Le baruffe chiozzotte dell’antifascismo
Da un mese in Veneto c’è molta agitazione. Non per l’acqua alta o per altre emergenze ambientali e sociali, ma per un’emergenza ideologica. C’è un batterio tremendo che colpisce i teatri ed è peggio della xylella; si chiama in gergo “cultura di destra”. Il collettivo Attori e Intellettuali Antifascisti che chiameremo in sigla AIA, si sta rivoltando, raccoglie firme, emette editti, esorcismi e fatture, scrive ai giornali, per esprimere la sua rabbia contro il Teatro Stabile del Veneto perché avrebbe occupato il teatro coi carri armati della destra intellettuale. L’ultimo denunciante in ordine di apparizione, di cui si sono occupati i giornali, è un tale Natalino Balasso, comico, che se la prende con le scelte del teatro stabile del Veneto.
La scintilla è scoccata il due novembre scorso, quando il Teatro Verdi di Padova ha aperto la sua stagione con me portando in scena 1919. I rivoluzionari, dedicato a quell’anno in cui nacque il fascismo, il partito popolare, l’italo-comunismo e ci fu l’impresa fiumana di d’Annunzio. Ne abbiamo già scritto in questa pagina. Attori che interpretavano e recitavano testi da me scelti di Marinetti, don Sturzo, Mussolini, Gramsci e d’Annunzio, musiche d’epoca ed io che raccontavo quegli eventi. Gran successo, “dieci minuti d’applausi” fa notare il presidente del Teatro Stabile Veneto, Giampiero Beltotto.
Ma il Collettivo Attori e Intellettuali Antifascisti, tramite il gruppo di attori che fa capo alla compagnia Anagoor, guidata da tale Simone Derai, avviò una raccolta di firme per contestare il teatro di aver chiamato “un controverso personaggio come Veneziani” (l’anno scorso la stagione era stata aperta da Massimo Cacciari). Ne ha parlato anche la Verità con un articolo a firma di Adriano Scianca. Il Collettivo premetteva che non ha visto lo spettacolo, non giudicava i contenuti, dunque l’attacco era alla persona e all’idea che rappresenta, un attacco ideologico a priori e a prescindere da quel che ha detto e fatto realmente e di come l’abbia giudicato il pubblico. Per loro è inconcepibile che “un’istituzione di rilevanza nazionale finanziata con soldi pubblici”, affidi un argomento così delicato a Veneziani che “non festeggia il 25 aprile” perché a suo dire “non è una festa inclusiva e nazionale, ma è sempre stata la festa delle bandiere rosse e del fossato d’odio tra due Italie”. Dunque un presunto reato d’opinione interdirebbe a Veneziani il diritto di andare in scena.
Ora, ragioniamo. Oltre che “un giornalista controverso”, ho scritto più di una trentina di opere, e anche sul tema ha dedicato libri pubblicati dai principali editori e curato antologie (come Anni incendiari 1909-1919). Ho portato in scena in tutta Italia un comizio d’amore all’Italia e altre cose. Fui chiamato dal Teatro a raccontare quell’anno speciale, in un modo che è apparso al pubblico appassionato quanto onesto, rispettoso dei fatti e dei personaggi, non partigiano. Non ho ricevuto dissensi di alcun tipo. Nemmeno nei passaggi più delicati, su Mussolini e su Bombacci primo leader comunista in Italia poi ucciso dai comunisti a Salò perché diventato fascista. Ma il Collettivo Attori e Intellettuali Antifascisti decreta che uno così va condannato a priori senza leggerlo né ascoltarlo. Gli va impedita la libera espressione, e soprattutto non può accedere in strutture e teatri che hanno un finanziamento pubblico. Come dire, il Teatro è Cosa Nostra, giù le mani dar valoroso palcoscenico de’ compagni.
Interpellato da Il Gazzettino Massimo Cacciari ha preso le distanze da questo cieco e rancoroso manicheismo dell’AIA: “Non mi pare proprio che Veneziani possa essere una persona non affidabile”, “non mi pare che gli si possa imputare una sorta di apologia” “Veneziani svolge con coerenza, secondo la sua impostazione di storico, le sue tesi”, e poi “ha altro a cui pensare” rispetto agli attacchi. Il presidente del Teatro Giampiero Beltotto, che già mi chiamò lo scorso anno al Teatro Goldoni di Venezia per parlare di Ezra Pound in una serata di grande successo dedicata al grande poeta, fa notare che non ci sono stati dissensi né fischi a teatro e l’anno precedente aveva aperto la stagione teatrale con un altro personaggio “divisivo” come Cacciari, ma nessuno lo ha contestato. A parti rovesciate, nessuno a “destra” o dintorni condanna a priori l’idea di chiamare sul palcoscenico non un terrorista o un pregiudicato, ma un intellettuale di sinistra. Al più critica i contenuti dopo aver visto lo spettacolo. E notando ora l’altro sciame di attacchi Beltotto aggiunge: “abbiamo commesso il peccato mortale di chiamare uno dei maggiori intellettuali italiani, Marcello Veneziani e illustri professori universitari ci hanno detto che i fascisti non devono essere invitati a fare cultura”.
Aggiungo per completare il quadro desolante l’attacco di una professoressa, senza neanche nominarla, che tira in ballo l’antisemitismo e mostra il suo disprezzo per chi ha pensieri divergenti; se volessi scendere sul suo piano dovrei dire che questa isterica demente pensa con l’utero ed esprime opinioni per via anale. Queste vicende resterebbero ridicole e autosputtantanti se non avessero un risvolto inquietante: esercitano un’intimidazione pressante per cui i teatri e affini ci pensano due volte prima di chiamare un “personaggio controverso” e trovarsi in mezzo alle polemiche. Ma questo è lo spessore etico degli haters artistici e filosofici. E questa è la sinistra antifascista, condannata a ripetersi e a contrastare col giudizio della gente. Poi si chiedono perché si sono ridotti a una setta sterile, una mafia ideologica, una casa d’intolleranza. Il teatro è Cosa Nostra. La filosofia è Cosa Nostra. Baciamo le mani, compagni.
MV, La verità 29 novembre 2019