Berlusconi nel portabagagli

Ho viaggiato per tutte le vacanze di Natale con un enorme ritratto di Silvio Berlusconi in pesante cornice dorata. Era un ritratto di tipo rinascimentale, e l’ho portato dappertutto con me, in case e in auto, persino la notte di fine anno per non lasciarlo solo, a vista, in mezzo ad una strada. Anzi, a Capodanno ho pranzato con Berlusconi a capotavola, col suo ritratto che ci guardava anoressico e quasi disgustato mentre noi mangiavano e bevevamo alla salute sua. Non è una forma di feticismo politico e nemmeno di maniacale collezionismo, ma un puro caso. Non ho commissionato io il ritratto di Berlusconi; sono solo il portatore sano, il corriere, insomma il latore del presente. Un pittore di Sannicandro di Bari, Vito Stramaglia, un giovane talento che fa per metà il pugile e per metà l’artista, ha dipinto questo ritratto di Berlusconi su impulso di un suo caro amico e concittadino, Vincenzo Beato, lettore appassionato. Lo hanno fatto ambedue senza secondi fini, per pura simpatia politica nei confronti del leader. E lo hanno fatto a tempo scaduto, quando Berlusconi non era più al potere. Non hanno velleità di andare in tv dalla de Filippi o che so, di giocare nel Milan. Ma è puro, folle, disinteressato amore. Avendomi conosciuto e perfino dedicato un ritratto, piuttosto malinconico, hanno pensato di affidarlo a me e ad una mia amica con l’impegno di recapitarlo al Presidente. Sono venuti apposta a Roma e hanno tirato fuori dal bagagliaio della loro auto l’opera come se tirassero fuori un corpo osceno da occultare in fretta dopo il delitto. Si sono raccomandati di farglielo avere per le feste. Io sono timido e misantropo e non ho faccia a telefonargli, non uso nemmeno fare gli auguri ad amici e conoscenti, ho un impedimento psicologico, anzi psichiatrico, al telefonino e preferisco che pensino a una mia biblica avarizia piuttosto che alla mia fobia telefonica. Il suo ritratto è nelle nostre mani, mia e della mia amica, ma non gliel’abbiamo ancora consegnato. Ma, giuro, non abbiamo intenzione di chiedere il riscatto per consegnarlo sano. Non gli abbiamo mandato l’orecchio mozzato dal ritratto, per impressionarlo e tirare sul prezzo.
La gente che ci ha notati col ritratto ci avrà preso per fanatici affiliati a qualche setta o per venditori di tappeti, perché giriamo con questo Enorme Totem. C’è chi si conserva il santino nel portafogli, e chi magari ha il poster in casa del suo leader preferito, ma un ritratto rinascimentale o napoleonico da asporto, incorniciato in oro, non ce l’ha nessuno. Abbiamo anche pensato a far pagare un ticket per chi vuole visitare l’auto con galleria d’arte. Gli altri hanno in macchina il navigatore satellitare noi il Cavaliere dell’emittenza. Opera unica, con seria possibilità di finire ad Arcore o a Villa Certosa.
Il ritratto è enigmatico, come un Bruegel; non è il Berlusconi che conosciamo, gioviale e ridente, anche se liftato; ma è un Berlusconi triste, indurito dalla vita, non dirò cattivo, ma disincantato, amareggiato. Che sembra chiedersi, astraendosi dalla cronaca e immergendosi nella storia: ma fu vera gloria? Ai poster l’ardua sentenza.
Il dipinto sembra ritrarre quasi l’anima di Berlusconi rispetto alla sua immagine pubblica e superficiale. Un ritratto interiore. E non solo. Ho avuto l’impressione che il pittore abbia pensato a Oscar Wilde e alla sua celebre opera, Il ritratto di Dorian Gray. Come ricorderete, Dorian Gray viveva nel culto della sua bellezza e della sua gioventù e in virtù di un suo magico voto, restava sempre giovane: al suo posto invecchiava il suo ritratto. Alla fine, Dorian Gray colpisce con un pugnale il suo ritratto e cade esanime e improvvisamente piombato nella vecchiaia, mentre il suo ritratto torna all’originaria bellezza del Dorian giovane. L’opera rovesciava il dogma dell’arte come menzogna e illusione in cui rifugiarci per non vedere la realtà nuda e cruda; qui l’arte era invece la verità di una vita, la testimonianza della nostra caducità, il rifugio del tempo che passa. E la vita era, al contrario, l’apparenza, nel mito estetico e narciso dell’eterna giovinezza. Nell’opera di Wilde si fondevano la passione del dandy e lo spirito di decadenza. Spero che il Cavaliere non pugnali l’opera, per dimostrare che nel suo caso è finto il ritratto ed è vero lui; lo faccia almeno per Vito e per Vincenzo, che ci hanno messo l’anima per l’opera. Vito, il pittore che usa le mani per colpire con l’arte e con i cazzotti, mi ha detto di aver pensato a Napoleone, quasi per assecondare la nota mitomania del personaggio ritratto. Anche se è un Napoleone a Sant’Elena, pervaso di una crepuscolare umanità.
So che i suoi nemici avrebbero preferito al paragone col Dorian Gray, il Ritratto ovale di Edgar Allan Poe, dove il pittore per render vivo il ritratto della sua adorata consorte la uccide involontariamente. Ma mi auguro che Messer Silvio se lo esponga a casa sua. E che salvi l’arte, liberandomi il portabagagli.
MV, Libero 2 gennaio 2007