Centenario della “I Guerra Mondiale”: intervista a Veneziani della “Rivista di Cavalleria”

Commemorazioni del centenario della Grande Guerra: è maggiore il rischio della retorica patriottica declamata solo per dovere o quello del piagnisteo pacifista sulla inutile strage? 

Decisamente il secondo: film “istituzionali”, rievocazioni sui media e posizioni prevalenti di storici e intellettuali sottolineano più l’aspettocatastrofico della guerra e la costrizione di massa, più che la coscrizione obbligatoria, a giocarsi la vita in trincea.

La mia generazione è forse l’ultima ad avere ascoltato dai nonni i loro racconti sulla vita al fronte nella Grande Guerra. Rispetto ad alcune ricostruzioni che oggi vengono divulgate, soprattutto nel mondo dello spettacolo, quei racconti sembravano arrivare da un altro pianeta; era offuscata la memoria dei nonni oppure oggi si preferisce lavorare di fantasia per fare cassetta, per ideologia o addirittura per ignoranza?

Ricordo anch’io cos’era la festa della Vittoria quand’ero bambino, le scolaresche portate ai monumenti e ai sacrari, e cosa è diventata dopo che ha smesso di essere  chiamata Celebrazione della Vittoria. Non mancava la retorica in quelle commemorazioni, oggi la retorica non è finita, è solo di segno diverso ma pervade il pacifismo dei nostri anni.

Si dice che la Grande Guerra sia stata la prima occasione in cui italiani del Nord e del Sud si siano veramente conosciuti da vicino. È solo un luogo comune o c’è un fondo di verità?  E in tal caso quale memoria se ne è conservata nelle famiglie del Sud?

La Grande Guerra ha realmente amalgamato, seppur tragicamente, italiani del nord e italiani del sud e li ha fatti sentire consorti, uniti, parte di uno stesso destino e di una stessa patria. Dobbiamo abituarci a leggere gli eventi della Prima Guerra Mondiale in una chiave inevitabilmente contraddittoria. Da un verso la Guerra fu vissuta come una maledizione, un obbligo crudele, che spezzava le vite e le famiglie costringendo artigiani, contadini e gente che non si era mai mossa di casa a combattere per una causa che spesso sentivano lontana, se non estranea. Dall’altra generava coesione, spirito di solidarietà, acutizzava il senso vivo dell’umanità, e in taluni accendeva lo spirito d’italianità, il patriottismo… La Grande Guerra fu l’una e l’altra cosa, sarebbe ipocrita o fazioso limitarsi a narrare solo uno dei due aspetti.

Franco Cardini scrive che molti storici ormai concordano nel dire che le seconda guerra mondiale fu semplicemente la “ripresa della prima dopo un breve intervallo”. Tutto sarebbe iniziato dalla delusione della “vittoria mutilata” ma forse i problemi che viveva il Sud nell’immediato dopoguerra erano altri; quali secondo lei?

Se sul piano nazionale la Grande Guerra fu, con tutte le sue tragiche contraddizioni, un evento cruciale nella nazionalizzazione delle masse e nella diffusione di un forte legame patrio, sul piano mondiale la Grande Guerra fu la madre di tanti orrori: la Guerra scardinò l’Europa e gli imperi centrali, generò frustrazioni che poi sarebbero esplose nella seconda guerra mondiale, dalla guerra nacquero i totalitarismi, vi fu l’avvento mondiale del comunismo. Bisogna distinguere tra uomini giusti e cause sbagliate… La seconda guerra mondiale non nacque solo dalle ferite aperte dalla prima guerra mondiale, ma sorsero altre motivazioni, ideali e ideologiche. Comunque c’è da dire che il tasso popolare di coinvolgimento alla seconda guerra mondiale fu superiore, anche in Italia, rispetto alla prima.

Il Sud era già reduce da quella grave emorragia che fu l’emigrazione, la Guerra fu una seconda emorragia, anche se cementò l’appartenenza alla nazione e allo stato. Non dimentichiamo che il baratro tra nord e sud del dopo unità fu colmato a partire dalla prima guerra mondiale, quando nacque davvero lo Stato italiano e soldati, carabinieri, professori, prefetti, funzionari e dirigenti pubblici venuti dal Sud formarono l’ossatura dello Stato italiano, che fu il motore della modernizzazione e dell’alfabetizzazione d’Italia. Fu un processo grandioso…

Torno, per concludere, alla “inutile strage”. Posso capire l’aggettivo inutile usato prima della guerra e per evitare che la strage si compisse; eppure molti lo usano anche oggi forse senza rendersi conto che può suonare come un’offesa nei confronti dei Caduti, quasi che il loro sacrificio sia stato vano. Il pacifismo a ogni costo può offuscare anche la ragione?

Bisogna distinguere tra il sacrificio di milioni di soldati, l’eroismo di alcune minoranze ardite, il martirio di popoli e di ignari fanti, che meritano rispetto, onore, ricordo e appassionata riconoscenza, dall’effetto che produsse la Guerra, nel senso prima indicato: la fine della centralità dell’Europa, l’avvento dei regimi totalitari, la fabbrica degli orrori, la guerra totale e la leva obbligatoria di massa. Il pacifismo non ha mai fermato una guerra, al più ha indebolito una delle parti in conflitto, la propria… E spesso non è animato dal desiderio di deporre le armi ma di spostare il conflitto in altri ambiti e tra altri soggetti, per esempio dalle nazioni alle classi, dalle trincee alla guerra civile, dalle battaglie alle rivoluzioni… Onorare i combattenti non vuol dire amare la guerra

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  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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