Chi ha ucciso la cultura di destra in Italia?

Sulla soppressione della cultura di destra le piste al vaglio dei potenziali inquirenti sono quattro:

a) L’egemonia culturale della sinistra con la sua cappa ideologico-mafiosa le avrebbe negato gli spazi di libertà e visibilità fino ad asfissiarla, confinandola in una zona proibita e infame.

b) L’egemonia sottoculturale del berlusconismo in tv, nel costume e in politica l’avrebbe per metà corrotta e per metà sedata, banalizzata o neutralizzata.

c) L’insipienza della destra politica avrebbe demolito ogni ragione culturale e ideale della destra, fino all’epilogo indecente della sua liquefazione.

d) Infine, la cultura di destra è evaporata per la sua stessa inconsistenza; era solo una diceria, un fantasma del passato, un mito o una protesi.

In una certa misura, sono plausibili tutte le piste indicate ma a patto di chiarirle meglio e circoscriverne la portata.

Prima pista

Certo, la cultura dominante di sinistra, dopo un periodo di dialogo e di apertura, si è come inasprita negli anni del conflitto berlusconiano; e alla pregiudiziale antica nei confronti della destra si è aggiunta la damnatio del berlusconismo.

Fino a condannare la cultura di destra alla morte civile tramite finzione d’inesistenza. Sono lontani i tempi in cui un editore come Laterza pubblicava, facendo quindici ristampe, un saggio sulla cultura della destra di un autore vivente di destra. In seguito, avvelenato il clima, lo stesso editore declinò l’invito a integrare quel testo coi dialoghi dell’autore con Dahrendorf e con Bobbio. L’epoca dei dialoghi era ormai finita…

E potrei qui snocciolare il lunghissimo e ancora vigente, imperante, rosario delle intolleranze, delle esclusioni, del vero e proprio razzismo culturale adottato contro chi la pensa in modo divergente rispetto al Dominio Presente.

Ma è pur vero che la cultura di sinistra era egemone già ai tempi in cui fioriva la cultura di destra e poi al tempo in cui sorse la nuova destra, tra gli anni settanta e i novanta; dunque l’ipotesi è fondata ma non basta a spiegare da sola la sconfitta della cultura di destra.

Seconda pista

È vera pure la seconda osservazione: la sottocultura televisiva, il frivolo e il banale dominanti, hanno reso straniera la cultura di destra, l’hanno messa a disagio, fuori posto. Ma quella sottocultura imperversava già dai tempi della tv in bianco e nero, della Carrà, dei quiz, di Giovannona coscialunga e affini; e allora non c’era ancora il berlusconismo.

Poi il berlusconismo l’ha esportata anche nei territori abitati dalla destra e a molti parve un compromesso necessario pur di avere un’incidenza della cultura di destra su altri piani; una specie di scambio e di reciproca accettazione dei piani diversi. Pure questa ipotesi è dunque fondata ma non basta a spiegare da sola il disarmo politico della cultura di destra.

Terza pista

Anche l’insipienza della destra politica è storia vecchia, quasi coetanea alla destra dal dopoguerra in poi, Fini l’ha portata al suo gradino ultimo, ma sarebbe troppo ritenere che i suoi passi falsi abbiano cancellato la cultura di destra.

Quella cultura, peraltro, non viveva all’ombra di un partito, anzi era in permanente tensione e dissidio; per la stessa ragione non può essere stata uccisa dalla politica; semmai dall’assenza di luoghi politici e mediatici, istituzionali e culturali, in cui elaborare ed esprimersi.

Quarta pista

Infine all’evaporazione della cultura di destra per intrinseca inconsistenza si può credere fino a un certo punto: vero è che la cultura di destra ha grandi radici e rari frutti ma la sua scarsa incidenza politica è dovuta in gran parte alla sua indole impolitica e la sua allergia a coprire ruoli di intellettuali organici o di intellettuali collettivi.

Piuttosto è vera la rarefazione delle intelligenze, anche per il clima di cui sopra, tra nemici di fuori, ignoranti di dentro e il nulla che tutto pervade. Nel generale degrado della cultura, anche quella di destra sparisce.

Della cultura di sinistra sopravvive la cupola del potere culturale, il suo ceto dominante e la sua intolleranza in forma di razzismo etico, ma non l’elaborazione di idee vive, di pensieri e opere originali.

Chi ha ucciso la cultura (di destra)

Insomma i fattori qui esaminati possono essere considerati concause della sconfitta della cultura di destra ma la causa regina non riguarda solo la cultura di destra, non è la prevalenza di una cultura antagonista e nemmeno la modestia del suo ceto politico ma è la massiccia, radicale deculturazione in atto, ossia l’avvento di un potere e di una mentalità – non di un “pensiero unico” perché c’è poco pensiero – che espianta le idee, le radici e le culture e afferma il suo dominio cinico e nichilista sull’individualismo globale e mutante.

Un orizzonte del genere mortifica ogni cultura politica; ma ancor più la cultura di destra, fondata su basi naturali, ereditarie e spirituali, totalmente divergenti e radicalmente avverse a quel mondo.

MV, Tramonti (Giubilei Regnani, 2017)

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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