La fine della cristianità
Tratto da Tramonti (ed.Giubilei Regnani, p.304, 18 euro), il nuovo libro di Marcello Veneziani
C’è un processo straordinario che sta avvenendo sotto i nostri occhi e dentro le nostre menti di cui non cogliamo la portata, che è ben più importante, vasto e radicale della crisi economica: il cristianesimo sta lasciando l’Europa. O, più radicalmente siamo giunti alla fine della cristianità?
Tre fattori di natura diversa stanno spingendo in quella direzione.
Scristianizzazione dell’Europa
Il primo è l’ormai secolare scristianizzazione dell’Europa che accelera a passi da gigante. Un processo che non riguarda solo il sentimento religioso, la partecipazione ai riti e alle messe, il calo dei sacramenti, il crollo delle vocazioni ma investe il senso di appartenenza alla civiltà cristiana e va dalla cultura al sentire popolare, dagli orientamenti di fondo alla vita quotidiana.
Quel che appariva come naturale e civile, consolidato nei millenni, nei costumi e nei cuori, sta cadendo a una velocità sorprendente e investe in primo luogo la persona in rapporto alla vita e al sesso, alla nascita e alla morte; subito dopo travolge la famiglia in ogni aspetto. E la morale, i costumi, i linguaggi. Sconcertano e indignano persino, convinzioni comuni da secoli, in vigore fino a pochi anni fa, figlie della civiltà cristiana.
Non si comprende più il linguaggio del sacro, non si riesce più a viverlo e a rappresentarlo, tantomeno a figurarlo. L’esempio più lampante sono le chiese edificate negli ultimi decenni, che non sanno suscitare devozione, preghiera, contemplazione, ammirazione.
Il peccato originale dell’Unione europea
Al primo fattore sociale e culturale si è unito un secondo fattore istituzionale: l’Unione Europea non esprime una comune visione storica e strategica, culturale e spirituale ma è forte, evidente e prevalente la spinta a liberarsi, emanciparsi da ogni legame con la civiltà cristiana e il suo universo di valori e consuetudini.
Il peccato originale dell’Unione europea si rivelò già nel rifiuto di riconoscere, come chiesero invano San Giovanni Paolo II e Ratzinger, le radici cristiane dell’Europa, insieme alla civiltà greca e romana.
Quelle origini erano peraltro l’unica base comune su cui poter fondare l’Europa, che per il resto è divisa e lacerata da secoli. Ma le norme che sono poi seguite, tante decisioni assunte dai consessi europei e delle sentenze delle corti europee, sono state improntate a un’evidente scristianizzazione dell’Europa.
Ciò è avvenuto nonostante la presenza di un partito popolare europeo d’ispirazione cristiana per anni maggioritario in seno all’Europa, e nonostante la leadership europea di Angela Merkel, alla guida di quel partito e della nazione-egemone nell’Unione.
Il filo comune che ha tessuto l’Europa è stato affidato alla moneta e alle linee economico-finanziarie, sradicando ogni possibile richiamo all’unità di natura meta-economica, salvo un vago illuminismo imperniato sui diritti umani.
La pressione degli immigrati
Il terzo fattore è la massiccia pressione degli immigrati, in prevalenza di religione islamica che si ammassa sulle sponde del Mediterraneo e riempie le strade e le città europee. A parte gli evidenti traumi e disagi sociali e civili, in tema di accoglienza e ordine pubblico, quell’invasione produrrà un’ulteriore alienazione della cristianità in Europa.
La sorte degli immigrati sembra segnata da un bivio: radicalizzazione nell’islamismo o integrazione nel laicismo nichilista occidentale. Certo, avverrà pure l’inverso, la conversione di alcuni di loro al cristianesimo, anche per integrarsi nelle nostre società; ma più difficile sarà nei confronti di chi ha già una forte impronta monoteista di tipo islamico.
Gli immigrati si convertono all’ateismo pratico d’Occidente, che ha fede nella tecnica, nel mercato e nell’io. Ma accade anche il caso inverso, il radicalizzarsi nella fede originaria, islamica in particolare, quando si è a rischio di perderla, per affermare la loro identità in reazione al mondo circostante che sentono come estraneo e insensato.
Ai tre fattori imponenti del declino cristiano se n’è aggiunto dal 2013 un quarto, che da un verso risponde ai primi tre, dall’altro induce la Chiesa a non subire ma favorire questo “decentramento” del cristianesimo nelle periferie del pianeta: l’elezione di un papa ‘venuto dalla fine del mondo’ e il segno del suo pontificato tutto rivolto all’esterno, fuori dalla cristianità, aprendosi al mondo, accogliendo gli altri, a partire dagli islamici, rivolgendosi a chi è più lontano dalla fede cristiana e dai suoi luoghi.
Il suo tema principale è il pauperismo coi suoi corollari, l’accoglienza dello straniero senza riserve e il primato di cure e attenzioni alle cosiddette vite di scarto. I padri della chiesa a cui si ispira sono Bauman, don Milani e la sociologia della Liberazione.
Il cristianesimo sta ritirandosi dall’Europa e sta cercando di risalire dai bordi, visto che il portone principale è inagibile. Certo, è vano arroccarsi in una posizione di pura difesa del cattolicesimo romano e della sua tradizione.
Però la Chiesa di Francesco sembra tutta immersa nello spirito del tempo, che è permeato di ateismo pratico e di umanitarismo laico; e spesso ammicca ai temi, ai dogmi e alle fisime del politically correct. Reputa giusto ciò che è nuovo, ciò che smentisce l’esperienza dei secoli, la fede dei millenni, l’autorità dei padri.
Qualcuno dirà che è missione del cristiano non fermarsi solo al proprio gregge ma inseguire evangelicamente la pecorella smarrita. Il problema è che si è smarrito il Pastore.