I percorsi della destra

Fiuggi Avanti Cristo

Prefazione di Marcello Veneziani a I Percorsi della Destra, libro uscito nel 2003 per Controcorrente, nel quale Massimo Anderson, intervistato da Gennaro Ruggiero, racconta la storia della destra, i suoi percorsi, la politica e la cultura, dal secondo dopoguerra ad oggi.

Non appartengo alla generazione di Massimo Anderson, di Pietro Cerullo, di Gennaro Ruggiero e la mia militanza nella destra politica è stato un episodio breve, precoce e trascurabile. Militai nel Fronte della Gioventù, guidato da Anderson e Cerullo, tra il 1970 e il1972, avevo quindici anni ed ero il segretario della sezione giovanile di Bisceglie. Pagavo il fitto della sezione e l’attività politica con i soldi di una mia borsa di studio e con le quote degli iscritti. Cerullo lo avevo visto, anzi ammirato, solo nei comizi che come pellegrini seguivamo nelle città limitrofe. Il pellegrinaggio comiziale era un specie di apoteosi e di ricompensa della nostra militanza, che sfociava nell’orgasmo se dava vita ad un corteo. Anderson, invece, lo conobbi in veste di suo anonimo accompagnatore del barbiere. Io avevo sedici anni e mi fu affidato il delicato incarico dai leader provinciali del Fronte, Vito Verracchia e Lillino d’Erasmo, di scortarlo in Bari mentre si faceva la barba presso un figaro nostro simpatizzante a due passi dalla federazione missina. Nell’attesa di un convegno giovanile a cui sarebbe intervenuto anche Ernesto De Marzio. Che, ricordo, disse una cosa banale e intelligente: non ha senso, ragazzi, che voi facciate saluti romani; anche Mussolini quando inventò il fascismo non usò le camicie rosse di Garibaldi e il suo rituale, ma coniò una sua simbologia, inventò una cosa nuova e così fece la rivoluzione. Era una esortazione naive ma efficace a passare finalmente al postfascismo e al revisionismo.

Cinque anni dopo, quando era finalmente lontano dal Msi, non apprezzai la scissione di Democrazia Nazionale, a cui De Marzio, Anderson, Cerullo e gli altri dettero vita. Anzi la lessi anch’io come capitolazione alla Democrazia Cristiana, una scelta opportunistica priva di valore politico e ideale. E non scommisi un soldo sulla loro sopravvivenza, votai fiamma tricolore. A dir la verità, nel gennaio 1972, quando lasciai il Fronte della Gioventù, mandai una lettera al “federale” di Bari, che poi passò anche lui alla Democrazia Nazionale, in cui giustificando il mio abbandono per dissensi sulla linea e per rigetto della retorica comiziale e della mania elettorale senza contenuti, scrivevo con preoccupazione: “si sente dire che presto il Msi si chiamerà Democrazia Nazionale”. Oggi devo dire che per metà avevo ragione io, e per metà avevano ragione loro. Avevo ragione io a vedere quell’operazione priva di respiro politico, priva di sbocchi e in certi casi animata soltanto da politicantismo e da opportunismo. Avevano ragione loro, i demonazionali, a giudicare negativamente il ricorso alla retorica dei comizi e alla liturgia dei nostalgismi di parata, che poi copriva un maniacale elettoralismo, e a ritenere indispensabile per la destra ripensarsi attraverso le categorie della politica, il confronto libero e civile con gli altri e con il dissenso interno.

Di Democrazia Nazionale, probabilmente, furono sbagliati i tempi e i modi; anche se, bisogna dirlo, il meglio della classe dirigente andò via dal partito. Però era giusta l’intuizione che rileggo nelle parole di Cerullo e nell’intervista di Anderson a Ruggiero di far nascere una destra in grado di incidere nella realtà italiana e di non vedere fiction sentimentale per scopi elettorali. Legittima la loro rivendicazione di paternità rispetto ad Alleanza Nazionale; a Fiuggi loro ci andarono quasi vent’anni prima. Onesto il loro riconoscimento della grande capacità politica e organizzativa di Almirante che riuscì a neutralizzare una scissione che, come essi stessi riconoscono, si rivelò davvero una “scissione di vertice”. Interessante la ricostruzione di Anderson della nascita del centro-destra ai tempi di Michelini, con la responsabilità dei liberali e dei democristiani almeno pari a quella dei missini, nel naufragio di quella ipotesi che avrebbe prefigurato il bipolarismo nel nostro paese fin dagli anni Sessanta. Interessanti le analogie e la continuità tra Democrazia Nazionale e Alleanza Nazionale e la sottolineatura del ruolo decisivo di alcune componenti della corrente giovanile di Destra Popolare rimasti poi nel Msi: penso a Tatarella e ad alcuni suoi ragazzi nel passaggio dal partito neofascista al partito postfascista.

Curioso, poi, l’analogia con la storia recente, ricostruita da Anderson, con Berlusconi nel ruolo di maieuta e di finanziatore della “destra democratica” sin dal ’76, non so se per intima convinzione o per altrui sollecitazione (all’epoca si parlò anche di qualche loggia). Non peregrina, anzi credibile, la tesi che qui emerge, secondo cui la Dc non avesse interesse alla nascita di una destra “presentabile” che sarebbe stata fastidiosa e anche un po’ concorrenziale. Di conseguenza, Andreotti soprattutto tifò per la perpetuazione del vecchio partito neofascista. Tesi credibile, anche se non pochi demo nazionali caduti in disgrazia finirono poi nell’orbita andreottiana. Significativi, infine, i nome degli esponenti della Giovane Italia degli anni Sessanta (avrebbe potuto essere una buona classe dirigente, se non li avessero fatti scappare vivi); i tentativi ostinati ma frammentari di riviste e rivistine nell’area politica della destra e soprattutto i rari ma benemeriti tentativi di dar vita a prestigiosi cartelli culturali, come fu il Centro di Vita Italiana.

Credo che queste testimonianze portino un contributo serio alla storia della destra in Italia e alle ragioni della sua presente impresentabilità, come dicono tanti suoi avversati, osservatori ed ex amici. Prima di indignarsi per le critiche e di neutralizzarle richiamando la impresentabilità altrui, sarebbe bene che la destra tutta, non solo quella di Alleanza Nazionale, accogliesse questa critica, la facesse propria, fino a indagare le ragioni prossime e lontane di quel deficit di credibilità e di classe dirigente. E cercasse infine di rispondere a quelle critiche con le iniziative e non con gli sberleffi. Si tratta di rispondere costruendo la destra presentabile e non insultando a destra e a manca “prezzolati” e “traditori”. Non so se alcuni di questi critici della destra impresentabile abbiano “mandanti” che nutrano il disegno di ricacciare in un angolo la destra. Ma le critiche che leggo in queste pagine nei confronti della destra impresentabile hanno un solo trasparente mandante: l’amore deluso per la destra e il timore che una grande occasione, per dirla con D’Alema, vada sprecata.

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  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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