Quando la luna venne a trovarci

Voi non sapete cosa vi siete persi se non avete vissuto quella notte del 20 luglio del ’69. L’universo venne direttamente a casa nostra, la magia si fece visione notturna, un incantesimo di massa.

Era una notte calda e memorabile e tre uomini, vestiti d’astronauti con la testa nel pallone di vetro, passeggiarono per noi sulla luna, piantarono bandiere, ci mandarono messaggi extraterrestri. Eravamo tutti con gli occhi sgranati e incollati al video per il collegamento diretto col futuro.

La notte dei miracoli, lo spazio che si fa struscio, la luna finalmente conosciuta nelle sue parti intime che entra nel soggiorno, in cucina, in casa tua e si mostra per quel che è, finalmente nuda e rocciosa, con i suo foruncoli grandi come crateri.

Ricordo cosa fu quella notte di luglio, l’incanto di una notte da adolescente vissuta eccezionalmente da sveglio per sognare ad occhi aperti, seppure in bianco e nero. Quella miracolosa discesa sulla luna, quella storia in diretta planetaria, quel sentirsi umanità e non singole persone, quell’appuntamento cosmico con Dio e la sua assenza.

Ricordo gli occhi sgranati di Tito Stagno, il conduttore dallo studio, dietro quelle strane lenti d’ingrandimento che portava agli occhi, da maniaco astrale. E poi i commenti su scienza, fede e umanità affidati allo scienziato Enrico Medi, affabulatore mistico e scientifico che trasformava i pianeti in parrocchie e gli astri in santini ma suscitava negli ascoltatori amore per la scienza e per il creato, come una versione devota di Piero Angela.

Poi le discussioni dei pedanti se parlare di atterraggio o di allunaggio. E i dubbi dei bambini: se la luna, che è lunatica, non è nel quarto giusto e non è piena, ma è ridotta a una fettina, come faranno a sbarcare? Ricordo l’euforia di quello sbarco, unita allo sgomento, lo svanire improvviso dei sogni terreni, delle ideologie.

D’un colpo svaniva la luna degli innamorati, di Leopardi e dei licantropi, la luna sacra, l’orologio astrale dei pellerossa, la pallida luna d’argento delle canzoni languide, era stata violata, calpestata, profanata dagli scarponi americani.

Aveva vinto Marinetti contro il chiaro di luna. Futurismo batte Passatismo Uno a Zero.

Tutto diventava improvvisamente piccolo sulla terra. Pure la Contestazione del ’68 diventò preistoria davanti all’astronave. Si prevedevano grandi imprese spaziali, traslochi in massa su altri pianeti, si avverava finalmente la canzone “nel duemila noi non mangeremo più gli spaghetti col ragù, solo pillole”…

Quella notte pensammo che la storia avesse lasciato la terra, traslocando definitivamente nello spazio. Una rivoluzione annunciata che poi non avvenne.

Cosa restò di quel miracolo della tecnica? Restò un’impresa epica e vana, un’avventura sterile e magnifica nell’ignoto, un tentativo d’inoltrarsi con i mezzi della tecnologia nei pressi della magia, alle fonti della fiaba.

L’incanto di una notte di mezza estate davanti al video, la partecipazione cosmica a un evento reale di una storia virtuale. E invece, gli sbarchi sulla luna praticamente finirono là, salvo trascurabili appendici.

La luna tornò in preda ai romantici, ai lupi mannari, agli innamorati e ai leopardiani. E si mangiano ancora spaghetti con le antichissime cozze e la pasta col ragù. Tornò la luna caprese di Peppino Di Capri e la luna bussò della Bertè.

In questi quarantott’anni non abbiamo conquistato la luna, né colonizzato Marte; in compenso abbiamo inguaiato la terra, l’aria, l’acqua, annegando tra le onde magnetiche. È finita l’epoca eroica della modernità. C’era una volta il futuro, adesso non c’è più, c’è solo il presente.

Lasciammo la via Lattea per il Raccordo Anulare. La luna ci guarda sorniona, restituita al suo legittimo proprietario, il sogno, persa nelle braccia fatali del buio. Riprese a dettare armonie nella notte, lasciando sul mare le sue bave argentate, vaga lumaca del cosmo. La luna si rifece una verginità.

Già l’anno seguente tornammo coi piedi per terra. Infatti l’incanto notturno e televisivo dell’estate ’70 fu la mitica partita Italia-Germania 4 a 3 in diretta dal Messico. Lasciammo la staffetta spazio-luna per accontentarci di quella tra Mazzola e Rivera. Luna busciarda.

MV, Il Tempo 20 luglio 2017

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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