Oltre la facciata

Qual è l’eredità umana che lascia Silvio Berlusconi? So che l’eredità patrimoniale da un verso, l’eredità politica dall’altro sono i temi centrali su cui sono concentrate le attenzioni di tutti. Ma bisogna pure interrogarsi su Berlusconi sul piano più personale, più intimo e più universale, oltre la facciata. L’omelia di Monsignor Delpini ha descritto perfettamente l’umanità di Berlusconi e ha espresso, con acuta delicatezza, la pietà verso i felici, gli ottimisti, gli amanti della vita. Facile e doveroso avere pietà verso gli infelici, gli sconfitti dalla vita, i depressi. Ma è più difficile avere pietà per gli ottimisti, i gaudenti, gli spacciatori di gioia, non solo ad uso personale. Perché l’ottimismo sorride alla vita, ma la vita non è eterna. Perché l’ottimismo è fondato sull’happy end e invece si sa come va a finire. Nonostante le apparenze, Berlusconi era un cattolico e un credente per ottimismo; perché non poteva e non voleva pensare che tutto finisse così; e dunque il paradiso, la vita eterna, la resurrezione – su cui tanto scherzava – erano la convinzione che la gioia continuasse anche dopo il gioco della vita, negli eterni spogliatoi del dopo-partita.
L’ottimismo è bugiardo e Berlusconi era ottimista anche in questo. L’ottimismo sposa le illusioni e le finzioni pur di non arrendersi o immalinconirsi; e Berlusconi praticava le illusioni e le finzioni. L’ottimismo è però un eccellente motore della vita, una potente energia, perché ti fa pensare che niente sia impossibile, tutto sia a portata di mano, sogni inclusi.
Berlusconi non era un capitalista come gli altri. Non era calvinista, rigoroso e cupo, non coltivava l’etica protestante, di cui scriveva Weber, anzi coltivava poco l’etica, le regole. E non era nemmeno come quei cattolici giansenisti lombardi, come fu per esempio Manzoni, o come quei pietisti austeri; non aveva tetri pensieri, non riteneva le sofferenze e i sacrifici i portali della salvezza. Aveva colto del cattolicesimo il lato b, la gioia di vivere, l’indulgenza verso i peccati, l’uso assolutorio della confessione, la bellezza della vita, delle figure, dei corpi, della luce, del sorriso. Il suo era un colossale egocentrismo ma non praticava l’avarizia, si amava anche attraverso gli altri, si piaceva facendosi piacere, donava per ricevere in cambio affetto e ammirazione. Dal punto di vista umano, Berlusconi aveva – insieme ai suoi arcinoti vizi e difetti – una generosità, un’umanità sconosciuta ai grandi capitalisti, anche i nostri più famosi, da Gianni Agnelli a Carlo De Benedetti, per fare due esempi vistosi. Che quanto a etica, lasciamo stare. E quanto a generosità non ne parliamo… E così la simpatia, l’umanità, l’affabilità. Di nessuno di loro si potrebbe dire quel che tanti hanno detto di Berlusconi, non solo i beneficiari diretti – che furono tanti- ma anche gente comune o coloro che ebbero un fugace contatto o episodio con lui. Tutti i grandi “padroni” hanno grandi armadi pieni di scheletri. Ma Berlusconi aveva accanto a quegli armadi anche altri, colmi di doni per gli altri. Si, certo, la carità non va confusa con l’elemosina, l’amore per l’umanità non è fatta di gesti magnanimi come i doni elargiti dai sovrani per grazia e per magnificenza. Ma in mancanza di apostoli e missionari della carità e l’umanità, non solo a parole, tra le figure pubbliche e imprenditoriali, almeno Berlusconi su quel piano era munifico.
Cogliendo in Berlusconi questo incessante desiderio di amare e di essere amato, pur nel suo narcisismo, di vivere in un’eterna festa, gioiosa e ricca di meraviglie di cui voleva essere protagonista e regista, donatore e animatore, l’Arcivescovo di Milano poi coglieva la sua finitudine, il mistero del compimento di una vita che alla fine si presenta al cospetto di Dio. Anche per lui, come per tutti gli altri, è necessaria la misericordia. E’ quella, la vera “livella” (Totò dixit).
Tutta la vita di B. è stata una guerra di rimozione della morte e del suo antefatto, la vecchiaia, scrivevamo l’altro giorno. Un voler cancellare, non vedere, la morte. Su questo risvolto vi racconto un piccolo episodio. Una volta, in vista del suo 75° compleanno, proposi a Berlusconi un’intervista totalmente diversa da quelle abituali. Era il tempo in cui si moltiplicavano gli attacchi per le sue storie a sfondo erotico ed io non intendevo intervistarlo per difenderlo o per incensarlo. Gli proposi con incauta ingenuità – me ne rendo conto – di parlare di ciò che lo spingeva in quella direzione. Ossia di parlare della vecchiaia che incede, di voler rimuovere la morte attraverso la festa, il gioco e il sesso; insomma di mettere in luce i moventi “umani” che lo spingevano in quella direzione, magari scusandosi di alcuni eccessi. Arrivai perfino, incautamente, a suggerirgli in una lettera, i temi che avrebbe potuto toccare, puntando sul lato umano, psicologico sulla fragilità, le tensioni di cui voleva alleggerirsi. Di solito nelle interviste ai potenti succede il contrario, è il potente a suggerire le domande o veicolarle. Berlusconi mi telefonò e con garbo respinse la mia proposta, si disse disponibile a un’intervista ampia ma di altro tipo, diciamo apologetica. Lo ringraziai ma declinai la controproposta, non mi interessava fare il portavoce, il megafono della sua linea difensiva. Non era, del resto, un’intervista giornalistica che gli proponevo. Lui rifiutava di raccontarsi senza veli, di essere il più possibile veritiero e mostrare il lato debole; perché in realtà rifiutava di mettersi di fronte alla morte, alla vecchiaia. L’unico strappo che fece fu qualche anno dopo quando pubblicò una foto del suo volto reale, vecchio, rugoso, non artefatto e liftato.
Mi ricordai in quell’occasione di un’altra sua telefonata, la prima che mi fece: non ne ebbi molte, non andai mai nelle sue case, declinai un suo invito estivo a Villa Certosa, mentre ero a due passi da lui in Sardegna. A palazzo Grazioli ci sono andato ma al piano superiore, a cena dal Principe Caravita. Era all’inizio della sua discesa in campo e io scrissi, su l’Indipendente, che al suo nascente partito mancava un’anima. Berlusconi mi rassicurò che ci stava pensando, e per darmene prova mi fece sentire in anteprima l’inno che aveva commissionato. Per lui l’anima era, o nasceva, dall’inno… non quel che hai dentro ma la capacità di catturare con la musica gli altrui sentimenti. Berlusconi amava la vita, rifuggiva la morte, e anche all’anima voleva organizzare una festa con la banda…

La Verità – 16 giugno 2023

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  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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