La miserabile guerra dei vitalizi

A costo di scandalizzarvi vi dirò che questa storia dei vitalizi la trovo a dir poco miserabile. E non solo e non tanto perché si ridurrà a un mezzo raggiro e il Senato poi la modificherà, se non l’affosserà.

Ma proprio la questione in sé è indecente.  Aggiungo, per scandalizzarvi ancora di più, che non vedo alcun privilegio nei 5 mila euro al mese di pensione percepiti da De Mita e da Cirino Pomicino, da D’Alema e da Fassino e tanti altri, o dei 3 mila euro a Mario Capanna.

Ho citato volutamente personalità politiche distanti da Il Tempo, dai suoi lettori e da chi scrive; anzi, personalità che hanno a mio parere, in varia misura, concorso a peggiorare questo Paese. Ma parlo di responsabilità politiche, e dove ci sono accertate responsabilità penali, si proceda senza indugi.

Rivalersi invece sulle loro pensioni, accanirsi sulla loro età avanzata, colpirli non da potenti ma da impotenti o quasi, e far credere che sottraendo a mille privilegiati un pezzo del loro vitalizio si possa innalzare il livello delle pensioni di dieci milioni d’italiani, la considero un’indecente menzogna.

È miserabile demagogia quella che si accanisce contro la vecchia classe dirigente, delegittimando ogni classe dirigente, perché serve solo ad aizzare e rubare voti a una popolazione stremata, che ha pensioni di fame ed è comprensibilmente risentita.

In un sistema equilibrato, in uno Stato sociale giusto che riconosce meriti, capacità e responsabilità, i posti di comando sono un onere e poi un onore, occorre speciale attitudine che richiede adeguato riconoscimento.

Trattandosi in questo caso di politica, il riconoscimento dovrebbe riguardare innanzitutto il prestigio, cioè una considerazione non traducibile in termini economici perché fondata sul rispetto e sulla gerarchia, poi dovrebbe riguardare alcuni “privilegi” che hanno un valore simbolico come accessi riservati che sottolineano l’importanza autorevole della loro funzione, infine più limitatamente, i loro emolumenti.

L’unico alibi è che stanno usando la clava contro i vitalizi per colpire una classe dirigente che riteniamo sia stata inadeguata e incurante delle vere condizioni del paese.

Altrove li impiccano, li mettono in galera, li cacciano dal Paese; da noi che siamo più temperati, più civili, abbiamo amici e parenti e abbiamo giudizi più controversi, ci limitiamo a multarli sulla pensione, molti anni dopo che hanno nuociuto.

Li torturiamo in modo soft, con sistema rateale, e soprattutto li mettiamo alla gogna. Diciamo poi che tutto questa indignazione è insorta e si è allargata, da quando i benefici dello Stato mammella, non sono più estesi anche alla gente, in forma di microprivilegi, minivantaggi, moratorie, parassitismi, posti rubati.

Diciamo la verità, la classe dirigente del nostro Paese rispecchia in tutto, anche nel livello di (dis)onestà, il livello medio del nostro Paese. La colpa che possiamo attribuire loro è che una vera classe dirigente non può solo rispecchiare la mediocrità generale ma porsi un gradino più su, perché deve guidarlo, questo benedetto Paese.

Estendo il discorso ai parlamentari. Se fossero davvero il fiorfiore, scelti davvero dai cittadini elettori, con grandi responsabilità sulle spalle, meriterebbero un trattamento di prestigio e di considerazione. Non tanto sui soldi quanto- insisto- nel ruolo pubblico e negli accessi riservati.

Il vero problema dei nostri parlamentari non è che prendono troppo ma che valgono poco, nella maggioranza dei casi; sono selezionati male, con criteri in cui la qualità non conta, fanno poco e male, non hanno mestiere, mutano casacca come prostitute e mercenari, danno spettacoli indecorosi.

E sono troppi. Andrebbero dimezzati, diversamente selezionati e allora sì, meriterebbero quel che prendono. Dimezzandoli nel numero, oltretutto, si risparmierebbe di più senza delegittimarli e additarli al pubblico disprezzo come si sta facendo adesso.

Così come andrebbero eliminate, quelli sì e subito, le mega-indennità alle spesso inutili authority, i cosiddetti garanti (del loro personale benessere). Ma inferire contro chiunque guadagni tanto, senza capire se li merita o meno, o se da manager, da personaggio, da leader, ha portato vantaggi e fatturati alla sua azienda, è una forma di comunismo straccione, di risentimento plebeo che, ripeto, è comprensibile nella popolazione indigente, ma che diventa infame se diventa norma di legge, proposta politica e vessillo elettorale.

È un modo per disincentivare l’impegno a far bene.

Ma come, reputiamo normale che un ragazzotto possa guadagnare fiori di milioni se è un calciatore o un cantante, e poi ce la prendiamo se un manager che risana un’azienda o fa davvero salire i fatturati, prenda una percentuale sul suo successo?

La perversione italiana è che finora manager che hanno affossato aziende pubbliche (prendi Alitalia, ma è un esempio tra cento), siano andati via con liquidazioni favolose anziché con procedimenti a carico, penalità e confische.

Per questo dico che la gara tra piddini e grillini tra chi è più populista e più anticasta, la trovo indecente. Capisco che un partito d’opposizione non possa che accodarsi alla campagna, come fanno Salvini e Meloni.

Ma per noi che non abbiamo voti né seggi da difendere, e tantomeno vitalizi, parenti o affini da salvaguardare, la guerra dei vitalizi fa davvero schifo.

MV, Il Tempo 28 luglio 2017

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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