I sottoboschi del potere
Maria Elena Boschi è stata la fata turchina del renzismo. Ha incarnato molto meglio delle parole di Renzi, la bellezza della politica. Ma da tempo ormai dietro il suo sguardo lucente, dietro i suoi sorrisi smaglianti, l’Italia contro, l’Italia di sotto, l’Italia dietrologa e maldicente vede nascondersi una specie di zarina che traffica nel sottogoverno, influenza gli assetti bancari, sorveglia l’operato di Gentiloni e del suo governo.
La Boschi viene vista come la regina dei sottoboschi, madonna protettrice dell’Etruria, non solo nel senso mitico della Regione Toscana. È ormai la leggenda nera del giglio magico.
L’ultimo attentato al suo regale sorriso lo ha compiuto la persona più garbata e più soft del giornalismo che io conosca, il mite Ferruccio de Bortoli, moderato nell’anima, nel tono e nella vita, anche se poi da direttore del Corriere della sera ospitò ben altri caratteracci toscani, da Indro Montanelli a Vanni Sartori, e soprattutto Oriana Fallaci.
È stato lui nel suo libro appena uscito Poteri forti (o quasi) a scatenare i media contro la regina del renzismo perché ha rivelato le pressioni che avrebbe fatto la Boschi su Unicredit per salvare la Banca Etruria, dove aveva un ruolo preminente suo padre.
La Boschi ha annunciato querela, de Bortoli si è augurato di riceverla, le opposizioni chiedono di mandare a casa la sottosegretaria al sottobosco.
La richiesta, a parte i toni, non fa una grinza. Se fosse confermato si tratterebbe di un vistoso favoritismo verso una banca, di un conflitto d’interessi innegabile perché la Boschi avrebbe usato il suo ruolo di ministro per aiutare la banca di papà. Tutto vero, e dunque plausibile la reazione.
Ho solo tre cose da dire.
La prima è che è difficile trovare governi nostrani che non abbiano praticato ingerenze, pressioni, favoritismi per aiutare la banca amica, la banca del proprio territorio, la banca dei propri comodi. Questo, certo, non vuol dire che se lo facevano tutti, poteva farlo anche la fata boschina. Ma evitiamo almeno di affettare scandalo e mostrare indignata sorpresa. “Abbiamo una banca” è un grido salito da Torino all’Irpinia, dalle Alpi alla Sicilia, del nostro sistema politico.
La seconda osservazione è che si tratta comunque di un tentativo fallito, il salvataggio non ci fu, e dunque siamo discutendo di un’intenzione e non di un fatto.
La terza osservazione è che questa testimonianza emerge ora che de Bortoli non è più direttore del Corriere della sera, anche se risale a quel tempo. La cosa non riguarda tanto de Bortoli che lo dice solo adesso, ma il fatto che in quella posizione non fosse “riuscito” (usiamo un verbo ambiguo perché varie possono essere le sfumature) a pubblicarlo sul più autorevole giornale italiano.
E anche la notizia tratta dal suo libro, l’altra mattina era sulle prime pagine di quasi tutti i giornali italiani, a volte come principale notizia, mentre nel Corriere era finita in pagina interna, anche se riguardava un suo ex direttore, una sua firma e una storia che coinvolgeva il Corriere come testimone.
Non si tratta, naturalmente, di gettare la croce su questo o quel direttore, ma di sottolineare il sistema bastardo in cui viviamo, i peccati d’omissione, distrazione e omertà dell’informazione italiana.
Stiamo messi male: in basso imperversano le notiziacce pop, false e tendenziose, e in alto dominano le omissioni ovattate. Allora il problema non si risolve solo con le lacrime della fatina e con la sua cacciata da Palazzo Chigi, ma investe il putrido sistema che domina questo paese, con ingerenze e scambi di favore tra poteri.
Non saranno poteri forti, come dice de Bortoli, ma sono poteri tra loro fortemente ammanicati.
MV, Il Tempo 12 maggio 2017