Dove sono finiti i liberali?
Ma che ne è della società liberale dopo un biennio di pandemia e restrizioni? Era il totem occidentale, guai a discuterlo, era il dogma globale che aveva sbaragliato tutte le altre ideologie e si presentava essa stessa come la fine delle ideologie, il superamento definitivo delle culture illiberali. Il liberalismo era la superideologia della modernità, tutto il resto era modernariato, se non antiquariato.
La civiltà liberale era al tempo stesso la madre e la figlia del Libero Mercato, la protettrice e la protetta del sistema capitalistico. Da noi si appellavano quasi tutti alla rivoluzione liberale, da Berlusconi a D’Alema, passando per i laici, la sinistra e il centro; per definire la destra buona, accettabile e moderna, con permesso di circolazione, la si definiva liberale; anche i cattolici, per renderli accettabili e moderni, venivano definiti liberali, come dire: hanno una brutta malattia ma si stanno curando. Erano ammesse alcune varianti dentro il quadro liberale che definivano ambiti diversi di applicazione della stessa indole, al punto da superare le definizioni stesse di conservatore e progressista, destra e sinistra, con le più aggiornate app libertarie o liberal, liberiste o libertine.
Ma dopo questa conversione generale al liberalismo e questa accettazione unanime del liberalismo come orizzonte globale indiscutibile e come precondizione politica, civile, morale ed economica, accade un evento a sorpresa che sconvolge tutto e rimette in discussione ogni cosa acquisita. Un virus si espande dalla Cina e non è solo un virus contagioso sul piano degli organismi; ma il virus cinese colpisce anche gli organismi democratici, le istituzioni liberali, i sistemi immunitari dei regimi di libertà. Il virus cinese inocula nel nome della sicurezza collettiva e della salute pubblica, il controllo globale, tecnocratico e socio-sanitario, delle popolazioni fin dentro le loro case; la restrizione senza precedenti delle libertà e delle norme costituzionali, la perdita delle garanzie basilari, primarie, elementari che costituivano le conquiste indiscutibili della democrazia liberale e dello Stato di diritto; la vita pubblica ridotta a un hub, un ospedale da campo e una corsia. Di colpo prendeva corpo un rigido collettivismo di Stato, con protocolli e profilassi di stato, sorveglianza e repressione, fino alla gogna mediatica e le libertà conculcate per i resistenti, gli insubordinati o semplicemente gli scettici.
Un regime terapeutico di massa, rigidamente verticista e statalista, sostituisce il regime liberale. E avviene anche un evento ritenuto fino al giorno prima incompatibile: per una vita avevamo sentito ripetere che il nesso tra società liberale e mercato, tra liberalismo e capitalismo era inscindibile, non c’è mercato dove non c’è libertà, e non c’è libertà dove non c’è iniziativa privata, col relativo profitto e capitale. E invece, a un certo punto, le due cose possono divaricarsi: la libertà si restringe paurosamente per i singoli, per i popoli, per i cittadini, ma senza mettere a repentaglio il macro-capitalismo, il mercato globale, quello dell’industria farmaceutica, per esempio, a cui nessuno ha osato togliere brevetti e limitare i profitti privati; quello dei giganti del web, che hanno potuto gestire indisturbati larghe praterie di utenze social, mutazioni digitali e vite online; quello dei grandi imperi finanziari e delle loro cattedrali o quello dei giganti asiatici del commercio. La vita dei cittadini può essere violata, con i loro diritti; la libertà dei colossi transnazionali, del capitalismo globale, no. La libertà si separa dal mercato, che intanto rafforza sempre più la spinta verso gli assetti monopolistici.
Tutto questo, per trovare un precedente geo-storico, è l’estensione a Occidente del modello cinese. Non solo il virus è stato esportato nel mondo, ma anche la sua terapia, e le forme pubbliche di risposta e controllo della malattia. Con la beffa aggiuntiva che il baratto proposto, la libertà per l’immunità, la libertà per la sicurezza e l’incolumità, non viene poi rispettato. Giacché le libertà si contraggono, si ritraggono ogni giorno di più ma la salute non viene garantita, il virus non viene debellato, i contagi corrono, le varianti impazzano, e si annunciano tempi lunghissimi, piani decennali per fronteggiare la pandemia e coabitarci negli anni… La scienza vacilla, la medicina non protegge, e allora si chiedono ancora altre restrizioni.
Facile pensare che tutto questo renderà ordinario, permanente o perlomeno duraturo quel che fino a ieri è stato presentato come emergenza, stato d’eccezione, momentanea sospensione di alcune libertà e alcuni diritti. Pareva solo un delirio apocalittico quello di chi anni fa prefigurava l’avvento di un regime totalitario su basi liberali, soft, individualistiche, anzi atomistiche di massa. E invece ci siamo, o siamo comunque molto vicini, magari incruento, magari con smagliature e incoerenze che consentono ancora spazi, oasi di libertà; ma ci siamo.
La civiltà liberale esplode, l’aggettivo si mangia il sostantivo, liberale corrode prima la civiltà e poi si suicida in un regime di protezionismo e vigilanza globale. Restano le libertà private, biologiche, in opposizione alla natura, alla tradizione, alla civiltà: libertà nella sfera sessuale e transessuale, libertà antropologiche, morali nei comportamenti privati. Ma smuore la libertà nella sfera pubblica: libero sesso, libera droga, libera morte ma non libertà civili o politiche, impossibilità pratica di avere governi difformi dalla governance globale, divieto di alternanza e di alternativa. Non disturbare il conducente.
La società liberale si è rimangiata la libertà; col paradosso aggiuntivo che toccherà a chi liberale non si è mai definito, difendere la libertà, ma sul serio.
MV, 9 gennaio 2022