La vita non è Sanremo: svegliamoci, pupe e puponi connazionali
La vita non è Sanremo: svegliamoci, pupe e puponi connazionali
Ecco l’Italia che non ci piace. L’Italia becera e puttana, l’Italia imbecille e furbetta, l’Italia tossica e moralista. Ho visto per cinque minuti cinque l’Evento Principe, l’Autobiografia della Nazione, il Compendio d’Italia. Dico il festival di Sanremo. Cinque minuti non bastano per recensire una serata, anzi cinque; questa non è dunque una critica al festival. Non è nemmeno una polemica con chi lo conduce, con chi lo fa e chi lo dirige. No, questa è una polemica metafisica, trascendentale, una denuncia contro Ignoti. Perché Sanremo non lo fa nessuno, si forma da solo, come i buchi neri, l’eclissi e gli uragani. È un caso unico di polluzione spontanea del Mezzo Televisivo, un coagulo di sperma, saliva, urina, lacrime, sudore e feci, tante feci. Sanremo è un evento virale in cui si formano larve e batteri. O per essere in sintonia con la location floreale, Sanremo non lo produce nessuno, si riproduce per impollinazione, tramite vento e ignari insetti.
Ho visto in cinque minuti il concentrato dell’Italia minchiona, le sue falsità e le sue volgarità, i meriti e le colpe capovolti, l’imbecillità al potere e la malafede al comando. C’è chi pensa di affiancare all’Auditel un Qualitel per misurare l’indice di qualità dei programmi: pensate piuttosto di introdurre il Vomitel, per misurare il livello di schifo dei programmi.
Sanremo è diventato un luogo topico dell’autobiografia della nazione, non riusciamo a scandire il ritmo della vita italiana senza quei due tre appuntamenti che sono il campionato di calcio, miss Italia, il festival di Sanremo. Possono marcire tradizioni antiche e più consolidate, possiamo perfino scoprire che l’Italia cattolica non va più a messa e se ne frega dei comandamenti, manda all’aria perfino la famiglia, sua architrave allo sbando. Ma le piccole abitudini, i piccoli appuntamenti leggeri, quelli restano.
Non sarò io a compiere il reato di vilipendio di Sanremo o il peccato di blasfemia di bestemmiare il festival e i suoi demiurghi. Dio me ne scampi, non si possono far crollare le ultime certezze del paese. Quel che vorrei obbiettare riguarda semplicemente il rango, il grado d’importanza. Sanremo esiste e guai a chi lo tocca; ma pretendere cinque giorni di raccoglimento nazionale intorno a un festival, non vi pare un po’ troppo? È l’esagerazione che spaventa, il primato del Leggero e del Finto sull’Autentico e sull’Importante. Un po’ come miss Italia di fine estate: capisco la serata per la sfilata delle giovenche in fiera, ma non capisco settimane intere di selezioni e di imbecillità concorsuale; non capisco il monopolio dell’attenzione, la fioritura di polemiche, retroscena e controserate.
Questo paese non può continuare a essere la copia fessa della tv, la sua appendice e la sua scimmia. Allora ti stropicci gli occhi e dici: ma in che razza di paese vivo, in un luna park di eterni bambini o di maturi imbecilli? Non c’è nulla di male che ci piacciano le canzoni, i comici, il calcio e le belle gnocche. Ma c’è qualcosa di patologico se la nostra identità collettiva, il nostro sentirsi italiani, è praticamente affidato solo a quello, alle canzoni, ai comici, al calcio e alle veline; ovvero a tutto quello che somministra il Video. Svegliamoci, pupe e puponi connazionali, la vita è altrove.
Marcello Veneziani 11 febbraio 2016