Che vita da cani quando l’asino vola via (08/08/2015)

Che vita da cani quando l’asino vola via (08/08/2015)

Ragazzi, sono emozionato e commosso. Voi non potete immaginare chi ho incontrato. Naomi Campbell? Ma no scemi. Ho visto un asino. Un somaro, un ciuccio, un ciuco. Insomma quella specie di cavallo per la classe economica. Lo davano per finito. Era scomparso, forse si era umanizzato. Lessi qualche anno fa che gli asini in Italia erano passati da un milione a centomila. I tagli del personale in esubero, la liquidazione della manovalanza tecnologicamente arretrata, la crisi demografica… e poi la cattiva nomea del quadrupede che ricadeva anche sui proprietari. Gli asini si vanno estinguendo. A scuola ci dicevano quando andavamo male: voi siete come gli asinelli di Martina Franca. Adesso provate a cercare un asino a Martina Franca. Se ci sarà, vivrà sotto falso nome e mentite spoglie. Magari è un trans, si fa passare per Cavallo o per il loro comune cugino, il Mulo. No, il povero asino non è scomparso per eccesso di possibilità, come il mitico asino di Buridano, ma perché lo hanno tagliato fuori, lo hanno considerato out, fuori corso come la moneta da cinque lire.

Perciò trovarne uno è un piacere da collezionista, provi la commozione di vedere un vecchio parente che avevi dato per defunto. Non vedevo asini da una vita. L’ultimo con cui ebbi una storia stava per concludersi in tragedia o in rissa. Ero a Santorini, un’isola bianca nell’azzurro del mare Egeo. Splendida, antica e mitica. Per salire dal porto al paesino non c’era che un mezzo di locomozione, l’asino. Asini greci, per giunta. Più antichi degli altri, forse più astuti, più levantini. Così fui costretto a montare sull’asino. Faceva un caldo boia e la povera bestia non se la sentiva di salire ancora una volta lungo il tortuoso cammino. Allora decise di farmela pagare. Faceva le curve larghe. Quando c’era il precipizio le faceva radendo il burrone, con la chiara esortazione a suicidarmi o con il sottile gusto di spaventarmi. Quando il tornante volgeva nella pancia del monte, l’asino radeva il muro per farmi strusciare la gamba alla roccia e farmi raschiare dalle pietre. A nulla valevano i miei tentativi di raddrizzarlo, con le buone e con le cattive, con le briglie e con i ragionamenti, le mazzate e i sentimenti. Mi distrusse un pantalone grigio-asino e mi ammaccò una gamba. E alla fine, quando smontai da lui, emise un raglio di felicità liberatoria. Lui si vendicava così del suo ruolo di sottoposto, ingaggiava la sua lotta di classe bestiale e faceva pagare agli altri, odiati turisti la soma della sua esistenza in salita, della sua fatica al sole. La sua gioia era solo l’assenza momentanea di sofferenza. Non chiedeva piaceri, solo la stasi.

A parte questo incidente con l’asino greco, ho un debole per gli asini. Sono cavalli che non si sono montati la testa. Evocano dei, eros e natura. Mi ricordano Poppea che faceva il bagno nel latte d’asina e Gina Lollobrigida popputa sull’asinello in Pane amore e fantasia. Mi ricordano Zarathustra di Nietzsche e l’Asino d’oro di Apuleio. Ma mi ricordano anche i cafoni della terra mia, di cui gli asini erano fratelli muti ma consorti. Gli asini portano sul dorso i doni della terra. Mi ricordano le strade di polvere fuori dal tempo, gli alberi a cui si attaccavano per interminabile tempo, i silenzi della campagna divorata dal sole, appena scossi dal fluire del vento. Mi ricordano il sesso in campagna, dove ci imboscavamo “arrapati a ciuccio” come allora si diceva alludendo alle doti sessuali del medesimo. Mi ricordano gli dei, perché gli asini sono figure mitologiche, portatori sani di una sapienza magica e misteriosa che traspare dal loro sguardo ebete ma lungimirante. Ma ricordano anche il Dio padre perché l’umiltà dell’asino è una virtù cristiana, e il suo fiato nella mangiatoia fu il primo climatizzatore della storia, servì da termosifone a Gesù Bambino e alla sua famiglia. L’asino fu il primo strumento tecnologico dell’umanità; oltre che da impianto di riscaldamento l’asino funzionava da carrello per la spesa, da utilitaria per gli spostamenti anche delle donne e per la scuola guida, una specie di veicolo senza targa rispetto alla berlina del cavallo. È stato l’animale più utile e più maltrattato dall’uomo, più prezioso e più vilipeso. Ma incarnava soprattutto la pazienza cocciuta e la fedele sottomissione alla natura, alle sue leggi, ai suoi cicli. Quanta santa modestia in quelle orecchie lunghe e basse.

Adesso capisco perché l’asino è scomparso. Perché rappresentava la tradizione, la realtà dura, tenera e antica. L’hanno messo fuori legge perché lo hanno considerato un conservatore, un reazionario, un arretrato antimoderno. Uno che non si aggiorna, che è reso superfluo e obsoleto, che non ha la marmitta catalitica e fa i suoi bisogni strada facendo. Perciò quando ho visto l’asino l’ho abbracciato. Come Nietzsche abbracciò un cavallo a Torino prima di diventare pazzo. Ognuno abbraccia secondo il suo rango. Nietzsche era Nietzsche, un Grande Pazzo. Io, nel mio piccolo…perché l’asino viene da lontano. Ho il sospetto che gli asini siano spariti dalla circolazione perché sono andati ad abitare in cielo. Vi è mai capitato da bambini quando vi andava una bevanda di traverso che vi dicevano di vedere l’asino volare? Beh, volevamo stupirvi con effetti speciali ma in fondo era vero. Gli asini volano davvero, quando non li vede nessuno. Avevano conoscenze altolocate per via del presepe e se ne sono andati in cielo. Perché di loro – che hanno patito in silenzio e servito in umiltà – sarà il regno dei cieli.

Articolo apparso su Il Borghese n. 32/1998.

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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