Friedrich Nietzsche
Giù le mani da Nietzsche. Non è un Rambo da Borsa
Due giorni fa eravamo a festeggiare un compleanno in contumacia: eravamo a Sils Maria nella casa di Friedrich Nietzsche a celebrare il suo compleanno, il 167º. Colpisce la piccola stanza dove soggiornava il profeta di Zarathustra. La grandezza di un destino nel piccolo spazio di una camera. Il cielo in una stanzetta.
Eravamo con il suo principale medium, Sossio Giametta, traduttore dell’intera opera di Nietzsche che festeggiava a sua volta, con un nascente Premio Nietzsche a lui assegnato, le nozze d’oro con Zarathustra, cinquant’anni di traduzioni e opere su di lui. Eravamo con altri studiosi e appassionati, poi con Mina e Lisanna e il circolo La Torre di Chiavenna che ha organizzato a Piuro il primo seminario su Nietzsche, dove il pensiero si calava nel paesaggio e si prolungava nelle passeggiate nei luoghi nietzscheani dell’Engadina.
Qui Nietzsche ritrovò Zarathustra che aveva incontrato per la prima volta sul mar ligure camminando verso Zoagli, e qui, sul lago di Silvaplana, presso Surlej, su un masso a forma di piramide ebbe in forma d’estasi l’illuminazione dell’Eterno Ritorno. Qui a Sils-Maria Nietzsche visse solitario l’estate del suo pensiero per otto fertilissimi anni tra il 1881 e il 1888.
È bello vedere quel paesaggio con gli occhi di Nietzsche, le cime della Volontà di potenza e i tramonti dell’Amor Fati, le passeggiate di Zarathustra al mattino e al meriggio e gli Eterni Ritorni del sole. Come è lontano quel Nietzsche solitario di Sils-Maria dal Nietzsche tempestoso indicato come il mandante filosofico di tanti orrori storici e altrettanti errori di pensiero della nostra epoca.
Come è noto, Nietzsche fu prima considerato il padre putativo del fascismo e del nazismo. Poi, più recentemente, del superuomo di massa e perfino di Borsa, dei rambo più spietati e dei macho palestrati, del delirio estetico e dionisiaco, tra sesso, fumo e trasgressione.
E fu considerato il Deicida per eccellenza, il filosofo della Morte di Dio e dell’avvento del nichilismo. E non solo, videro in lui il distruttore di tutti i valori e il primo ispiratore della negazione della realtà e della verità nel nome della superba volontà di potenza.
Per cominciare, Nietzsche non è il compendio del Novecento e dei suoi orrori. Il suo pensiero impolitico guarda oltre l’abisso della storia e delle ideologie; e il Novecento, soprattutto nella prima metà, fu invece un secolo versato interamente nella storia e nelle ideologie. Lui stesso disse che lo si comincerà a comprendere nel Novecento ma lo si comprenderà appieno solo a partire dal terzo millennio. Il suo pensiero va oltre la storia e i suoi scenari, la sua stessa idea di Grande Politica mira a oltrepassare la storia e l’umanità del suo tempo.
In secondo luogo, Nietzsche non uccide Dio ma ne descrive la morte nella nostra epoca. E anche del nichilismo Nietzsche è sismografo ed è profeta, nel senso che lo vede e lo prevede; ma non lo invoca, semmai se ne fa una ragione. Pochi mesi fa Benedetto XVI ha indicato in Nietzsche il profeta dell’ateismo e del nichilismo, e del rifiuto superbo dell’umiltà e dell’obbedienza; ma tornando in Germania il Papa ha poi detto che sono più vicini a Dio i non credenti irrequieti, piuttosto che i credenti di routine.
In questa luce, Nietzsche sarebbe più vicino a Dio rispetto ai farisei e ai credenti spenti che seguono la fede per forza d’inerzia. E fu questa, del resto, l’idea di pensatori cristiani come Max Scheler e Gustave Thibon, ma anche di Sciacca e Del Noce.
Quanto al superuomo di massa della nostra epoca, non so quali legami pur vaghi ci possano essere tra Zarathustra e Superman, tra Dioniso e Vasco Rossi o Jim Morrison, tra il filosofo dell’Amor fati o l’asceta dell’Eterno Ritorno e i Rambo, i Palestrati, gli uomini di Borsa, o perfino Erika e Amanda Knox.
