Meglio il figlio gay o prete? Cronaca di un bisticcio vero (Libero, 05/10/2008)

È peggio avere un figlio gay o un figlio prete? Ero nella splendida Sicilia in una città che non vi dico e tra una caponata e una cassata, si è infilato come un pesce spada in una placida tonnara, l’insidioso tema. Perché a un certo punto della serata è arrivato un ragazzo, nipote di uno dei presenti.

Carmelo, un bel ragazzo di 24 anni, timido e gentile, con modi e movenze tipiche di un gay. Pochi giorni fa, ci ha detto con aria mortificata suo zio appena il nipote è andato via, ha annunciato al padre di volersi fare prete. È laureato, ha già un mezzo lavoro che da queste parti vale già un lavoro, ma ha deciso di farsi prete. Credente era credente, dice lo zio, ma sicuramente lo ha spinto su quella via la sua inclinazione sessuale. Non l’ho mai visto con una ragazza, non sembra interessato all’altro sesso, e poi l’avete visto, no?, è un poco effeminato. E lì tutti a dire com’è dolce, com’è gentile, tanto carino, che c’è di male che è gay o qualcosa di simile? La pietra dello scandalo, ho capito dove si andava a parare, era che si voleva fare prete.

Quando Cammelo, detto in siculo, è andato via, è sorto nel gruppo di siciliani, tutti con professioni intellettuali, uno strano dibattito che ha avuto conclusioni opposte rispetto al tragico stereotipo del siciliano che mena suo figlio “ricchione” perché disonora la virilità della casa peggio che un paio di corna. Ricordate che è successo poco tempo fa a Palermo, quartiere Brancaccio? Colpito nell’onore, un padre pregiudicato ha accoltellato suo figlio Paolo di diciottenni, gay confesso e professante. Brutta storia, ma i media hanno fatto il martirologio di Paolo e invocato quasi la pena di morte o il pubblico linciaggio per suo padre omofobo aggressivo.

La civiltà della vergogna pesa ancora nella Sicilia d’oggi? Forse a livello popolare sì. Ma qui, nella borghesia che legge Repubblica o se più subdolamente sinistruzza il Corriere della sera, l’esito è opposto. Carpisco dai discorsi, mentre fingo di distrarmi, tre frasi tipo: chissà che dolore quando la lo avrà detto ai genitori, dice il neofamilista siculo moderno. Che dolore perché vuol farsi prete, era il sottinteso. Seconda frase: meglio che viva la sua omosessualità liberamente, piuttosto che reprimersi e farsi prete; poi si sentono i casi di preti pedofili, dice il siculo emancipato e perfido. La terza dà l’estrema unzione: per una madre è meglio avere un figlio gay che prete, dice la prof atea e libertaria mettendoci una croce sopra. Ecco, mi sono detto, l’abisso tra le due Sicilie: quella barbara, primitiva, che accoltella nel nome dell’onore. E la Sicilia nuova, laica ed emancipata, che biasima la scelta religiosa e loda l’outing gay.

Ma non solo la Sicilia, beninteso, fatti del genere avvengono ovunque, un altro lo ricorso a Pesaro, per non dire a nord. Potrei concludere salomonico e bonario che bisogna lasciare ai figli la libertà di vivere da gay o da sacerdoti, ogni scelta o inclinazione va rispettata, amatelo comunque. Va’ dove ti porta il cuore (o altri organi). Lo penso davvero e mi mette la coscienza a posto. Però resto inquieto per la piega dei giudizi che ho sentito e allora insorgo. No, signori, premesso che i figli vanno amati perché sono figli, comunque essi siano –gay, preti o musulmani – io preferisco sentirmi dire da mio figlio che vuol farsi prete anziché omosessuale praticante. Scandalo, mi guardano come un mostro, e questo mi rafforza nella convinzione e mi spinge a proseguire. E ancora più lo preferirei se mio figlio come Carmelo fosse gay, nonostante i rischi in tonaca che voi paventate. Perché non lascia correre la sua vita, cerca di governarla e di darle un senso. E poi, scusate, non capisco: se un omosessuale si fa prete c’è il rischio che diventi pedofilo, che è un rischio reale ma estremo; non è certo l’esito più diffuso del sacerdozio, la maggior parte dei parroci non sodomizza i chierichetti. Se invece vive da gay immaginate sempre romantiche unioni tra omosessuali e mai torbide storie, osceni delitti, sesso sfrenato, che pure ci sono.

Sì, certo, ci sono anche tenere storie d’amore omosessuale, esemplari menage che rispetto con affetto e simpatia. Però perché per descrivere la scelta gay o sacerdotale, prendete sempre due casi estremi, uno in negativo del prete pedofilo e l’altro in positivo della coppia gay bella e affiatata? Non ci sono religiosi che vivono seriamente e nobilmente la loro vocazione e la loro castità? E viceversa non ci sono omosessuali che come Pasolini vivono tragicamente la loro omosessualità e non solo per l’habitat osatile?

È vero, ci sono preti pedofili, ma è permesso dire che ci sono pure gay pedofili, e forse sono più numerosi? È permesso dire che mi dispiace per Paolo, ma ammiro Carmelo? Preferisco la sua scelta di prete perché lo fa nel nome di una vocazione, una rinuncia e una conquista, insomma per una fede, e non per assecondare un’inclinazione, liberando un istinto o un desiderio. Non vuole solo vivere la vita, il ragazzo che si fa prete, ma darle un compito, un valore. Sceglie la via della sublimazione, dolorosa ed esaltante; l’altro invece è un lasciarsi vivere dalla propria sessualità. Liberi di farlo, vivono la loro inclinazione, naturale o elettiva che sia.

Ma chi sceglie di farsi prete fa un passo in più, offre la sua vita ad una missione, ad un destino, scommette sull’anima e su Dio. Anche chi non crede dovrebbe riconoscere il valore della sua scelta così tosta e rispettarla. A esprimere la propria sessualità son buoni tutti, o quasi; a scegliere una vita così difficile e pure ingrata, visto il biasimo che la circonda, sono davvero in pochi. Onore al prete omosessuale, se rinuncia alla sua sessualità. E onore all’Italia profonda, che non accoltella i figli gay, ma ha il coraggio di dirsi infelice se il loro figlio si priverà, per scelta o per natura, della gioia che loro hanno avuto, di avere figli e di amarli in ogni caso.

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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