Vivere non basta

Le celebri lettere di Seneca a Lucilio sono uno dei classici della letteratura latina oltre che un long seller di molte case editrici: nessuno ha mai finora, però, letto le risposte dell'amico e poeta Lucilio. Con duemila anni di ritardo Lucilio, attraverso la voce di Marcello Veneziani, risponde alle famose epistole di Seneca completando così la corrispondenza. Venti lettere che riprendono i principali temi originali, dalla felicità alla bellezza, dal potere alla morte, dalla ricchezza alla saggezza, replicando di volta in volta agli insegnamenti e alle considerazioni senechiane. Emerge, oltre allo spirito dell'epoca, una riflessione sulla vita che va "non solo vissuta ma pensata e dedicata" e sul suicidio, che a volte, come nel caso del filosofo, diventa una necessità per "vivere nella verità della vita". Un'opera lieve, non accademica, tra la morale e la filosofia di vita, non priva di analogie, parallelismi e allusioni al tempo presente.


"Mi accorsi allora di una verità elementare ma decisiva: vivere non basta, perché la vita non va solo pienamente vissuta, va anche pensata e poi dedicata. Dedicare la vita a qualcosa, a qualcuno. Una vita può essere dedicata a persone, a imprese, a servire la patria e gli dei, a educare, a insegnare le arti o i mestieri, ai princìpi, a ricerche, a memorie. Tutto secondo la propria indole, capacità e sensibilità. A taluni è concesso dedicarsi totalmente a una persona e non oltre, altri a più persone, altri ancora alla città, altri, magnanimi, ai popoli; taluni a dedicarsi interamente a curare i retaggi ereditati dai loro padri, altri a curarsi in modo speciale delle generazioni che verranno; di taluni è compito dedicarsi all'universo, o ai mondi dell'arte, del pensiero, del culto. Taluni sembrano non curarsi di alcuno, appaiono chiusi in se stessi; e invece giovano al mondo, si dedicano ai beni impalpabili ma necessari. Ciascuno si dedichi secondo il suo rango e la sua misura, in una gerarchia naturale e forse soprannaturale".

"È umano cercare la felicità, è nobile ospitare la malinconia. Personalmente amo la prima e ammiro la seconda, ma non so rinunciare ad ambedue perché ambedue recano doni: i doni della felicità si gustano appena sbocciati, i doni della malinconia si gustano quando sfioriscono. Perché la malinconia è gravida e ha le sue doglie; la felicità si annuncia già col profumo e riempie gli occhi. La malinconia è un ponte tra passato e futuro, la felicità è la pienezza del presente. La vita perfetta del saggio è destreggiarsi tra i frutti dolci dell’una e i frutti agri dell’altra, sapendo che sarebbe impossibile vivere solo degli uni o degli altri, o pretendere dagli uni quel che ci danno gli altri. Le nature più inclini alla malinconia sanno cogliere con più gioiosa pienezza il gusto della felicità, è come se la loro profondità ne amplificasse il sapore e l’odore. Chi conosce la tristezza sa più apprezzare la felicità".

"Ma io amo viaggiare anche per un’altra, più intima ragione: perché so che alla mia casa d’origine prima o poi tornerò, rivedrò i miei cari, riprenderò le mie abitudini, riscoprirò le bellezze nostrane e domestiche che la lontananza avrà acuito nella mia mente; e riporterò nella mia sede i frutti delle esperienze di quel viaggio in terra straniera. Il viaggio mi farà crescere l’amore per la mia patria, la sua lontananza mi farà avvertire la sua mancanza e cogliere il valore e il sapore di quella vita".

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Publisher: Mondadori

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