Chiese chiuse e tabacchi aperti

Non era mai accaduto, nemmeno in tempo di guerra e sotto il peggior regime totalitario che tutti i cittadini di un paese fossero privati delle libertà primarie, dei diritti più elementari, diritti umani prima che costituzionali: uscire di casa, camminare, lavorare, viaggiare. E non era mai successo, neanche sotto le peggiori pestilenze, che la religione e la Chiesa fossero cancellate dalla vita sociale. Anzi, proprio nei momenti di maggiore sofferenza e rischio per la vita delle persone, il conforto della religione, la preghiera in chiesa, era essenziale. Non discuto la profilassi; sarebbe stato incauto consentire le messe e le cerimonie, anche se impressiona la religione subordinata alla scienza, la priorità della salute sulla salvezza. E la religione ridotta a fatto intimo, privato, al più televisivo.

Chiese chiuse e tabacchi aperti. La rappresentazione di questa scomparsa è stata la video-messa del Papa che predica nel deserto di piazza San Pietro. E la più sintesi più efficace l’invito di Fiorello a pregare in bagno, come se equivalesse a defecare o masturbarsi. Per Michele Serra l’esigenza di andare alla messa pasquale era una pretesa da “scemi”. Finché si difendono le misure sanitarie nulla da dire. Ma lui ha paragonato, con volgare scemenza, la riapertura delle chiese “alle riaperture delle bocciofile e dei tornei di scopa d’assi”, confondendo religione con ricreazione. E dopo aver sproloquiato sul fascismo che non c’entra nulla con le messe pasquali, si è chiesto: “Perché mai gli scemi di destra pretendono che la fede debba avere la forma di un’adunata?” Forse Serra e tutto l’episcopato laico non sanno che la religione cristiana si organizza da duemila anni su comunità di credenti che si chiamano chiese (da ekklesia, comunità, assemblea, adunata) e vanno a messa; se la fede ne facesse a meno sarebbe faidate, come il bricolage o i vizi solitari. Renderebbe superflua la religione come la Chiesa e i sacerdoti. È una proposta da idioti, nel senso etimologico della parola, perché riduce la fede e la religione a fatto privato (idiotes). Alla fine se n’è accorto pure Bergoglio che ha notato con preoccupazione la riduzione clandestina della fede e la scomparsa della Chiesa nel nome della salute. (Salvo poi rimangiarselo e allinearsi al governo).

Il nodo non può essere risolto con boutade o gesti televisivi, come recitare l’eterno riposo in un programma televisivo o esortare alla messa pasquale nonostante il divieto. Ma qui si corona, è il caso di dirlo, una tendenza latente e diffusa delle nostre società a ridurre la religione a fatto privato, coscienza dei singoli. La parabola della nostra società scristianizzata inverte i poli su cui si è formata la nostra società: la sfera sessuale appartiene all’intimità, la sfera religiosa appartiene alla libera manifestazione della fede. Invece, da tempo, e a prescindere dal contagio, si è invertita la polarità: è lecito esibire le proprie preferenze sessuali, la propria pratica e i propri orientamenti, anzi può essere ostentata con orgoglio (i famosi pride); mentre la fede devi tenertela per te, devi nasconderla, perché lo spazio pubblico è laico e ciò che è religioso è solo intimo. Questa, nella migliore delle ipotesi, è la riforma protestante applicata alla religione cattolica; nella peggiore è la riduzione della fede a un bisogno intruso e scorretto, che puoi tener vivo solo nella mente e nel cuore, non per strada. Certo, le nostre vie, le nostre piazze, persino i nostri ospedali sono costellati di chiese, edicole votive, simboli religiosi, richiami ai santi. Ma vanno intesi come musei di un’epoca superstiziosa, ruderi del passato con residuo valore turistico o artistico.

Sparisce quel che un secolo fa Carl Scmhitt chiamava “la visibilità della Chiesa” in quell’intreccio di visibile e invisibile che è la rappresentazione di una spiritualità che si incarna e si fa vita e storia. Oltre la fede scompare la “comunità vivente” – vale anche nella scuola e nell’università- è puro solipsismo o può esistere come corso per corrispondenza. È la morte di una civiltà, di una visione della vita, al di là delle stesse confessioni religiose. È la solitudine globale. Uniti solo dal mercato e dalla tecnologia, separati da tutto il resto.

Walter Benjamin pose il problema dell’arte che perde l’aura nell’epoca della sua riproducibilità tecnica; a maggior ragione si dovrà prima o poi affrontare il tema del sacro che perde la sua aura nell’epoca della sua riproducibilità televisiva. La fede non va in onda come un serial; ma è mistero della fede che s’incarna in una comunità vivente, nella sua prossimità.

MV, Identità e cultura (maggio 2020)

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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