Meloni indigesti

Da quando il partito di Giorgia Meloni, per la prima volta nella storia della repubblica italiana, è dato dai sondaggi come il primo partito d’Italia -e non era mai capitato a un partito di destra nazionale e sociale, venuto da An, dal Msi e via arretrando – succedono strane cose. La cappa politico-mediatica dà segni di squilibrio e di panico, anche perché vede il suo partito di servizio, i Dem, perdere terreno. Poi, superato lo choc e la mappazza da Meloni indigesti, cercano di razionalizzare e reagire di conseguenza. Sicché si alternano due terapie per arginare la melonite pervasiva, due strategie che potremmo definire classicamente del bastone e della carota. Da una parte ci sono i carotisti, subdoli e seduttivi, che provano a lusingare e blandire la suddetta sgarbatella, la esortano ad allearsi con Letta e il suo Pd, e a far blocco comune, dopo la loro convergenza sulla linea armata dell’atlantismo. Un’intesa che difficilmente può realizzarsi ma in realtà serve a sfasciare l’alleanza di centro-destra, a dividere la Meloni dai suoi partner; e in secondo luogo a farle perdere consensi popolari per l’indecente convergenza che le si vuole affibbiare.
Dall’altra parte, invece, ci sono i mazzieri, quelli che ogni giorno bastonano e azzannano la Meloni, la inchiodano al suo passato e soprattutto al suo futuro, in caso di vittoria elettorale. Tra questi, c’è un ricco campionario di giornalisti che ogni giorno hanno l’obiettivo di attaccare chi non è allineato al Verbo: mai, che so, un Letta o un Draghi, mai qualcuno della Casa e del Potere, mai un’obiezione a Mattarella, via via scendendo. I nemici da mazziare sono sempre i soliti e oggi vengono definiti putiniani, come ieri erano no-vax, no-gay, no-black, i negazionisti di qualcosa. L’obbiettivo quotidiano da pestare è qualcuno tipo Massimo Cacciari, Alessandro Orsini, e altri (poi ci sono quelli da censurare, fingendo che non esistano).
La Meloni, schierata con la Nato e gli Usa, non fa parte di questa comitiva, ma solo l’idea che una ex-post-neo-pseudo-fascista possa andare al governo, col trascurabile dettaglio che vinca le elezioni, la pone tra gli obiettivi da sbertucciare e da abbattere a suon di bastonate e olio di ricino. Del fascismo ormai sono rimasti solo i manganelli e l’olio di ricino in dotazione all’antifascismo permanente di servizio.
Per esempio, Mattia Feltri su la Stampa sta dedicando un sequel di bastonate alla Meloni. L’ultima è dell’altro ieri. La prende in giro sfoderando il solito repertorio del complottismo e poi ne chiede l’interdizione a governare. L’occasione è stata la reazione, sacrosanta, della Meloni alla Banca d’affari americana Goldman Sachs che ha espresso preoccupazione in caso di vittoria elettorale di Fratelli d’Italia e della Lega per la sostenibilità del grosso debito che schiaccia il nostro paese, vista anche la salita dei tassi d’interesse. Dico giusta la sua reazione perché una banca d’affari non dovrebbe esondare dai suoi ambiti, ingerirsi nelle scelte politiche, interferire con la libera e democratica sovranità popolare e non dovrebbe esprimere pregiudizi discriminatori verso un ipotetico voto popolare e un governo futuro.
Come sapete, non risparmiamo critiche anche aspre alla Meloni&C. Ma in questo caso, c’è da restare basiti. Dunque, la Meloni non può andare al governo perché c’è un grosso debito sulle spalle dell’Italia e sarebbero più credibili a gestirlo coloro che l’hanno finora gestito e ingrossato piuttosto che chi è nato all’opposizione e non ha alcuna colpa in merito. E’ stata per caso lei, il suo partito, a generare il debito e a farlo crescere spaventosamente? Può essere accusata di concorso in debito, anche esterno? Se c’è una forza che non ha precedenti responsabilità di governo, di politica economica e di sprechi, è la sua. Dunque, inchiodarla al debito sovrano significa davvero commettere una canagliata. Ma non solo: a parere dei mazzieri, la Meloni non può nemmeno reagire se una banca d’affari americana dice che lei non può governare. Si può anche dissentire totalmente dalla Meloni, ma in un paese serio, tra gente seria, anche chi dissente totalmente dalla Meloni dovrebbe dire a una banca d’affari di non ingerirsi nelle scelte politiche del popolo italiano; pensi letteralmente agli affari suoi. Dovrebbe insorgere un elementare amor patrio contro questa invasione di campo, per rispetto dei ruoli, della libertà e della democrazia sovrana.
Quel che si rinfaccia alla Meloni e a Salvini, in realtà, è di non essere conformi alla Cappa, alla Tecnofinanza globale e alla linea dem. Di non rispondere, cioè, a quelle che Leo Longanesi chiamava “le vecchie zie”, definizione molto più spiritosa di “poteri forti”. Ora da un verso vorrei rassicurare i mazzieri: vedrete che una volta al governo i suddetti non opporranno resistenza, alla fine seguiranno i comandi che verranno loro impartiti dalle vecchie Zie global. Altrimenti dovranno smammare dal governo. Dall’altra vorrei dire alla Meloni: hai visto che nonostante il tuo accoppiamento con Letta, tipo Mondaini-Vianello secondo la tua similitudine, nonostante i tuoi viaggi negli Usa, il tuo ingresso nell’Aspen, nonostante il tuo allineamento alla Nato e al diktat di Biden, alla fine ti rinfacceranno sempre di essere quella da cui provieni e ti ricacceranno indietro. E infine alla banca d’affari americana vorrei dire: nel nome della libertà e dell’indipendenza ucraina ci stiamo inguaiando in una crisi energetica, economica e politica gravissima. Ma è il costo della libertà e della democrazia, della sovranità e dell’indipendenza di un popolo, ci dicono. Perché quel “costo” è invece negato se un popolo decide liberamente e democraticamente di svoltare a destra? In realtà a voi affaristi e a voi bastonatori, della libertà e della democrazia, della sovranità e dell’indipendenza non ve ne frega niente, qui come a Bruxelles e in Ucraina.

La Verità (3 giugno 2022)

 

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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