Augusto Del Noce

Del Noce, l’uomo che vide la dittatura nelle masse

 Il 29 dicembre di 25 anni fa, tra Natale e Capodanno di un anno famoso, il 1989, moriva Augusto Del Noce. Oltre il suo pensiero filosofico, Del Noce si occupò della società di massa e delle sue contraddizioni.

Egli affrontò la cultura di massa prima nella fase sacrale della secolarizzazione, quella che generò il comunismo, il fascismo e il nazismo, e poi nella fase profana della secolarizzazione, sorta con l’americanizzazione del mondo, il primato dell’individualismo di massa, il predominio della tecnica e dello scientismo, il dilagare della società opulenta, consumista e permissiva, il sorgere dell’industria culturale di massa e dei nuovi mezzi di comunicazione.

Nella fase sacrale della secolarizzazione apparvero religioni politiche e ideologie messianiche proiettate nell’avvenire e fondate sulla mobilitazione delle masse, animate da una passione etica e comunitaria protesa a modificare la storia attraverso la politica, la lotta e la militanza. La fase profana della secolarizzazione si fonda invece su pulsioni individuali e consumi di massa, si riversa interamente nel presente, diffida della politica e dei contesti nazionali e affida le sue aspettative al benessere economico, allo sviluppo industriale, agli agi prodotti dalla tecnica e ai piaceri promessi dalla visione libertina.

La cultura di massa nell’era sacrale della secolarizzazione era un moto invasivo che coinvolgeva e quasi assorbiva la sfera personale e privata nella dimensione pubblica e politica; la cultura di massa nell’era profana della secolarizzazione compie il moto inverso, la sfera pubblica viene coinvolta e quasi risucchiata nella dimensione privata e biologica. Anche la politica arretra davanti alla vita o si fa, per dirla con Foucault, bio-politica.

Il pericolo totalitario che si apre nella nostra epoca per Del Noce non riguarda più la fase sacrale della secolarizzazione coi suoi regimi dispotici e le sanguinose utopie che hanno funestato il Novecento, perché sorge un totalitarismo di tipo nuovo, incruento ma pervasivo, che dispone dell’umanità senza tirannia o violenza e cresce all’ombra dello scientismo, dell’erotismo e dell’omologazione di massa.

Ma è un totalitarismo nel vero senso della parola perché esclude di fatto ulteriori orizzonti e dissolve ogni legame, valore e pensiero che vi si oppone o che semplicemente non rientra nel suo alveo e non conduce ad altre scelte di vita. Il nuovo totalitarismo non usa la forza ma la seduzione, non i divieti ma i desideri. In questo contesto anche la pornografia, come già aveva intuito Proudhon, assume per Del Noce un ruolo sociale sedativo e diversivo: diventa il nuovo oppio dei popoli, la nuova alienazione di massa che riduce la persona a strumento del piacere. Al posto del sacro, la liberazione sessuale promette nuovi paradisi in terra ad personam .

La nuova «cultura di massa» sostituisce il sentire religioso e l’amor patrio con la visione scientista e libertina della vita. Il materialismo dialettico della tradizione marxista e comunista cede il passo a un materialismo che Del Noce definisce «puro» perché assolutizza il materialismo e lo risolve nei profitti e nei consumi. Il materialismo egoista del presente vince su quello collettivo che si proiettava nel futuro, il diritto al piacere predomina sul riscatto sociale.

Il nuovo materialismo, per Del Noce, si configura come «totale individualismo»; l’idea di felicità si separa non solo dall’idea classica di beatitudine ma anche da quella di giustizia sociale. Sul piano sociale tramonta l’orizzonte di classe, l’operaismo e il riferimento proletario cedono il passo a un orizzonte neo-borghese, di una borghesia che ha ormai perduto i connotati cristiani e nazional-famigliari della vecchia borghesia. Dalla lotta di classe, annota Del Noce, si passa alla lotta contro la repressione. Marx cede il posto a Freud, anzi a Reich.

Sul piano politico, al posto dei vecchi partiti legati alla fase sacrale della secolarizzazione, si profila il partito radicale di massa, le cui battaglie non riguardano più le ingiustizie sociali, le diseguaglianze economiche, l’attesa messianica di una rivoluzione proletaria, ma i diritti civili, i temi bio-etici, e tutte le battaglie per l’emancipazione, sempre a sfondo individuale, che abbiamo conosciuto dal ’68 in poi: il divorzio, l’aborto, la liberalizzazione della droga, il movimento femminista, il riconoscimento delle coppie gay, la fecondazione artificiale, la modificazione transgenica, l’eutanasia.

