Fato, musica e filosofia

Dall’intervista per la Voce Adriatica
- In “Amor fati” lei parla di destino: perché è così importante discuterne?
Il contrario del destino non è la libertà ma il caso, o il suo anagramma, il caos. Amare il destino vuol dire anzitutto pensare che il mondo, la vita, la nostra stessa vita non siano frutto del caso, ma siano connessi a un ordito, un senso, un destino. Non avere un destino significa che tutto può essere e non essere, non fa differenza. Senza destino ci aspetta il nulla.
- Quanto e perché è negativo il fatalismo?
Se l’amor fati è l’accettazione serena dei responsi della vita, il fatalismo è la rinuncia a priori di ogni impegno o sfida, è abdicare, disertare, lasciarsi vivere. Il fatalismo diventa alibi per la pigrizia e la viltà, amor fati l contrario è accettare la responsabilità della vita e le sue conseguenze.
- Come avvicinare al meglio alla filosofia e alle riflessioni profonde un pubblico molto avvezzo ai social come quello di oggi?
Innanzitutto cercando di far capire che la filosofia non è il sapere erudito di una setta di addetti ai lavori ma riguarda tutti perché nasce dalla sorpresa di esistere, lo stupore infantile, e il dolore di svanire, l’educazione alla morte. Vivere non basta, si deve pensare la vita. Certo, la filosofia deve sapersi connettere ai mezzi e ai linguaggi odierni; ma occorre anche lo sforzo inverso da parte del pubblico social.
- Che relazione c’è per lei tra musica e filosofia?
La filosofia è musica in parole e idee, la musica è filosofia in canto e ritmo. Entrambi aspirano all’armonia e alla visione, pur abitando ambedue l’invisibile. Pitagora docet.