Montanelli sarebbe contro la censura nel nome del nuovo moralismo progressista woke, della cancel culture e dei suoi totem intoccabili. Un nuovo bigottismo soffia, ma non è di matrice cattolica o reazionaria; al contrario, è di stampo radicale, progressista, ateo e laicista. Censura chi non è conforme a loro, salvo fingersi pure vittima della censura. Vera censura e falso vittimismo, che miscela letale…

La Verità – 24 maggio 2024

 

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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