Del Noce coglie al suo apparire la società del nostro tempo, identifica il suo terreno d’incontro nel confine tra scientismo e liberazione sessuale e ne indica gli inevitabili sviluppi, che si sono puntualmente verificati, fino all’edonismo triste dei nostri giorni.

Sul piano delle idee Del Noce vede nel passaggio alla nuova cultura di massa un triplice salto mortale: dal liberalismo al libertarismo attivistico, dal marxismo al permissivismo libertino, dall’umanesimo allo scientismo. Del Noce individua una specie di «superideologia» che sorge dal collasso delle ideologie storiche, e si presenta come la fine, la sintesi e il superamento delle ideologie, e insieme il compimento dell’irreligione contemporanea. Su altri versanti più politici evidenzia «la collusione tra la destra tecnocratica e la sinistra culturale».

La destra che si separa dalla sua visione morale e la sinistra che abbandona la sua visione sociale confluiscono nella super-ideologia, moralista in teoria e cinica nella prassi, che sostituisce il piano religioso e culturale con la tecnica e il modello libertino esteso a livello di massa. La cultura di massa non coincide ma diverge dalla cultura popolare sino ad esserne in alcuni tratti l’antitesi.

In Del Noce non c’è pregiudiziale elitaria o intellettuale nel giudicare la cultura di massa; semmai vi oppone la tradizione popolare, il sentire comune. La massa è un concetto tratto dalla fisica e applicato all’umanità per sottolineare la mutazione antropologica e la sua rilevanza puramente materiale: se il popolo è massa più energia spirituale, e nella vox populi ancora vive la vox dei , la massa è invece il popolo che ha perduto Dio e il senso religioso, che non ha volto e identità ma solo peso e volume.

Senza spirito, il popolo degrada a massa, la persona si riduce a individuo, perdendo ambedue il volto, l’anima e la storia. È quella la vera, gigantesca alienazione del nostro tempo. Da qui l’incessante guerra che Augusto Del Noce, filosofo gentile e cattolico in disparte, combatté in solitudine con le armi delicate dell’intelligenza e della fede.

M.V., Il Giornale, 28 dicembre 2014



Augusto Del Noce, il risorgimento come tradizione

Augusto del Noce quasi si vergognava della sua intelligenza, aveva pudore della sua profondità e la nascondeva sotto il velo affabile della sua cortesia. Quando parlava in pubblico non aveva un eloquio fluente, ma tormentato: ascoltandolo partecipavi al travaglio di un parto, eri ammesso a vedere il lavorìo della sua intelligenza mentre forgiava i suoi pensieri e li sfornava davanti a te, caldi e ancora contorti.

La sua scrittura era invece limpida ed efficace. Del Noce morì alla fine dell’89, e vide appena la caduta del Muro ma previde l’esito italiano e mondiale del comunismo, il suicidio o l’eutanasia del comunismo. Il passaggio dal comunismo al consumismo, dal Pci al partito radicale di massa, fu descritto perfettamente da colui che poi non lo vide.

La cultura italiana definiva provinciale tutto ciò che nasceva in Italia e considerava il caso italiano come l’anomalia di un paese che non era entrato nella modernità perché aveva avuto la Controriforma senza aver avuto la Riforma protestante, e perciò aveva avuto il fascismo (dimenticando che il paese della Riforma ebbe poi il nazismo). Al contrario Del Noce considerava il nostro paese come il paradigma dell’occidente, il laboratorio in cui si sperimentò il difficile rapporto con la modernità, il marxismo, il fascismo.

Mentre la cultura dominante nel nostro paese considerava il fascismo, con più indulgenza il comunismo e la Democrazia cristiana come tre cause di ritardo della modernità, tre resistenze al progresso, Del Noce, al contrario, ravvisava nel fascismo, nel comunismo e nella stessa Dc tre processi, assai differenti, di scristianizzazione del nostro paese.

Il fascismo, a suo giudizio, combatteva molti degli avversari della cristianità ma restava prigioniero del suo attivismo irrazionale, della sua volontà di potenza e del culto della guerra e della violenza. L’italocomunismo, nella sua versione gramsciana, portava l’ateismo alle masse e concorreva allo sradicamento civile e religioso. Del Noce individuava nell’intreccio tra sinistra e poteri economici il luogo di passaggio dal comunismo, con il suo afflato religioso e la sua impronta popolare, a un laicismo neo borghese, di tipo radical o giacobino.

