L’amicizia si nutre di solitudine
Dialogo a Lipari tra Massimo Cacciari e Marcello Veneziani sull’amicizia e la solitudine nell’ambito del festival EOLIè 24i organizzato da Francesco Malfitano. Tema adatto all’isolitudine di Lipari, nell’arcipelago delle Eolie. Qui in sintesi le riflessioni di Veneziani.
Che fine fanno la solitudine e l’amicizia nell’epoca delle folle solitarie, per citare David Riesman? La solitudine di massa è il destino paradossale della nostra epoca globale e iperconnessa; l’amicizia è una vaga richiesta che si perde nella rete del virtuale.
Ci sono tre solitudini, di pensiero, di vita e politica; a cui corrispondono tre gradi di amicizia negli stessi ambiti. Solitudine, maledizione di un’epoca, beatitudine di una scelta.
La solitudine del pensiero allo stato sorgivo è una grazia; diventa una disgrazia, o quantomeno uno sconforto, quando il pensiero si fa voce e chiama nel deserto. La differenza, per David Hume, è tra solitudine volontaria e involontaria; o tra solitudine e isolamento, come suggeriva Hannah Arendt. La solitudine può essere una scelta e una conquista; l’isolamento è una perdita, una privazione del mondo, a partire da chi ti è più vicino.
La stessa distinzione può farsi nella vita tra appartarsi ed essere messi da parte. Essere single per scelta non significa amare la solitudine; significa piuttosto non volere legami stabili. Così la misantropia è un’indole, non una scelta.
L’iperconnessione tecnologica e l’ipoconnessione umana è un tratto saliente della condizione presente; la tecnologia fa compagnia a chi è solo e isola chi è in compagnia; in ogni caso non accresce né favorisce l’amicizia più di quanto non faccia il suo contrario. Più facilmente sostituisce entrambi con una fittizia supplenza di solitudine e di amicizia.
La solitudine politica si chiama disaffezione, lontananza, sfiducia, percezione della sua vanità; ma soprattutto la politica non fa più comunità, non stabilisce legami. La politica, lo dice la parola stessa, è il contrario della solitudine; si, ci possono essere solitudini di gruppo o di partiti ma la solitudine non si addice alla polis, dove ci si aggrega e si decide anche per gli altri. Viviamo l’epoca del dispatrio e non è possibile una comunità sconfinata, una comunità-mondo, o un’amicizia globale: nel legame comunitario come nell’amicizia e nell’amore, vige la prossimità, l’affinità e la predilezione. Non c’è politica, comunità e amicizia senza perimetri, confini, gradi.
Il contrario apparente di solitudine è moltitudine, ma oggi c’è solitudine di massa; Il contrario della solitudine è la compagnia, l’affinità, la comunità. L’amicizia non è omozigote; come l’armonia pitagorica prevede anche dissonanze. Concordia discors. Le più forti amicizie di pensiero scaturiscono dalla scintilla generata dal contrasto: amicus Plato, magis amica veritas, sono tuo amico ma sono più amico della verità, l’amicizia di pensiero si fonda proprio sulla verità, che unisce nella tensione della ricerca e divide nella via da seguire.
Gli argini all’isolamento, in ogni civiltà, furono la religio, la patria e il legame naturale, famigliare. L’amicizia è un grado ulteriore, elettivo e selettivo.
Le occasioni d’amicizia nella vita possono sorgere dalla comunanza di luogo, di lavoro o dal trovarsi sulla stessa barca; ma l’amicizia nasce quando il caso si fa scelta e poi si scopre destino, quando cioè l’occasione da fortuita coincidenza si fa sorte. Allora si fa necessaria, ma senza significare dipendenza.
L’amicizia non sorge dalla socievole insocievolezza di Kant, utile allo sviluppo sociale ma non a fondare i rapporti umani: del resto la filosofia kantiana sorge nella siderale solitudine dell’io – la legge morale dentro di me- che contempla il cielo stellato, senza i gradi intermedi tra l’io e il cielo, quelli in cui sorge l’amicizia col mondo, con la natura, con gli altri; apparizioni passeggere, non fondamentali, regolate dal contratto sociale e dal rispetto giuridico formale.
Si teorizza l’amicizia quando viene a mancare; lo stesso succede per la comunità. Viviamo in metropoli abitate da milioni di eremiti, diceva Montale già più di mezzo secolo fa; ma anche i piccoli paesi sono abitacoli di solitudine, svuotati, orfani di figli, da cui sono andati via tutti, a partire da coloro che sono rimasti. Vae Soli, guai ai soli, ripeteva Gentile nella solitudine dei suoi ultimi tempi, in cui pure scriveva che “in fondo all’Io c’è un Noi”. Era il tempo in cui Pound si vide come una formica solitaria in un formicaio distrutto.
Arduo pensare all’amicizia e alla comunità nell’epoca dello sradicamento globale, dove il bisogno di riconoscere un’identità personale e comunitaria viene sostituito dall’istanza di sicurezza, cioè di incolumità e protezione; non è amicizia, è guardiania. Si è persona in relazione agli altri; individuo, invece, vuol dire atomo.
L’universo nomade e spaesato in cui viviamo riguarda però l’Occidente (non tutto) più i flussi migratori. La stragrande maggioranza dell’umanità è stanziale: i migranti sono milioni, i restanti sono miliardi.
La solitudine è una sovranità senza regno, l’amicizia è un legame senza sovranità. La solitudine può essere affabile e gentile – come quella di Nietzsche – l’isolamento invece è di solito rancoroso, ostile, come nelle moltitudini iperconnesse e solitarie. Ci sono solitudini inevitabili e altre facoltative; e si può essere soli ma in compagnia degli dei, degli assenti, degli invisibili. La parabola della solitudine e dell’amicizia è analoga: un bisogno che si fa scelta e infine destino. L’amicizia è arcipelago di solitudini.
Un esempio vero di amicizia del pensiero nel rispetto della solitudine e del contrasto, fu l’amicizia fiorita tra Simone Weil e Gustave Thibon, il filosofo contadino che la ospitò nella sua campagna di Saint Marcel Ardèche in tempo di guerra. Lei era inizialmente diffidente verso un cattolico, conservatore, monarchico, vicino al regime di Vichy; lui confessò un’istintiva repulsione per la ragazza, anarchica, rivoluzionaria, operaista, che sembrava vivere tra le nuvole. Vissero a fianco per mesi, insieme lavorarono la terra, divisero il pane, lavarono i piatti e parlarono, parlarono di Platone sulla panchina di pietra, pur rispettando le solitudini. Si lessero e si criticarono, Thibon le fece notare che in lei mancava l’unità tra cielo e terra; e lei notò che il pensiero di lui non era abbastanza puro e nudo, disadorno. Avevano ragione entrambi: a Simone mancava la terra, la realtà, il senso dell’imperfezione; a Gustave mancava l’asciutta nudità dell’essenziale, la purezza dell’attenzione. Si scontrarono e alla fine si ritrovarono nella “tensione di fedeltà all’eterno che rende la nostra amicizia profondamente fraterna”, scrisse Thibon. Per Simone, che affidò a lui i suoi 11 quaderni, l’amicizia è una gioia gratuita, una grazia, un miracolo, una sorgente di vita. Ma la vera amicizia, avverte, non guarisce dalla solitudine, non la sfugge, duplica le sue gioie. Così l’eterea Simone e il terrestre Gustave si scoprirono compagni di solitudine, come un passero posato su un albero.
La Verità – 7 luglio 2024