Certo, la volontà di potenza di Nietzsche non basta a spiegare la natura umana, accanto a essa vibrano altre volontà anche opposte: per esempio, la volontà di annientarsi, che poi Freud chiamerà istinto di morte, pulsione suicida; la volontà di trascendersi in una dimensione superiore e impersonale; la volontà di amare e perfino di annullarsi nell’amare; e, sotto tutte, la più umile e primaria volontà di vivere, che aveva descritto Schopenhauer che come Nietzsche fu Biosofo più che filosofo. Pensatore della vita più che della logica.
Ma oggi Nietzsche è inchiodato soprattutto a una citazione, «Non esistono fatti ma interpretazioni» che vorrebbe essere il riassunto cinico di un’epoca che nega la verità, la realtà, e insieme nega le regole, per affidarsi solo all’arbitraria e soggettiva interpretazione personale. In realtà, Nietzsche in quel passo polemizzava con il positivismo del suo tempo, con il feticismo assoluto dei fatti; intendeva negare che i fatti isolati dal contesto, dalle cause e dai soggetti che li vivono, potessero da soli spiegare la realtà.
Perfino San Tommaso, maestro di metafisica e realismo, dice che la verità è il combaciare di intelletto e realtà, non basta la sola fisica dei fatti a spiegare la vita, il mondo, le cose. Analogamente Nietzsche non invoca la distruzione dei valori ma la loro trasvalutazione e aggiunge un’osservazione decisiva: in mancanza di valori tocca a noi essere valorosi, cioè di caricarci sulle nostre spalle tutto il peso della perdita di valori. Il mare, i monti, il pensiero di Nietzsche ondeggia tra questi estremi.
Non è la storia ad accogliere la sua solitudine, ma la natura, il ritmo del cosmo, la disperata allegria dell’uomo che tramonta ed eternamente ritorna. L’innocenza tragica e giocosa di Zarathustra.
MV, Il Giornale, 17 ottobre 2011
Così ammutolì Zarathustra Nietzsche al tempo della crisi
La Tragedia della nascita. Disumano, troppo Disumano. Tramonto. La Triste Scienza. Così ammutolì Zarathustra. Necrologia della morale. Al di sotto del bene e del male. Finis Homo. Gli idoli del crepuscolo. Le lamentazioni di Dioniso. La Volontà impotente.
Ho provato a rovesciare i titoli euforici delle opere di Friedrich Nietzsche e non per un gioco pirandelliano che fonda l’umorismo sul sentimento del contrario. Ho immaginato cosa potrebbe scrivere Nietzsche oggi. Un Nietzsche fedele alla promessa di Zarathustra, «tornerò di nuovo»; ma riapparso nell’epoca del nichilismo stanco in cui l’esaltazione cede il passo alla depressione, non scriverebbe sulla nascita della tragedia ma più cupamente sul dolore di venire al mondo.
Non cercherebbe di andare oltre l’umano troppo umano, ma constaterebbe il trionfo del disumano. Non scriverebbe Aurora ma Tramonto, né la Gaia scienza ma la Mesta Scienza. Il suo Zarathustra non avrebbe più sermoneggiato ma sarebbe ammutolito perché la parola ha perso senso e valore. E non saluterebbe la nascita, anzi la genealogia, di una morale, ma ne studierebbe la necrologia. Non andrebbe poi al di là del bene e del male davanti allo spettacolo di una società caduta al di sotto del bene e del male.
Non saluterebbe il sorgere dell’Oltre-uomo in Ecce Homo, piuttosto scriverebbe della fine dell’uomo. Non descriverebbe il grandioso crepuscolo degli idoli, piuttosto vedrebbe spuntare gli idoli e idoletti del crepuscolo. Non intonerebbe ditirambi entusiastici a Dioniso, ma geremiadi. E infine, non penserebbe di scrivere La Volontà di Potenza ma constaterebbe l’impotenza della volontà nell’eterno perdersi del mondo, più che nell’eterno ritorno.
Chi pensava che Nietzsche rappresentasse l’ultimo gradino del nichilismo nel pensiero occidentale, deve considerare ora la sua parabola ulteriore e discendente: dal nichilismo attivo nietzscheano al nichilismo passivo, dall’euforia pur tragica ed eroica di Zarathustra alla depressione cinica e dissolutiva del presente. Nietzsche reagì alla decadenza; un nuovo Nietzsche ne asseconderebbe il decorso. Alla fine, su Nietzsche ha vinto Leopardi, anzi un leopardismo pratico, impoetico. È la verità del nichilismo.
