Né servi né incapaci

Il dado è tratto, anzi è contratto. Ha la benedizione degli Antenati, Grillo e Bossi, e la conferma dei Promessi sposi, Giggino e Matteo. L’ingerenza minatoria degli eurocrati e delle vecchie zie di casa o forestiere, ha ridato fiato all’intesa tra leghisti e grillini. Ha rianimato i sentimenti antieuropei diffusi tra la gente, ha fornito un poderoso alibi alle incapacità e impotenze dei populisti e ha ridato un filo di sintonia tra Di Maio e Salvini.

Quando sento dire “meglio i barbari che i servi”, non ci sto. Un male non si assolve nel nome del male opposto; e non so se sia peggio avere al potere ignoranti o asserviti, poteri forti o cervelli deboli. Propendo per un salomonico ex-aequo, temendo pure un compromesso finale tra cinici e incapaci. Sono convinto che si legittimino a vicenda. L’avvento dei primi genera il rafforzamento dei secondi. E viceversa.

La tragedia dei nostri giorni è questa: appena senti i servi, rivaluti i barbari. E appena ascolti i barbari, rivaluti i servi. Gli assenti hanno sempre ragione. Sono i nuovi “opposti estremismi” che bloccano questo Paese e non danno scampo. Fu proprio l’ipotesi di un governo neutrale, cioè euro-tecnico, a lanciare l’ipotesi del contratto grillino-leghista. Ora il pronunciamento degli eurocrati e dei mercati li spinge a chiudere il contratto per il nuovo governo.

Sull’Europa vorrei dire un paio di coseLa prima. Non so cosa pensate della fuoruscita dall’euro oppure no, se opportuna o meno, in che termini e in che tempi, con doppia moneta o con salto triplo mortale. È una scelta che andrebbe studiata con veri esperti e politici lungimiranti e non nata o venduta in piazza, col mormorio della gente. A me non spaventa se calibrata, al di là del terrorismo che ne fanno i potentati, i mercati e i media; ma non la considero la scelta più opportuna in questa fase. Su certe cose non funziona il referendum popolare, per giunta in rete o il festival degli umori e malumori viscerali. In questo momento, con un patto fragile e una maggioranza non ampia, un’alleanza fondata su un contratto, un governo che nasce in modo così cagionevole e avventuroso non può permettersi il lusso di ridiscutere la moneta e le scelte di fondo del nostro Paese. Non ne ha la forza, l’autorevolezza, l’affidabilità. Queste cose si fanno se ci sono premier forti, maggioranze coese, linee politiche chiare, strategie lungimiranti e classi dirigenti adeguate. Niente di tutto questo vediamo davanti a noi.

La seconda. Sarebbe una follia formare un governo anti-europeo. Il problema non è sfasciare l’Europa ma ricostruirla diversamente, rivedere i presupposti e i criteri ispiratori. E non solo. Il vero problema non è scaricare sull’Europa tutti i nostri guai, anche quelli che sono made in Italy. Non si può fondare sull’antieuropeismo il proprio consenso. La questione non è attaccare l’Europa ma rilanciare l’Italia, tutelare la sua dignità e la sovranità popolare ed elettorale, politica ed economica, nazionale e culturale. E su questo tema, salvo qualche traccia in Salvini, c’è poco in questo abbozzo di governo.

Il riferimento grillino non è l’Italia, tantomeno l’amor patrio; ma una versione grottesca della democrazia diretta, scambiata per i sondaggi su piattaforma. Non c’è traccia di cultura e nemmeno di civiltà, c’è solo un rancoroso pauperismo economico fondato sull’invidia sociale e sull’odio verso qualunque classe dirigente. Questo preoccupa, anzi spaventa.

Poi ogni tanto ti lasci andare e riprendi il mantra: sospendiamo il giudizio, mettiamoli all’opera, lasciamoli fare, e se sarà il caso lasciamoli bruciare. In ogni caso resta, e doppia, la preoccupazione: che i dilettanti facciano danni irreparabili, innescando spirali da cui sarà difficile poi venirne fuori. E che possano bruciare col loro flop ogni seria e credibile revisione dei trattati europei e dei criteri finora imperanti. Traduco: il loro fallimento vistoso potrebbe consegnarci per anni alla servitù e alla peggior politica degli ultimi anni. Ma il patto tra le due coree, la Lega del Nord e i 5Stelle del Sud, marcia verso la meta.

MV, Il Tempo 16 maggio 2018

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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