Oltre Sanremo niente
In quasi settantacinque anni di vita, la Repubblica italiana ha partorito solo tre tradizioni popolari largamente sentite e tipicamente nazionali: il festival di Sanremo, il concorso di Miss Italia e la Lotteria Italia. Tutte e tre televisive. Sono le uniche tradizioni non divisive che hanno avuto largo seguito popolare e hanno rappresentato l’identità italiota, versione leggera dell’identità nazionale. Sono state anzi le uniche esercitazioni di autobiografia collettiva, integrate dal campionato di calcio e paraggi (un tempo anche il giro d’Italia) che però preesistevano alla repubblica.
Sanremo ha rappresentato il mito dell’Italia canora, l’Italia dei mandolini e delle serenate, la rassegna suprema e la gazzetta ufficiale della canzone nazionale, l’Italia del “canta che ti passa”, l’Italia che canticchia e riconosce nella canzone ristoro collettivo. Miss Italia ha espresso la vocazione guardona e l’indole galante e provolona degli italiani, una forma collettiva di voyeurismo e la versione del latin lover a riposo; nonché il culto della bellezza trasferita dall’opera d’arte alla coscia semovente, in cui l’autore non è più l’artista ma la mamma, a volte nobilitata in Madre Natura.
La terza, la Lotteria, è stata per anni la promessa messianica del paradiso in terra, la salvezza a portata di mano o di posteriore, il capitalismo fortuito (ovvero da botta di chiappe) che riscatta la vita grama. Il mito della lotteria ha supplito al merito e alla fatica, come una scorciatoia benedetta dalla dea fortuna; è stato il sogno di redenzione ad personam senza le lungaggini sanguinose della rivoluzione e il passaggio al banditismo della rapina. Soldi improvvisi e immeritati ma non tolti a nessuno, tantomeno con la forza, ma col semplice acquisto di un biglietto. Intorno a quella lotteria si bandiva una festa-sfida canora e circense di varie settimane, un tempo nota come Canzonissima e si arrivava alla festa più ambita dell’anno, l’estrazione della Befana.
Ora la Lotteria Italia è caduta in bassa fortuna o meglio è stata scavalcata da miriadi di lotterie, enalotti, scommesse, numeri vincenti, in gran parte governativi, inclusa per ultima la lotteria degli scontrini. Dove non c’è più rito e spettacolo intorno alla lotteria ma puro incasso e mera ingordigia di soldi.
Miss Italia lasciò l’ufficialità della tv di Stato e si fece sottufficiale sulle reti commerciali e private, e rischia da un momento all’altro di essere travolta o almeno stravolta dal metoo, dal femminismo arrembante, dalla parità di generi e dall’allargamento dei sessi. Finiranno col vietare il concorso sulla donna-oggetto o da fiera del bestiame, o con l’abolire la gara e pure le miss, e comunque prevedere un girone trans, una classifica riservata a omo e maschietti, la sezione migranti, la quota rom, e un concorso di paramiss per disabili.
Il campionato di calcio se la passa male, da quando gli stadi sono stati desertificati dalla pandemia. Ed è commovente il tentativo di sceneggiare e movimentare il calcio con polemiche, dicerie, scontri, o con la solita caccia al razzista, pur di animare lo spettacolo oltre l’ibernazione in vitro e in video.
Intanto è cresciuta un’altra vocazione pop, la saga gastronomica in tv, la gara tra chef, il continuo parlare, parlare su piatti, portate, dieta e punteggi. Ma non c’è un evento clou che riassuma questa “magnoloquenza”, questa passione verbosa, pratica e golosa per la cucina.
Resta Sanremo, che era diventato un evento lunghissimo e larghissimo, con una mobilitazione istituzionale del servizio pubblico senza paragoni. Con gli anni lo farcirono di banalità politically correct, una quota fissa di predicozzi umanitari travestiti da messaggi ripetuti a pappagallo da cantanti, ospiti e presentatori, più parentesi obbligate d’impegno sociale e umanitario per rifarsi l’alito della coscienza col dentifricio etico-solidale. Anche qui la pandemia ha tirato un brutto scherzo e la storia di un Sanremo sanitario senza pubblico ha minato anche questa tradizione popolare e nazionale, creando scontri che nemmeno tra Conte e Renzi. Solo la crisi di governo ci ha risparmiato il melodramma nazionale. Ma di Sanremo si sono occupati nientemeno che comitati di scienziati, più che del vaccino…
Non ho nulla contro queste consuetudini pop, l’umanità ha sempre coltivato ricreazioni, rassicuranti frivolezze e carnevali, feste plebee tra farina e forca, anche se poi c’era dell’altro, sul piano civile e religioso. Nulla da obbiettare dunque, benché sia un po’ miserabile un paese che non ha altri luoghi significativi di identità comunitaria se non quelli di musica leggera, belle gnocche & tantisoldi, più format e sformati in cucina. Niente da dire sulla loro esistenza, semmai sul primato assoluto di questi eventi, sull’egemonia culturale che hanno esercitato per decenni sul paese; certo, servivano a un paese allegro e un po’ bambino per uscire da lugubri atmosfere di odio civile, rabbiosi confronti con la realtà, il malaffare, la corruzione e da menate ideologiche. Quelle saghe popolari erano l’oppio del popolo, somministrato dalla tv di stato, la gita fuori porta restando a casa, il sogno del successo, della bellona a domicilio, del colpo di fortuna per non citare i glutei di cui sopra.
Non sarà la fine del mondo se Sanremo sarà senza pubblico o se verrà posticipato l’evento. Abbiamo governi senza popolo, possiamo avere festival senza pubblico. Resta tuttavia sospesa l’obiezione già affiorata: ma è possibile che non ci siano luoghi più significativi in cui ci sentiamo “noi” italiani, comunità, popolo con una grande storia alle spalle, civiltà? Sigla.
MV, Panorama n.6 (2021)