E la Dc, a cui pure Del Noce fu vicino, aveva a suo giudizio la responsabilità di aver lasciato scristianizzare il nostro paese nel nome del benessere, sostituendo un popolo di credenti in un popolo di consumatori. che il comune sentire degli italiani e il senso religioso scivolassero dolcemente verso la scristianizzazione della società opulenta. Eutanasia del cristianesimo.

Con una diagnosi del genere, Del Noce si situava agli antipodi delle culture egemoni del nostro paese, in totale solitudine. E più solo si ritrovava Del Noce, antifascista ai tempi del fascismo, quando sosteneva che l’antifascismo sopravvissuto al fascismo diventava un fenomeno negativo e dissolutivo.

L’antifascismo per Del Noce non poteva costituire la religione civile degli italiani. Il Risorgimento, invece, si. Qui Del Noce si separava dai cattolici reazionari e antirisorgimentali ritenendo che l’idea stessa di Risorgimento, che evoca già nella sua espressione l’idea di Resurrezione, fosse rimasta incompiuta e fosse necessario saldare l’idea di nazione a quella di tradizione, civile e religiosa.

Del Noce non era clericale, coltivava una visione dantesca dell’Italia. Con un’espressione da lui non usata, Del Noce ha pensato il Risorgimento come la religione civile per il nostro paese. Religione civile da non confondere né con le religioni secolari e politiche che vogliono sostituire la religione con un’ideologia salvifica e con l’attesa di un paradiso in terra; né con la teocrazia medievale o di tipo islamico che uccide la libertà nella coincidenza forzata di fede e cittadinanza. Del Noce non scioglie la politica nella religione, né la religione nella politica ma neanche le separa come farebbe un cattolico liberale; ma afferma la necessità di attingere alla tradizione religiosa per fondare i valori condivisi di un popolo. La religione civile di Del Noce è la rilettura nel nostro tempo della teologia civile di Vico. Sposare Libertà e Verità, persona e comunità, fu il cuore della sua ricerca.

Per fondare la sua idea dantesca d’Italia, Del Noce si rifece a due autori: Giacomo Noventa e Giovanni Gentile. Il primo si oppose alla linea idealistica-hegeliana di Spaventa, De Sanctis e Croce che leggeva l’unità d’Italia attraverso la nascita dello Stato unitario. Una lettura strettamente politica del Risorgimento, che rinveniva al più in Machiavelli il suo predecessore, ma proprio in quanto segretario di Stato e pensatore dello Stato.

Secondo Noventa, invece, era stato Dante a fondare l’idea dell’Italia sulla tradizione romana e cattolica, mediterranea e poetica. Ma fu soprattutto Gentile a vedere in Dante il profeta dell’Italia risorgimentale e moderna in uno scritto del 1918. Egli riconobbe in Dante non solo il sommo poeta ma anche un vero filosofo.

La sua divergenza da Croce fu netta. Di solito la si riconduce sul piano storico al dissidio tra fascismo e antifascismo e sul piano filosofico al divario tra il razionalismo liberale di Croce e l’irrazionalismo “mistico” di Gentile. Ma sfugge una differenza essenziale: Croce, che pure non era accademico, tenne fuori dalla filosofia Marx da un verso e Dante e Leopardi dall’altro; ritenendo il primo uno scrittore politico ed un critico dell’economia e i secondi due eminenti poeti ma trascurabili pensatori. Gentile che pure era accademico, al contrario riconobbe a Marx da un verso ma anche a Dante e Leopardi dignità e potenza di filosofi e di profeti. A Croce sfuggiva da un verso la ragione profonda dell’internazionalismo marxista e del materialismo storico e dialettico.

E dall’altro la matrice poetica del pensiero italiano che passa attraverso grandi poeti-filosofi (anche Petrarca, per altri versi) e grandi pensatori che riconobbero dignità al pensiero poetante, come Vico. Il Vico di Croce è tutto nella storia ed è gravido dell’Ottocento (lui lo definì infatti secolo XIX in germe); il Vico di Gentile è tutto nel pensiero ed è gravido dell’Italia nuova.

