Perché Proietti era il simbolo de Roma

Er core de Roma. Se n’è annato er core de Roma. Gigi Proietti era il settimo re di Roma, dopo Ettore Petrolini, Fiorenzo Fiorentini, Renato Rascel, Aldo Fabrizi, Lando Fiorini, Alberto Sordi. Più una regina, Gabriella Ferri, forse Sora Lella, sorella di sangue e trippa di Re Aldo Fabrizi. Nume tutelare, Rugantino. Sovrani collaterali Nino Manfredi, Claudio Villa, Francesco Totti. Gli eredi al trono sono ora Enrico Montesano, Carlo Verdone, Enrico Brignano (Pippo Franco pur essendo romano, non esercita l’Impero Romanesco, la connotazione romanesca è in lui secondaria).

Er core de Roma è rappresentato da un comico, uomo di teatro e cabaret, gag e barzellette. Tu pensi a qualunque capitale al mondo e se devi rappresentarne lo spirito, il suo simbolo, non pensi a un attore, a un comico, a un battutista. Ma a uno statista, uno scrittore, un personaggio storico. Anche se pensi alle città italiane, se devi rappresentare lo spirito di Milano o di Torino, di Firenze o di Bologna, non pensi a un comico ma a un grande imprenditore, politico, artista, leader. Se pensi alla Sicilia, ti sovviene Pirandello o Verga, il Gattopardo o Camilleri, o il Mafioso; l’immagine della Sicilia oscilla tra letteratura e criminalità.

Forse l’unica città che compete con Roma su questo piano è Napoli; ma perfino Napoli, la briosa, spiritosa, Napoli di Totò, Eduardo e Peppino, o di Luciano De Crescenzo, la scuola comica e la sceneggiata napoletana, ha una sorte un po’ più controversa, non è così assoluta l’identificazione col versante comico come invece accade a Roma. E la poesia o la canzone napoletana hanno un registro malinconico e sentimentale che a Roma è più tenue.

Roma, la città più carica di storia al mondo, la città che ne contiene un’altra, millenaria, la Santa Sede, la città degli imperatori, dei papi, l’Urbe che parla all’Orbe, si rappresenta con Sordi, un comico. O con “Giggi” Proietti, sindaco in pectore, cioè de core. Come nelle città d’affari c’è il core business, ossia il fulcro principale di un’impresa, a Roma l’essenza della città è racchiusa ner core, senza business; versione emotiva, affettiva, con sviluppo alimentare (dal core alla coratella).

Ma non solo. Se pensi alla letteratura, Roma viene subito associata a Trilussa e a Gioacchino Belli, o se vogliamo restare nel pop, all’influencer del passato, a Pasquino, i cui blog e tweet si chiamavano pasquinate. Genere satirico, grottesco, dove la denuncia sconfina nello sberleffo; non si pensa a scrittori, poeti, filosofi, artisti. Aggiungi che Roma Capitale d’Italia, non ha mai dato all’Italia un sovrano, un capo e nemmeno un presidente della Repubblica. Perfino ai tempi del fascismo, che rilanciò il mito di Roma, non ci fu un grande personaggio storico romano. Mussolini, i suoi quadrumviri, le sue figure più rappresentative, i suoi principali ministri e gerarchi erano del nord, qualcuno del sud, quasi nessuno romano (solo Bottai). Perfino durante il fascismo il core de Roma era rappresentato da Ettore Petrolini.

Nella repubblica, invece, l’unico politico romano rimasto nella mitologia proverbiale dei romani, è Giulio Andreotti, perché fu la versione cinica, ironica e curiale dell’albertosordismo.

Tutto questo avviene in una città che dominata per secoli dal Papa Re non ha avuto grandi teatri, come Londra e Parigi, ma anche Milano e Napoli; il teatro era peccato. Esistevano si, teatri privati, ma nulla di paragonabile alla Scala o al San Carlo. Si è rifatta alla grande poi col cinema, con Cinecittà, e con i cabaret, dal Bagaglino al Puff, fino ai più recenti.

Qui trova alimento la denigrazione dei romani, soprattutto a nord, il disprezzo della loro proverbiale indolenza e del loro menefreghismo irridente, la riduzione di SPQR all’acronimo ingiurioso di Sono Pagliacci Questi Romani.

Descritta la particolarità di Roma, proviamo a chiederci il perché. E qui il discorso deve fare un salto in profondità. Roma, unica al mondo, ha oscillato tra il sacro e il comico senza mai fermarsi nel mezzo, nella serietà. Ha coltivato la santità e lo sberleffo, non l’ordinario rigore. Liturgia o fregno buffo. Grandi Chiese o Grandi Magnate. Principi illustri e morti de fame. Non a caso al tempo del Papa Re, Roma era abitata da preti e prostitute, e dai loro vertici, vescovi e magnaccia. Ha frequentato la storia e l’eternità, ora si riposa, è da secoli in pausa pranzo.

Qui è l’essenza profonda dei romuncoli, caricatura dei romani antichi, (come dopo i greci vennero i greculi), una volta rimossa la latinità e la cristianità: quello spirito cinico e beffardo, quel nichilismo pratico e sarcastico, quella visione disincantata e derisoria della vita, quel farsi scivolare tutto – impegni, compiti, lavori – che viene riassunto nella formula: Ma che me frega, nun me po’ fregà de meno. Dato per assodato che non possiamo cambiare il mondo, non facciamoci cambiare dal mondo, scansiamoci. Dal fato dei romani al fatalismo scurrile dei romaneschi. Fàmose du’spaghi o du’ risate; magnate o scherzate. Poi risale un residuo di orgoglio e sbruffoneria, derivato da una stinta e greve memoria del passato: aho, semo de Roma, c’avemo er papa, quanno che da noi staveno l’imperatori da voi c’erano li barbari. Lo spirito romano è quello, la sua chiave d’accesso è il distanziamento ironico da tutto: ma che ce frega. Anche il “me ne frego” fascista, che era motto di ardimento, sprezzo del pericolo e spavalderia, qui si trasformò in che me frega, motto disfattista e ironico, che non si cura delle cose e si adatta a tutto, al fascismo come all’antifascismo, ai cattolici come agli islamici.

Per questo Sordi o Proietti non erano solo grandi attori comici, ma sono simboli, modelli e interpreti di una tipologia diffusa nella vita romana. Il romano non vuol suscitare stima ma simpatia. Facce ride.

MV, La Verità 5 novembre 2020

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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