Bobbio restò prigioniero del Novecento

Cosa resta oggi di Norberto Bobbio, a vent’anni esatti dalla sua morte? Cosa resta del suo pensiero, che a me pare inscindibilmente legato al Novecento e dunque inevitabilmente finito con il suo secolo.
Come Benedetto Croce immaginò di riprendere nel secondo dopoguerra la civiltà liberale europea precedente al fascismo e alle due guerre mondiali, così Norberto Bobbio pensò di poter ripristinare il pensiero di Piero Gobetti dopo la guerra e dopo il fascismo, considerando l’antifascismo un valore permanente che sopravvive alla fine del fascismo. 
Ma l’antifascismo, come obbiettò il suo amico e rivale teorico Augusto del Noce, esaurisce il suo compito, la sua “missione” con la fine del fascismo. Ogni anti si dissolve in assenza del suo antagonista; altrimenti diventa a sua volta fenomeno negativo, divisivo e dissolutivo. L’idea gobettiana del fascismo come autobiografia degli italiani e rivelazione di un male storico che deriva dall’Italia cattolica e premoderna, finiva con l’accettare capovolta, l’idea stessa di Giovanni Gentile, di cui fu fugace ammiratore, secondo cui il fascismo era l’esito dell’identità storica e culturale italiana dei secoli precedenti. 
Con i fascisti e con Gentile, Gobetti condivideva l’idea mazziniana dell’unità di pensiero e azione e la convinzione che si dovesse portare a compimento il Risorgimento. Fu l’idea che permeò il Partito d’Azione, e che indusse Del Noce a definire gli azionisti come i “trozkisti del fascismo”, in attesa di una rivoluzione chiamata liberale ma più compiutamente liberal-comunista che avrebbe realizzato un socialismo al contempo liberale e sovietico. 
In particolare, Bobbio, sulla scia di Gobetti, pensò alla storia d’Italia come a una specie di lunga, plurisecolare gravidanza del fascismo e ritenne che l’inizio del fascismo fosse stato nella Controriforma. Fu il concilio di Trento e quel che ne seguì a gettare le basi per una mentalità, un ossequio al potere, un modo di essere che avrebbe portato inevitabilmente al fascismo. A Bobbio sfuggiva quel che Gobetti non ebbe il tempo di vedere ma che lui invece aveva visto: se l’Italia della controriforma aveva “prodotto” il fascismo, la Germania della riforma luterana aveva “prodotto” il nazismo.  Dunque saltava la sequenza, la coerenza e anche l’interpretazione di Bobbio dell’”ideologia italiana” e della sua matrice cattolica, arcitaliana e controriformista.
Ma in quel modo, condannando nel fascismo la tradizione nazionale, popolare e cattolica italiana, Bobbio si separava dall’Italia e gettava le basi per quello spirito antitaliano e antipopolare che caratterizzò la sinistra italiana, prima nel nome dell’internazionale socialista e della sottomissione all’Unione sovietica, poi nel nome della globalizzazione, dell’America progressista e correct e della sottomissione all’Unione europea. Unione, beninteso, non tra i popoli e le nazioni europee, ma di un’oligarchia intellettuale e poi finanziaria che la guida, oggi più di ieri. 
Ma il suo pensiero, il suo prestigio e la sua influenza sull’Italia dopo l’egemonia culturale di Gentile e di Croce, restarono legati a quel paradigma. Così Bobbio restò prigioniero del Novecento e gettò le basi per eternizzare il fascismo in modo da giustificare l’eternizzazione dell’antifascismo.
La parte “positiva” e meno caduca del pensiero di Bobbio fu la ricerca di un socialismo liberale, europeo, che facesse tesoro del marxismo e del pensiero comunista, cercando una sintesi tra Gramsci e l’azionismo (fu Dino Cofrancesco a definirlo gramsciazionismo). Ma si trattò di un’utopia, o come disse Croce, di un ircocervo, una creatura immaginaria e impossibile. Nel corso degli anni con pessimismo e onestà di pensiero, Bobbio ammise il fallimento di quel progetto di sintesi tra socialismo e libertà, eguaglianza e democrazia. 
Mi sono occupato più volte di Bobbio, anche su queste pagine; scrissi un libro in risposta al suo Destra e sinistra, un best seller all’indomani della vittoria del centro-destra berlusconiano nel 1994. Da quel libro polemico nacque un carteggio con lui che pubblicai su Ideazione, la rivista di Domenico Mennitti. Naturalmente Bobbio scrisse ben altro, ma la sua fama e il suo ruolo pubblico sono legati a quel profilo.
Anche la sua interpretazione della destra e della sinistra restò prigioniera del Novecento: per Bobbio la destra si caratterizzava per il suo radicalismo aristocratico e dunque antiegualitario, mentre la sinistra era denotata dallo spirito egualitario. Dietro di loro Bobbio scorgeva il pensiero di Nietzsche a destra e il pensiero di Marx a sinistra con le loro propaggini del novecento: che per Nietzsche erano soprattutto i nazionalisti, gli interventisti antidemocratici, i Papini, i Prezzolini e l’irrazionalismo europeo; e per Marx era la tradizione socialista e operaia, Gramsci e Gobetti.
Ora, identificare il pensiero di Nietzsche nel radicalismo aristocratico significava restare fermi alla prima interpretazione di Nietzsche, quella di George Brandes di fine ottocento, e poi di d’Annunzio e del giovane Mussolini, che ancora socialista rivoluzionario s’innamorò della sua “filosofia della forza” e del volontarismo eroico. E significava ignorare tutto il Nietzsche che poi è venuto fuori; il Nietzsche dell’Oltreuomo, di Heidegger e di Foucault, di Deleuze, di Bataille e di Vattimo, di Colli e Montinari, l’influenza nietzscheana sulla nuova sinistra europea e sulle filosofie del ’68.
Bobbio ebbe il pregio della chiarezza, anche se a volte sconfinava nella banalità. A suo onore ricordo alcune posizioni coraggiose, come quella critica verso l’aborto o sulla maggiore efficacia della morale fondata sui principi religiosi; a suo disonore ricordo la sua giustificazione della bomba atomica sulle popolazioni civili giapponesi, allo scopo di affrettare la vittoria americana e la fine della guerra.
Nutro qualche rimpianto anche personale per un tempo in cui era possibile confrontarsi e dialogare con Bobbio o con Ralf Dahrendorf, con Italo Mancini e con Pietro Barcellona, e con altri esponenti del pensiero “di sinistra”; piuttosto che lo sprezzante silenzio e la finzione d’inesistenza da parte dei sussiegosi epigoni. Per poi consentire a straccivendoli d’avanspettacolo di concludere che la cultura di destra non è mai esistita. Dunque i Bobbio e i Dahrendorf dialogavano con fantasmi e disputavano contro i mulini a vento. Se abbiamo nostalgia di Bobbio capite a che punto siamo…

La Verità – 9 gennaio 2024

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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