Indro Montanelli

I cinque regali inediti del divo Montanelli.

Nel centenario della sua nascita vorrei capire quale eredità ha lasciato Indro Montanelli a noi posteri, lettori, colleghi e italiani. Lascio da parte le celebrazioni, sempre stucchevoli, e appendo al chiodi dell’anima i sentimenti. Dunque notaio procediamo.

Al primo comma il Priore Cilindro Montanelli da Fucecchio lascia in eredità ai suoi posteri il miracolo di un anti-italiano che fu pure arci-italiano. Montanelli fu la sintesi giornalistica di un anti-italiano dichiarato come Prezzolini e un arci-italiano confesso come il suo caro nemico Malaparte. Montanelli ingaggiò davvero la guerra dei cent’anni, meno otto (stando alla sua età) con il suo paese. Maltrattò l’Italia e mostrò disgusto per gli italiani, fustigò i suoi vizi e i suoi vezzi, non sopportò le sue smancerie e la sua retorica pomposa.

Fu di destra ma non adorò né Dio né patria né famiglia. Fu arcitaliano nei gusti e nei disgusti, oltre che arcitoscano come i due predetti amici. Fu arcitaliano pure nello stile, nell’umorismo e nell’improvvisazione, negli umori e malumori, lievemente qualunquista e ondivago, sempre all’opposizione ma poi governativo per fatalismo, intransigente per tigna ma accomodante per pessimismo.

Fu il tipico italiano virtuosamente provinciale, fascista e frondista, femminiero e vanitoso, protagonista anche quando non lo era. Individualista e anarchico come tutti gli italiani, ma conservatore e centrista come loro. Ribelle ma ammiratore dei potenti e del loro cinismo (aveva per esempio una cotta per il cinico e curiale Andreotti).

Comma secondo, Montanelli lascia in eredità agli italiani il suo conservatorismo disincantato, la sua voglia di libertà senza ideologia liberale, il suo esser di destra ma, per intima insofferenza e furba civetteria, contro la destra in campo; la sua pelle di moderato copriva il suo cuore anarchico e un po’ fascistone che amava più la sorpresa che la consuetudine, più la rivolta autarchica che l’ordine stabilito.

Piaceva ai conservatori ma lui era attratto da Curcio il brigatista, da Vallanzasca il bandito, da Berto Ricci l’eretico fascista, da Wanda, la donna di piacere. Leggeva poco, sia libri che giornali, in questo rappresentando il conservatore tipo, di poche ma buone letture, allergico agli intellettuali.

Comma terzo, Indrosauro lascia agli storici una lezione di chiarezza e ai suoi lettori la passione per  la storia. C’è qualche imprecisione in qualche suo vecchio testo, c’è qualche superficialità di giudizio, c’è qualche ombra di plagio su qualche libro (una volta, lui in vita, lo documentai e me ne dispiacque). Ma davvero Montanelli ha avvicinato alla storia legioni di allergici e traumatizzati dalla storia che si studia delle scuole.

Aveva ragione di prendersela con gli storici accademici che lo trattavano con sussiego ma scrivevano con i piedi (storti). Lui ha compiuto davvero nella divulgazione storica un’opera meritoria. Grazie anche ai suoi compagni di viaggio, da Gervaso a Staglieno, da Bettiza a Cervi. E a Buzzati, che per primo lo istigò ad occuparsi di storia come se fosse un lungo reportage.

Comma quarto. Indro lascia ai giornalisti l’amore per lo stile prima che per il contenuto, per l’effetto prima che per la dialettica, per la tesi prima che per l’analisi. Levigava le sue frasi da artista ma era ancora alla sua vocazione di artigiano della Lettera 22. Montanelli è l’antichità del giornalismo un classico del quotidiano; era già un postero da vivo. Ma era più vivo di molti suoi posteri.

Si avvertiva la musicalità del pezzo mentre leggevi, ti accorgevi che la geometria del testo era subordinata all’armonia del testo, cioè del gusto. A cominciare dal gusto longanesiano della battuta: vera o non vera, non importa, purché fulminante, divertente e irriverente, almeno in apparenza. Ai giornalisti lascia anche la voglia egocentrica ma nobile di non parlare per conto di nessuno e attraverso cerimonie e sotterfugi.

Era diretto Montanelli nel suo periodare; anche a novant’anni non suonava il trombone come molti suoi più giovani colleghi. Insuperabile nei ritratti e negli schizzi brevi; un po’ esagerato nelle testimonianze dirette(sembrava che i grandi della Terra avessero consegnato a lui in tre minuti di colloqui il segreto della loro vita). Ma sempre accattivante anche quando inventava o faceva reportage per sentito dire, in modo più veritiero di chi ci era stato e gli aveva riferito.

Comma quinto, Montanelli lasciò un’eredità, il Giornale (dove mi inventò come editorialista sbattendomi in prima pagina). Lo fondò negli anni di piombo, chiamò a raccolta l’Italia libera e non conformista che non amava la sinistra, reclutando liberali, conservatori, missini un po’ scontenti delle sue prudenze, nasi otturati, cattolici e moderati un po’ arrabbiati e non rassegnati.

Fondò un giornale ribelle ma educato, composto ma indisposto ai compromessi storici e politici. Gettò le basi per una democrazia bipolare nel regno conforme della stampa, anche se poi disconobbe l’effetto politico di quella scelta. Feltri ne fu il continuatore con il Giornale, l’Indipendente e Libero. Ma l’ultima storia de la Voce non ha lasciato tracce; non si possono mandare all’aria settant’anni di giornalismo per sette di malumore contro la destra e il suo ex-editore Berlusconi.

D’altra parte Montanelli sapeva che i suoi capricci richiamavano plausi e carezze della stampa, per due terzi sbilanciata a sinistra. Non lo faceva per interesse, ma per civetteria: gli piaceva scendere le scale della destra come una Wanda Osiris del giornalismo. Ma la Voce passa, Montanelli resta. A Sergio Romano che ieri ricordava sul Corriere la grande amicizia di Montanelli con Prezzolini vorrei però ricordare che Indro chiuse a Prezzolini le porte del Giornale. Troppo di destra…

Infine, la domanda è d’obbligo: questa è l’eredità, ma è vero che Montanelli non lascia eredi? Montanelli è nato singolo e da singolo è morto, senza figli. Ma con tanti figliastri, figli illegittimi o naturali; in senso professionale, s’intende. Il miglior modo per essere montanelliano è non tentare di somigliargli nello stile e nei contenuti. Per somigliare davvero a Montanelli bisogna essere come lui, inimitabile.

MV, Libero 22 aprile 2009


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  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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