A questa tradizione si rifà Augusto del Noce. Lui, cattolico, si riconobbe nella linea di Gentile discesa da Dante. Una linea non laica ma ghibellina (anche se Dante fu guelfo bianco); ed una linea che senza cedere al neopaganesimo e all’idolatria dello Stato (che fu di Gentile fascista), riconosceva una connotazione religiosa al processo unitario.

Il Risorgimento è la nostra Riforma morale e civile, diceva Del Noce, richiamando Noventa e Gentile. L’idea di Riforma in Del Noce si trasferisce dal piano religioso-ecclesiale del luteranesimo, a quello storico-politico del Risorgimento. Un pensiero originale che riesce a trovare un punto d’intesa fra Tradizione e Risorgimento e che concepisce il Risorgimento come categoria distinta tanto da rivoluzione che da reazione. Con una prospettiva finale per il nostro presente: Del Noce vedeva la ripresa del Risorgimento come compito dei nostri anni e immaginava, quando ancora non si era formata l’Unione Europea, una riscoperta dell’Italia “dopo l’Europa”, cioè non regredendo all’epoca delle nazioni e dei nazionalismi, ma procedendo oltre, nell’epoca degli incontri e  degli scontri di civiltà. Un pensiero lucente che ancora non trova destinatari.

Sarà un caso ma l’anno in cui Augusto Del Noce pubblicò Il suicidio della rivoluzione coincise con l’avvento di Giovanni Paolo II; e Papa Wojtila fu il principale ispiratore di quel grandioso declino della rivoluzione e del comunismo nel mondo, cominciato nella sua Polonia. Fu un vero e proprio suicidio dell’Impero sovietico e dei suoi satelliti; una corrosione interna, un’implosione.

Ma il suicidio storico del comunismo – come il suicidio filosofico di cui aveva parlato Del Noce, riferendosi sì all’italocomunismo ma considerato come un paradigma della rivoluzione mondiale – annunciava l’avvento di un’era dominata da un più potente materialismo, un più pervasivo ateismo pratico ed uno sradicamento più profondo. Si trattava, peraltro, di un materialismo non imposto con la forza di un regime poliziesco e totalitario, ma con il gradimento degli utenti.

Il comunismo si risolverà in spirito radical, prevedeva allora Del Noce, un intreccio di consumismo e di liberazione sessuale, che è poi il marchio di quella che egli definiva l’irreligione occidentale. Mai profezia si rivelò più esatta sia nella sorte del comunismo italiano che di quello internazionale. Secondo Del Noce il comunismo si sarebbe suicidato nelle braccia del capitalismo, i comunisti sarebbero diventati agenti della nuova borghesia cinica e permissiva, braccio secolare della nuova rivoluzione contro la tradizione, la chiesa e la civiltà cristiana.

Nel suo ultimo scritto, che mi consegnò a casa sua una settimana prima di morire – la prefazione ad un mio saggio – Del Noce sostenne che della sinistra era rimasto irrealizzato e tradito tutto ciò che aveva di grande il socialismo, a cominciare dalla denuncia dell’alienazione; e si era invece realizzato il suo ruolo di traghettatrice dalla società cristiano-borghese alla società neo-borghese di massa, dominata dall’ateismo pratico e gaudente.

Del Noce traduceva questa mutazione politica con la previsione di un passaggio storico, dal partito comunista al partito radicale di massa. Del Noce scriveva queste cose già nei primi anni ‘70. Su piani diversi collimavano con molte sue diagnosi le riflessioni di due autori d’ispirazione e militanza comunista, Pierpaolo Pasolini e Franco Rodano. Al cattocomunismo Del Noce riconosceva, dai tempi di Felice Balbo fino al saggio su Rodano, un forte senso morale e religioso, un afflato ideale e popolare che non ritrovava nei cattodemocratici.

I cattolici progressisti, per Del Noce, sono più vicini ai progressisti non cattolici che ai cattolici non progressisti; l’ispirazione religiosa era per loro una variabile secondaria rispetto al progressismo. Con loro Cristo finiva tra parentesi, la modernità era invece il punto fermo e decisivo. Il cristianesimo era negoziabile, l’alleanza per il progresso no. Del Noce ravvisava le tracce di un nuovo bipolarismo, sulle ceneri del comunismo e del fascismo, tra radicali e radicati.  Negli scritti di Del Noce, accanto al Suicidio della rivoluzione, scorre come un fiume sotterraneo, un’altra opera implicita, il suicidio della conservazione.

