Dal Risorgimento al Rovesciamento

Compatrioti italiani, stiamo vivendo a rovescio il Risorgimento. Anzi, siamo in pieno Rovesciamento, anche nel senso di rigurgito.

A nord si rianima il Lombardo-Veneto e il prossimo 22 ottobre ci sarà un plebiscito per separarsi dall’Italia, promosso dalle truppe austrungariche di Maroni e Zaia che mirano tramite guerriglia d’indipendenza alla restaurazione di un sub-impero asburgico.

A sud si risvegliano i Borboni, tramite i briganti grillini e non solo, e chiedono di istituire la Giornata della Memoria per ricordare gli eccidi, le violenze subite dai piemontesi per annettere il Meridione a quella cosa che fu chiamata Italia.

E al centro, a Roma, le truppe papaline dello Stato pontificio guidate dall’Eroe dei due mondi, nella fattispecie l’italo-argentino Bergoglio, col supporto di due obbiettori di coscienza nazionale, il generale Boldrini e il luogotenente Mattarella, hanno aperto le porte dell’Italia all’Invasore e chiedono di abbattere le frontiere.

Chiamano accoglienza questo cedimento di sovranità e di territorio. L’Italia per loro è solo una zattera-omnibus nel Mediterraneo, un centro d’accoglienza illimitata, un corridoio umanitario. La battaglia per disfare l’Italia, come ai tempi dei Mille, parte dalla Sicilia, che ora va a votare tra sussulti di autonomia, nonostante i colossali sprechi e le nostalgie di sultanato siculo.

Mi stropiccio gli occhi e cerco di capire se sono ancora dentro un brutto sogno oppure no. Il sogno è solo l’ambientazione favolosa al tempo del Risorgimento. Ma la realtà racconta che le cose stanno effettivamente così. Siamo al rovescio del Risorgimento, siamo al Risarcimento. Allora le esamino al dettaglio.

Dunque a nord vogliono separarsi dal resto d’Italia.

Sono ancora convinti, come ai tempi del Maresciallo Radetsky e del Malandrino Bossi, che il Lombardo-Veneto si debba liberare dell’Italia. Un conato di secessionismo padano, criptato nelle vesti di un referendum caldeggiato dai governatori leghisti.

In questo momento, il referendum serve a due scopi: uno palese, rianimare la Padania, tener vivo il Mito del Nord e rigettare Roma e l’Italia. L’altro, nascosto, lanciare un siluro a Salvini, il sovranista nazionale, colui che sta cercando di sfondare con una Lega in formato italiano anche al Centro-sud. Per presentarsi come leader nazionale, non regionale.

Un colpo gobbo alla sua credibilità nazionale ma anche un argomento micidiale offerto agli avversari del centro-destra.

Vedete? I sovranisti fingono di tenerci all’integrità sovrana del territorio nazionale e poi vogliono la secessione, sia pure nelle forme soft o solo consultive previste dalla Legge.

Il povero Salvini deve vedersela coi debiti che ha lasciato Bossi, coi giudici che gli intimano di restituire pacchi di milioni all’erario pubblico per gli usi impropri fatti dal vecchio leader, dissanguando i bilanci disastrati della Lega; e pure con la fronda dei due governatori che mal sopportano la monarchia del capataz Matteo.

Un referendum sciagurato, che andrebbe svuotato di significato se non si vuole fare un regalo a sinistre, grillini e stranieri non proprio asburgici.

A sud invece il discorso è più obliquo. Davanti alla desolazione del presente c’è chi rimpiange il sud di una volta e lo veste coi panni borbonici e briganteschi.

In verità sul processo unitario le pagine infami contro il sud sono state taciute o sottovalutate per troppo tempo. Ci furono massacri e odiose repressioni, il sud cattolico e contadino subì il Risorgimento o ne fu quantomeno estraneo, i piemontesi furono spietati.

Ma col tempo il sud conquistò l’Italia. Quel sud costretto allo Stato unitario – pur tra sacrifici, emigrazioni, piaghe sociali – conquistò i gangli vitali delle istituzioni. Dal sud vennero non solo fior di ministri e presidenti del consiglio, ma anche prefetti, ufficiali e militari, e poi carabinieri, poliziotti, insegnanti, medici e dirigenti pubblici.

Il sud conquistò lo Stato italiano e contribuì a modernizzare l’Italia ed alfabetizzarla, culminando in quel periodo tra le due guerre mondiali di cui è vietato ricordare il nome…

Insomma, è bene ricordare anche le pagine infami del Risorgimento, è bene ricordare le vittime, è bene ricordare che il Regno di Napoli o delle due Sicilie ebbe periodi di splendore, che il sud distava allora dall’Europa meno di quanto disti oggi.

Ma l’Italia unita era una necessità, un’invocazione millenaria, un ricongiungimento con la romanità, un valore etico, civile e geoculturale per un popolo.

La Grande Guerra sancì nelle trincee e nel sangue l’unione tra meridionali e settentrionali, tra borghesi e proletari, tra élite e popolo. Basta con queste giornate della memoria che rischiano di creare l’effetto opposto, l’intasamento delle arterie storiche e dunque l’arteriosclerosi nazionale, o peggio l’Alzheimer della Memoria storica.

Ricordare è un dovere e un auspicio, istituire una giornata vuol dire solo alimentare un sudismo separatista e rancoroso, ancor più folle del separatismo lombardo-veneto, perché a sud servirebbe a spartire solo miseria. Mi auguro che già in Sicilia s’imponga un candidato di respiro nazionale come Musumeci, profondamente siciliano e italiano, senza grilli autonomisti per la testa.

Quanto alle forze pontificie che aprono brecce di Porta Pia in tutta Italia, ma stavolta per far entrare i clandestini e non i bersaglieri, quanto alle cariche istituzionali che cospirano con le organizzazioni non governative, il proposito è chiaro.

Stanno stabilendo il dogma aberrante che è xenofobia, fascismo, sciovinismo, chiedere che in uno Stato sovrano, anche in nome della Costituzione, vengano prima i suoi cittadini, i loro bisogni, la loro sicurezza e i loro diritti correlati ai doveri.

E che un popolo spremuto dalla tasse come nessuno al mondo, abbia almeno il diritto di avere servizi e strutture al suo servizio e non aperte al mondo intero.

Un conto è prevedere una quota ospitale d’accoglienza o fronteggiare un’emergenza davvero eccezionale, un altro è stabilire il principio che tu italiano ti carichi d’ogni onere statale ma i servizi, la sanità, la casa, gli assegni e i sostegni, vanno poi distribuiti a pioggia tra tutti i presenti sul suolo, anche quelli irregolari o abusivi, richiedenti asilo e non.

Vedere l’Altare della Patria assediato da bivacchi di clandestini, significa vedere coi nostri occhi che siamo al contro-risorgimento.

Se perde i suoi confini l’Italia finisce; coi suoi contorni perde i suoi lineamenti, diventa un’ombra, una gelatina e un fantasma. Ma è possibile che dell’Italia si debba parlare solo in negativo, per i rischi, le rotture e le minacce? Possibile che non parta nessuna iniziativa d’italianità, nessuno promuova la rifondazione nazionale?

Interrogato, il morto non rispose.

MV, Il Borghese ottobre 2017

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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