Oggi è il compleanno di Nietzsche, che infatti nacque il 15 ottobre del 1844. L’altro giorno, a Piuro, Emanuele Severino ha ricevuto il «Premio Nietzsche», e intorno al premiato e al titolare del premio si è imbastito un seminario con Sossio Giametta, decano dei nicciani, Massimo Donà, Giuseppe Girgenti, Andrea Tagliapietra, Armando Torno ed io. È il secondo seminario organizzato dal circolo culturale La Torre di Chiavenna, fra la Val Bregaglia e Sils-Maria, luogo elettivo di Nietzsche. Severino è forse oggi il filosofo italiano che ha tentato più di ogni altro di andare oltre Nietzsche, partendo dal cortocircuito del pensiero occidentale rispecchiato nel suo pensiero e nella sua vita.
Ha cercato di capovolgere l’innocenza del divenire, caposaldo dell’eterno ritorno nietzscheano, nell’eternità dell’essere. E Sossio Giametta, gran traduttore di Nietzsche ha scritto, tra l’altro, un Commento allo Zarathustra che sta all’opera di Nietzsche come il Commento di Miguel de Unamuno sta al Don Chisciotte di Miguel de Cervantes. Il paragone non è casuale. Zarathustra come Don Chisciotte affronta il mondo dopo la caduta del platonismo. Che nel suo caso è la caduta del cielo in terra e nel caso di don Chisciotte è la caduta del mondo ideale cavalleresco.
Ma il primo si rifugia nell’avvenire e perso il cielo e gli dei, cerca di trovare sulla terra l’uomo superiore che erediterà la morte degli dei. Il secondo invece si rifugia nel passato e nelle sue allucinazioni, e persa la lucidità, cerca di abitare il suo sogno nella realtà, con i risultati tragici e grotteschi che conosciamo. La sorte dei loro autori è invece capovolta: Cervantes scarica le follie della vita sul suo personaggio, che impazzisce e muore. Nietzsche salva Zarathustra e lo lascia forte e ardente come il sole, ma carica su di sé la follia della sua profezia, e impazzisce.
Tramite Zarathustra, Nietzsche aveva pensato di fondare una nuova religione terrena segnata dall’apparizione del sovrumano. Visione epica ed eroica, euforica e giocosa del destino. Una religione danzante e ridente, contro la religione mortuaria e nereggiante, afflittiva e punitiva del cristianesimo. Qui c’è qualcosa di più della polemica anticristiana, c’è la biografia di Nietzsche: quanto ha pesato su quella luttuosa visione del cristianesimo il ricordo infantile di suo padre pastore luterano morente? I vestiti neri e il lutto familiare degli anni seguenti, la fede come orfanità e vedovanza, la fanciullezza rubata dal dolore.
La morte di Dio è forse la trasfigurazione celeste della morte del Padre, il pastore? A quell’età i ricordi si conficcano come chiodi. Ai suoi occhi Dioniso è l’infanzia del mondo che scaccia e riscatta la memoria triste della sua infanzia. Come l’elogio della salute vigorosa è l’esorcismo e il rifugio dalla propria salute cagionevole.
Nietzsche torna a danzare ma la musica non è più la sua. Ora che la storia è stritolata nella tenaglia tra la tecnica e la natura, ovvero tra la potenza innescata dall’umano e la rivincita del primordiale o basic istinct, Zarathustra è reclamato a gran voce e ridiscende dai monti. Lo reclamano quanti vedono in lui il profeta della volontà di potenza e del superuomo dell’era tecnologica. E quanti trovano in lui il profeta della natura liberata ed esuberante.
Ma la potenza della tecnica non è più controllata dall’artefice, che ne è anzi soggiogato, e procede per suo conto; e la natura, incattivita dalle devastazioni, si rivale sulla civiltà e segna il primato degli impulsi emotivi e degli istinti bestiali sull’equilibrio del saggio vivere secondo natura. Dunque non è l’avvento del sovrumano che profetizzava Nietzsche, ma il dominio dell’automatico e del subumano a occupare la scena e a tradire il canto di Zarathustra.
Pur consapevole che la strada di Nietzsche è senza sbocchi, torno sui suoi passi da una vita. Il primo articolo che pubblicai, a diciannove anni, fu dedicato a lui e al suo tempo venturo, che non venne mai, se non in versione rovesciata. Eppure mi ritrovo ancora, dopo svariati anni a parlare di lui e del suo Zarathustra, la bibbia dei miei diciott’anni. L’eterno ritorno di Nietzsche, e la vana speranza che ci si possa salvare da soli aggrappandosi al futuro.
MV, Il Giornale, 15 dicembre 2012