Augusto Del Noce fu dunque il filosofo civile che tentò di saldare religione e nazione, tradizione cristiana e tradizione italiana, risorgimento e cattolicesimo nell’epoca della scristianizzazione e del declino del senso nazionale. Se non si coglie questa premessa nel suo pensiero politico, non si comprendono appieno molte sue conseguenti riflessioni, ma soprattutto non si comprende l’originalità della sua posizione rispetto al panorama culturale italiano dell’Italia repubblicana. Un panorama dominato da una cultura del congedo dall’identità italiana, dalla storia e dalla filosofia nazionale, nel tentativo di sostituirle con orizzonti ideologici o scientifici internazionali. E a questa “liberazione dall’Italia” hanno concorso tanto le culture di derivazione marxista e progressista, quanto le culture di derivazione laico-liberal. Ma anche la stessa presenza cattolica si è collocata in questa amnesia della tradizione nazionale e risorgimentale, nel progetto ecumenico di un umanesimo transnazionale. Viceversa, le culture minoritarie ancora nutrite del culto risorgimentale, hanno concepito il riferimento all’identità nazionale in chiave antireligiosa e anticlericale, o quanto meno laica e agnostica.  Differenziandosi anche dai tradizionalisti e dai nostalgici dell’Italia asburgica, borbonica e papalina, Del Noce non ha condannato il Risorgimento come un tradimento laico-massonico dell’anima profonda del nostro Paese, ma ne colse il valore positivo e la sua origine religiosa, giobertiana. Ri-sorgimento come risurrezione. L’ultimo Del Noce sottolineava che “il necessario recupero del Risorgimento” sarebbe stato “il compito degli anni ‘80”; il Risorgimento, “questa categoria diversa sia da rivoluzione sia da conservazione o reazione, esprime l’idea che le nazioni possono rivelarsi solo con l’approfondimento della loro tradizione”. Si trattava dunque di salvare la renovatio della nazione dal nazionalismo, che indica volontà di potenza e di sopraffazione. E di riscoprire l’Italia “dopo l’Europa”, ovvero non regredendo al passato, ma procedendo fino a rifiutare “l’imperversante luogo corrente, d’origine illuministica, sulla provincialità italiana”. “La storia contemporanea italiana – scrive Del Noce – ha un carattere paradigmatico per lo stretto parallelismo filosofico-politico che la caratterizza: può essere vista come il microcosmo in cui leggere in vitro la forma che il possibile tramonto mondiale della civiltà, come suicidio della rivoluzione, dovrebbe assumere”.

Chi oggi descrive Del Noce come un cattolico liberale non rende piena giustizia al suo pensiero e lo comprime nelle parole e nelle convenienze del presente. Non può dirsi propriamente liberale un filosofo che ha criticato radicalmente la Modernità, l’Illuminismo, l’Occidente, l’americanizzazione e la nuova borghesia laica ed ha amato la Tradizione, Platone, il Medioevo cristiano. Può dirsi liberale un filosofo che ritenne l’occidentalismo un nemico del cristianesimo di maggior potenza del comunismo (e infatti, aggiungeva, è riuscito a cangiarlo e corromperlo) e che critica l’atomismo sociale e l’individualismo? Del comunismo Del Noce non critica l’aspetto antimoderno ma il progetto gramsciano di portare l’illuminismo alle masse e dissente dal pensiero liberale che critica il marxismo non in quanto ateismo ma in quanto religione. Del Noce salva un liberalismo che “non metta ai voti l’esistenza di Dio”. Ma a Stuart Mill preferisce Donoso Cortes. E al Risorgimento liberale di Cattaneo o di Cavour preferisce il Risorgimento religioso di Gioberti e di Manzoni. La sua critica al perfettismo non lo accosta a Popper o a von Hayek ma a Rosmini e a Voegelin. Anzi, ne Il problema dell’ateismo Del Noce critica “il liberalismo perfettista” riferendosi non solo al socialismo liberale ma anche al liberismo che crede alla provvidenziale bontà della libertà economica. A suo dire va dissociato “il principio di libertà come valore della persona dal liberismo economico”. In Croce, Del Noce non ama il conservatore nostalgico dell’età liberale, critica il suo liberalismo storicistico che lo configura come un “pretotalitario”, perché prigioniero di Hegel. A Buttiglione che vede Del Noce come “il filosofo di De Gasperi”, ricordo un pensiero colto dal diario delnociano: “De Gasperi obbedì al papa Benedetto Croce piuttosto che a Papa Pio XII e il risultato fu quel che fu: la sua politica non potè che essere coinvolta nel fallimento della cultura crociana”. Da qui l’egemonia marxista e azionista e la critica di Del Noce alla Dc, a cui pure fu legato, responsabile di aver contribuito alla scristianizzazione della società italiana. Nel liberalismo moderno respinge poi la “perversione permissivista” e la sua riduzione libertina. Rispetto a Croce, Del Noce riconosceva una maggiore potenza teorica e un più vivo spirito religioso a Gentile, che pure combatte i medesimi avversari della tradizione cattolica: l’illuminismo, il positivismo, il materialismo, la cultura permissiva e antinazionale.

