Perché non ti candidi?

E tu perché non ti candidi? È la domanda, a volte la proposta, che sento rivolgere in questi giorni a me e ad altri conoscenti che non appartengono né alla categoria dei politici di professione né alla categoria degli sfaccendati in cerca di svoltare (genere grillini).

Sono tanti, del resto, i nomi di personaggi pubblici e giornalisti che aleggiano tra i candidati, vuoi per la crisi dei relativi settori e l’incertezza del domani, vuoi per il vuoto pneumatico della politica…

Già, perché non candidarsi? Provo a fare un ragionamento serio e onesto. Dunque le ragioni che spingono a candidarsi a me sembrano queste.

Uno, perché mi riconosco in quel partito, in quel leader, in quelle idee e voglio contribuire alla loro affermazione. Due, perché voglio combattere un pericolo incombente e dar manforte a chi si oppone a quella minaccia. Tre, perché vorrei incidere davvero su alcuni temi che reputo importanti. Quattro, perché voglio coronare il mio curriculum con un titolo di prestigio. Cinque, perché mi gioverebbe l’indennità parlamentare più gli annessi e connessi, per me e per i miei famigliari.

Un ventaglio di cinque ipotesi tutte a loro modo comprensibili e perfino rispettabili, se dichiarate espressamente.

Provo a esaminarle una a una senza pregiudizi e a calarle nella prossima competizione elettorale.

1) La prima motivazione ideale e politica mi pare allo stato attuale proibitiva e ipocrita. Ma davvero vi riconoscete in modo convinto in un leader, in un partito, addirittura in un’idea o ideale in campo? Davvero pensate che ci sia un soggetto a cui affidarsi per affinità politica, un partito con cui condividere una passione ideale? Francamente non lo vedo. Da nessun versante.

2) Allora vediamo il suo rovescio, c’è quantomeno un pericolo sovrastante, che va a tutti i costi fermato, che costringe a scendere in campo anche scegliendo un male minore, un leader maldestro, un partito storto? Ho difficoltà a vedere un male supremo, il dilettantismo allo sbaraglio dei grillini se la batte con la cupola politicamente corretta del centro-sinistra e poi certi piccoli e grandi pescecani trasformisti del centrismo ve li raccomando, e le incongruità del centro-destra, vincere per far cosa…

Posso capire la logica del male minore, del turarsi il naso, andando a votare qualcuno che riteniamo, per dirla con la Fedeli, “meno peggiore” degli altri. Ma candidarsi addirittura, mi pare più un furbo pretesto che un vero motivo.

3) Arrivo alla terza motivazione: perché voglio incidere, fare qualcosa per il mio paese. Ma davvero pensate che una persona per bene, con buone intenzioni, possa scendere nell’arena e incidere sul serio, da solo, nella realtà politica e parlamentare odierna? Via non illudiamoci, l’esperienza insegna, e soprattutto non illudiamo la gente; anche questo mi sembra un pomposo alibi, del tipo di quelli che dicono di fare politica per spirito di servizio. Io politici missionari non ne conosco, la posizione del missionario non è prevista alla Camera.

4) Allora, quarta motivazione, mi candido per schietto amor di gloria, per il prestigio. Beh, capisco se in vita tua hai fatto lo stewart allo stadio san Paolo, ma se hai fatto e fai altro, se sei un professionista, un imprenditore, una personalità stimata, il titolo di onorevole è una deminutio più che una crescita di prestigio. Oggi diventa perfino un insulto, onorevole è sinonimo di privilegiato parassita; devi nasconderti, quasi vergognarti a dichiararti parlamentare.

5) E allora non resta che la confessione aperta di volerlo fare per i soldi, perché la pensione è misera e incerta, perché ce la passiamo maluccio tra crisi del settore e disconoscimento della propria attività, magari anche per motivi di discriminazione ideologica. O in positivo vogliamo pensare al mutuo della casa dei nostri figli, a dar loro un aiuto che ora non siamo in grado di dare… Qui tutti possono capire, anzi a dir la verità, lo farebbero quasi tutti, anche quelli che insultano i politici ma al posto loro ci andrebbero di corsa per prendere quei soldi che li indignano tanto (a non averli).

Un segno di onestà sarebbe quella di impegnarsi a meritarselo quell’assegno mensile di indennità, a guadagnarselo con un’attività il più possibile efficace, solerte. Almeno provarci.

Però per chi ha amato la Grande Politica, chi ha davvero creduto nei suoi ideali, chi ha un pensiero politico, chi pensa che la politica sia un luogo quasi sacro in cui si rappresentano interessi, valori e principi comunitari, sarebbe una miserabile caduta darsi alla politica per la pur comprensibile esigenza di guadagnare.

Sarebbe un mezzo tradimento della sua vita.

So quanto sia difficile mantenere la dignità e la coerenza delle proprie idee e quanto sia comprensibile voler cogliere almeno qualche vantaggio tra i tanti svantaggi che si subiscono a stare dalla “parte del torto”…

Se almeno l’interesse personale legittimo coincidesse con un impegno proficuo, con la possibilità concreta di fare qualcosa di buono… Ma sul serio, non come alibi. Beh, adesso forse la risposta è più chiara e motivata, anziché lo sbrigativo, permanente e superbo No, giammai.

MV, Il Tempo 25 gennaio 2018

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  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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