Roma, l’errore Capitale

virginia raggi

Ci è cascato pure Papa Bergoglio nella clamorosa svista della sindaca Virginia Raggi che celebra oggi (ieri, ndr) solennemente – per un evidente errore – i 150 anni di Roma Capitale. Il Papa manderà tramite il cardinale Parolin un messaggio alla sindaca di Roma per l’anniversario di Roma Capitale. Ci andrà invece di persona ai festeggiamenti Sergio Mattarella, con i presidenti di Camera e Senato, al concerto al teatro dell’Opera che avrà pure la diretta in Rai. In realtà il 3 febbraio di 150 anni fa c’era ancora il Papa Re e a Roma c’erano ancora le truppe di Napoleone III a salvaguardia dello stato pontificio. E vigeva ancora a Roma la condanna a morte per Garibaldi e Mazzini per la Repubblica romana di qualche anno prima… Roma diventa capitale solo l’anno seguente, il 1871.

L’errore nasce dall’aver confuso la Breccia di Porta Pia che è del 20 settembre 1870, con la promulgazione di Roma Capitale che è invece del 3 febbraio 1871. Peraltro, se si festeggiano non i 150 anni di Roma Capitale, ma la caduta dello Stato Pontificio, si riduce una festa nazionale a una festa anticlericale, come del resto coerentemente fanno ogni anno i massoni, che festeggiano il XX settembre in chiave antipapista. Al Comune, quando sono stati attaccati dal comitato per i 150 anni che ha sottolineato la svista, hanno corretto in corner dicendo che oggi cominciano i festeggiamenti per Roma Capitale (un anno prima!).

Ma passiamo dal carnevale in Campidoglio alla storia seria e cerchiamo di capire perché quell’anniversario precocemente celebrato sia davvero importante per la storia d’Italia. Con la proclamazione dello Stato Unitario, il 1861, erano stati congiunti il Nord e il Sud d’Italia in una sola Nazione; ma solo con l’annessione di Roma e col trasferimento della Capitale da Torino e poi Firenze a Roma, quella che era apparsa una conquista piemontese diventò un compiuto processo di integrazione nazionale. Approdando a Roma il Risorgimento si annodò alla storia e alle radici romane e poi cattoliche.

Con la proclamazione di Roma Capitale si gettarono le basi per unificare la coscienza civile e la coscienza religiosa del paese, lacerate dal conflitto. Col XX settembre del 1870, con la Breccia di Porta Pia e l’entrata dei bersaglieri in Roma, come ricordò il laico Giuseppe Prezzolini, anche la Chiesa si liberò dalle incombenze del potere temporale e dai limiti angusti di uno staterello. Libera dal regno pontificio, la Chiesa poté più autorevolmente esercitare il suo magistero extraterritoriale. In fondo era la tesi di Cavour riassunta nel motto Libera Chiesa in libero Stato: “Noi dobbiamo andare a Roma senza che per ciò l’indipendenza vera del pontefice venga a menomarsi. Noi dobbiamo andare a Roma senza che l’autorità civile estenda il suo potere all’ordine spirituale”. Quando era ancora cardinale, il futuro Papa Montini affermò in Campidoglio nel centenario dell’Unità d’Italia: «La Provvidenza, quasi giocando drammaticamente negli avvenimenti, tolse al papato le cure del potere temporale perché meglio potesse adempiere la sua missione spirituale nel mondo». Prima di lui, Papa Giovanni XXIII aveva benedetto la “provvidenziale” unità d’Italia con Roma sua capitale. Roma non poteva negarsi all’Italia e all’Italia non poteva mancare il suo cuore antico e universale, Roma.

È tempo di integrare a pieno titolo nella storia, nella cultura e nell’identità italiana anche la critica al Risorgimento di estrazione cattolica e meridionale, asburgica e borbonica, socialista e localista. Perché l’Italia è figlia anche di coloro che difesero le loro patrie e i regni preunitari ma contribuirono col sangue, il lavoro e l’intelligenza a fondare e riaffermare la civiltà italiana.

A ricondurre Roma al centro dell’Italia aspiravano sia i conservatori che i repubblicani, sia i massoni anticlericali che i cattolici nazionali. A Roma puntavano i garibaldini come simbolo più alto dell’Unità nazionale. In quel quadro si innestava l’ardito sogno mazziniano della Repubblica romana, animato da un fervore ideale di libertà, giustizia sociale e amor patrio.

Con lo spostamento a Roma del governo e dei ministeri, il Sud entrò di fatto nella vita pubblica e istituzionale del nostro paese: un ceto ministeriale costituito in origine dall’apparato burocratico e militare piemontese venne gradualmente sostituito da una larga affluenza di meridionali. Nasce con loro a Roma la prima borghesia di Stato costituita da dipendenti pubblici, prefetti, militari e forze dell’ordine, impiegati, insegnanti e funzionari. L’affluenza nella Capitale di italiani venuti dalle province e dal sud produsse un massiccio fenomeno migratorio che ridisegnò – anche se in modo caotico e contraddittorio – l’assetto urbanistico e civile di Roma. Dopo la Roma dei Cesari e la Roma dei Papi, nasce la Roma dello Stato unitario che si snoderà in due tappe: la Roma umbertina della belle époque, poi la Roma mussoliniana del ventennio fascista, terminata con l’Eur. Poi verrà la Roma democristiana e palazzinara del boom economico.

Con Roma Capitale l’Italia visse nell’arco di un secolo un processo di sviluppo e di modernizzazione senza precedenti: dall’istruzione di massa in un paese largamente analfabeta alla crescita economica e sociale del Paese allora rurale; dalla partecipazione democratica di popolazioni tenute fuori per secoli dalla vita pubblica all’integrazione di gruppi, ceti, regioni, culture diverse in una stessa prospettiva statale e nazionale. L’Italia passò nel giro di pochi decenni da paese agricolo a uno dei paesi più industrializzati del mondo.

Le sacche di privilegi, parassitismo e malaffare cresciute all’ombra dello Stato centrale e della Roma ministeriale sono più frutto recente che prodotto storico, riguardano gli ultimi decenni e non investono l’intera storia dello Stato unitario. Roma Capitale diventa il perno insostituibile dell’identità italiana, il suo necessario coagulo e punto d’incontro tra Nord e Sud, tra anima rurale e anima industriale, tra religione e cittadinanza, tra Europa continentale e Mediterraneo. In negativo diventerà il crocevia di ogni compromesso, corruzione, malgoverno e scambio clientelare.

Il canto del cigno di Roma furono le Olimpiadi nel 1960; la città era già nelle mani della speculazione edilizia: brutte periferie s’ingrossavano a vista d’occhio, ma c’era ancora la magia di Roma, la leggenda della sua dolce vita.

Che ne è oggi della Capitale? A camminare per Roma hai solo la percezione di rovine, non solo antiche ma anche recenti, anzi contemporanee. Basta vedere i sampietrini sconnessi, le strade malamente rattoppate, i muri imbrattati, gli alberi caduti e i bivacchi di barboni, per non dire dell’immondizia, lo smog e il traffico, gli autobus in fiamme e le stazioni metro chiuse. Una capitale precipitata in un buco nero che risucchia l’Italia intera. E infatti per l’apertura dei festeggiamenti di Roma Capitale, oggi a Roma i mezzi di trasporto sono bloccati da uno sciopero; degno modo di celebrare Roma. Si andrà a piedi e magari la Raggi dirà che lo faranno apposta per ricordare i bersaglieri che a piedi entrarono dalla breccia di Porta Pia.

MV, La Verità 3 febbraio 2020

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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