La sinistra si gioca la matta

Tra il 25 aprile e il 1 maggio, la settimana santa della sinistra diffusa, è successo qualcosa di nuovo che non si era mai visto. Non viene dai cortei e dai lavoratori, non proviene dai sindacati e dai partiti storici della sinistra. Ma da due atti fortemente simbolici, che abbinano la politica al vestiario. Protagonisti, o forse solo medium di questa Mutazione, anzi indossatori della nuova collezione primavera-estate della transinistra da passeggio, sono due figurine assai diverse, di nome Elly e Pelù. Ma loro sono, come dicevamo, soltanto dei medium, dei model. Perché i veri protagonisti sono le loro icone: l’armocromista, che suggerisce i colori da indossare e Mattarella in versione rock, stampato sulla maglietta di Pelù, coi capelli rossi tra il punk e il jolly del mazzo di carte (costituzionali). Le location delle due performance sono la rivista Vogue e il palco della festa del Primo Maggio.

Partiamo da Elly Schlein. Mettiamo via le polemiche sul suo triplice passaporto, sulla sua origine aliena, sulla sua provenienza dal nulla politico, storico e sociale. E buttiamo a mare le sgradevoli polemiche intimo-corporali, sul lesbismo, la bocca cavallina, l’aspetto da cornacchia e tutto quanto può funzionare al più nella satira ma non ha senso in politica. L’unico argomento border line, a cavallo tra l’estetica, la satira e i contenuti è quello usato una volta da Vittorio Sgarbi, che si riassume nella frase “Più bella che intelligente”. Ma sul tema estetico ci ha trascinati lei, con quell’intervista e col relativo book fotografico di pose e trench. Elly ha mostrato di essere un vero capo; d’abbigliamento.

No, signori, no compagni, il problema non è l’armocromia, smettiamola di riderci su e intrattenerci su questo. Il problema vero è che l’unica parola nuova che ha detto Elly Schlein da quando guida il Pd, è armocromia. Il resto è il solito repertorio a tutti noto: antifascismo, razzismo, accoglienza, transessuali, omo, eco, eccetera eccetera. E poi nulla di nuovo in tema di guerra e di armi, di termovalorizzatori e di alleati, di linea Draghi in economia e ossequio alle direttive europee; salvo incomprensibili supercazzole, come sono state giustamente definite, per “impestare agli esami”, come si diceva da noi da studenti, quando non sai l’argomento su cui ti interrogano e allora cerchi di intortare, sparando parole fumose a vanvera. L’unica vera novità è l’abbinamento dei colori alla propria personalità e carnagione; ossia la sostituzione narcisista del messaggio politico. Ha ragione Elly a dire che sembra che la questione politica principale sia come si veste lei. E’ vero, non si può ridurre tutto a questo dettaglio. In presenza di veri contenuti, la gag sarebbe caduta presto nel dimenticatoio; ma in assenza di contenuti e di novità, alla fine quella diventa l’unica vera novità.

Una volta non c’era bisogno dell’armocromista alla sinistra: c’era il rosso, e basta. Ma dopo il purgatorio della sinistra arcobaleno, con l’egemonia del fucsia e del rosa gay, ne abbiamo visti di tutti i colori. La storia dell’armocromia in sé non è nulla di rilevante; ma è rilevante da un verso che un leader politico non si accorga che dire una cosa del genere significa imbarazzare i compagni e farsi deridere dagli avversari. E dall’altro che, se non dici e soprattutto non fai nulla di innovativo, e se ripeti solo con la faccia più cattiva e più insolente, il solito repertorio, alla fine resta solo la cromoterapia. E tu rimani solo una vice-sardina; anzi così farcita dall’omocromista, una sardina a beccafico.

Ma se la leader della sinistra sta messa così, a chi si attacca la sinistra diffusa, quella da piazza, da concerto e da sconcerto? E’ venuto meno il Papa da quando è andato da Orban, ha ribadito la sua difesa della famiglia, della maternità e dei principi cristiani. E allora chi resta come figura di riferimento? Mattarella, quello che ha gridato, come un compagno di Potere Operaio in corteo, “Ora e sempre Resistenza” (anche se il conio è di Piero Calamandrei). Avreste mai pensato a Mattarella come simbolo del Primo Maggio e della Sinistra diffusa? Lui che viene dalla Dc dei notabili, da una potente famiglia siciliana, lui che è stato il Crosetto degli anni novanta, quando da ministro della difesa e vicepresidente del consiglio (il premier era Massimo D’Alema) fece debuttare per la prima volta l’Italia repubblicana e antifascista con le armi, in guerra, in Serbia, naturalmente sulla scia degli americani. Lui che – a differenza dell’ideologia diffusa del Primo Maggio – è per la guerra a oltranza in Ucraina, sempre a fianco degli Stati Uniti, ma nel nome della Pace, naturalmente. Lui scopre con gli anni l’antifascismo, pertineggia sempre più. Anzi, Pelù, noto storico e studioso, lo ha paragonato al presidente-compagno Sandro Pertini nel nome dell’antifascismo. Non ho mai amato Pertini, non l’ho mai nascosto e ne ho spiegato il perché; ma se permettete, non ci sono paragoni. Un conto è essere antifascista durante il fascismo, finire in galera, scappare in Francia, fare la Resistenza e tra i capi più spietati. Un altro è scoprirsi antifascista stando al Quirinale, riparato dietro i corazzieri, e gridare il motto Ora e sempre Resistenza a ottant’anni dalla morte del fascismo, quando sono deceduti pure gli ultimi reduci centenari di quel tempo. E un conto è provenire dal socialismo, dalla sinistra di piazza, dai portuali di Genova e dagli operai di fabbrica, un altro è provenire dalla Balena Bianca, dalla corrente di De Mita, dalla Sicilia democristiana di potere, dalla Margherita.

Mattarella è ora il nuovo Che Guevara esibito sulla maglietta del Pelù, con l’artificio rivoluzionario di sostituire la sua parruccona bianca con la capigliatura rossa e rock de “la matta” nel mazzo delle carte.

Ecco perché vi dico che la settimana santa della sinistra in Italia, tra la Festa della Liberazione e la Festa del Lavoro, ha davvero cambiato i connotati al loro mondo. In entrambi i casi, la sinistra in difficoltà, ha giocato “la matta”.

La Verità – 3 maggio 2023

 

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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