In definitiva si può dire che Augusto del Noce sia stato il filosofo politico e civile del pontificato di Giovanni Paolo II, mentre Ratzinger ne era il teologo e il dottrinario. La sua lettura del comunismo e della rivoluzione permissiva, ma anche la sua sensibilità verso la tradizione religiosa e le tradizioni patrie, lo accomunano al percorso dottrinario e pastorale dei due pontefici.

Sul piano della cultura civile, la lezione transpolitica che Del Noce lascia al nostro tempo si può riassumere in questi termini: Del Noce ha espresso una filosofia comunitaria, incentrata sul valore attivo e non retrospettivo della tradizione, tesa a fondare nel nostro presente una religione civile identificata nell’idea di Risorgimento. Una religione civile attinta dalla tradizione cattolica italiana, non sostitutiva della scelta religiosa o imposta attraverso un modello teocratico.

La religione civile di Del Noce discende dalla teologia civile di tradizione vichiana ed è consonante con l’idea di Carl Schmitt della politica come continuazione della teologia con altri mezzi e in ambito secolare: ma l’impronta teologica delle categorie della politica non si traduce in un’aspirazione teocratica. Non era estranea a questa idea delnociana anche la lettura di Gentile come riformatore religioso; la stessa visione risorgimentale di Del Noce rievocava l’idea gentiliana e giobertiana di un ri-sorgimento come categoria religiosa applicata alla storia civile, nel disegno ideale di una riforma morale e civile d’Italia. Del Noce è stato un implacabile critico dei “perfettismi” terreni, come diceva Rosmini un secolo prima degli “assoluti terrestri” di Popper.

La religione civile di Del Noce non intende né sostituire la religione con la politica né la politica con la religione, e neanche importare nel nostro paese una forma di deismo derivato dall’esperienza americana, con la sua religione civile discesa dai padri pellegrini e sancita pure nelle banconote del dollaro (In god we trust); ma elabora l’intuizione di una società che nella libertà di tutti e di ciascuno e nel rispetto delle persone, attinga al patrimonio di valori ed esperienze trasmessi dalla religione per fondare un orizzonte comune e condiviso ad una società in preda al relativismo e al nichilismo. Tra Dio e la storia c’è sempre di mezzo l’umana libertà e l’umanissima imperfezione.

Fui molto vicino negli ultimi anni a Del Noce, ebbi un sodalizio di pensieri e di incontri, di riviste e fondazioni, di cui c’è traccia anche nei suoi taccuini. Lo vidi una settimana prima che morisse a casa sua, perché mi consegnò l’introduzione autografa ad un mio libro, che sarebbe stato il suo ultimo scritto. Accolse l’idea di un libro dialogo sul profilo ideologico del novecento, che avremmo realizzato a conclusione del suo Gentile, poi rimasto incompiuto.

Anche quella sera del 22 dicembre fu affabile ma affaticato, reduce già da un infarto; mi apparve disfatto come un uccello senza piume. Ci scambiammo gli auguri per il Santo Natale e per il Nuovo Anno, ma per lui valsero solo i primi.

MV, Il Giornale 23 dicembre 2009

Condividi questo articolo

  • Facebook

  • Instagram

  • Twitter

  • Canale Youtube

    Canale Youtube
  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

    Leggi la biografia completa

Le foto presenti su questo sito sono state in larga parte prese da Internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione non avranno che da segnalarlo a segreteria.veneziani@gmail.com e si provvederà alla rimozione.

© 2023 - Marcello Veneziani Privacy Policy