Roma, l’Italia e la Chiesa, dieci anni in retromarcia

Per molto tempo il XX settembre è stata la festa pubblica dei massoni. Uscivano allo scoperto con i manifesti della Loggia, si palesavano non tanto per la ricorrenza patriottica quanto per la ricorrenza anticlericale. E con loro l’Italia anticlericale e anticattolica celebrava la sconfitta della Chiesa e del suo potere temporale. Pochi ma fieri cattolici papalini, come il Principe Sforza Ruspoli, organizzavano invece per quella data una messa solenne per riparare sul piano liturgico e spirituale all’atto sacrilego; la Curia romana si teneva alla larga da entrambe le cerimonie pro e contro la breccia di Porta Pia; preferiva il dolente distacco o l’indifferenza.

Dieci anni fa, presiedendo il comitato storico per Roma Capitale voluto dal sindaco Gianni Alemanno, proposi di spiazzare queste cerimonie antagoniste, organizzando un XX settembre davvero unitario, anzi ecumenico, istituzionale, in cui i massimi esponenti dello Stato italiano, di Roma e della Chiesa Cattolica confluivano a Porta Pia per ricordare insieme quella data. Una data che per l’Italia si traduce in Roma Capitale e dunque in compimento dell’unità nazionale, e per la Chiesa si poteva tradurre in liberazione dal potere temporale e ritorno alla pienezza universale e spirituale della sua missione, senza staterelli pontifici di mezzo. Dunque positiva da ambo i versanti anche se evocava una lacerazione e un conflitto. Era un modo per restituire simbolicamente Roma alla sua tradizione cattolica senza toglierla all’Italia e allo Stato unitario, anzi facendo coincidere la sua identità civile e nazionale con la sua identità religiosa e cattolica. Un modo per ricucire le ferite della storia. Un’iniziativa che mezzo secolo di potere democristiano non aveva mai preso neanche in considerazione. Manco un Andreotti…

Proposi che l’iniziativa coinvolgesse i massimi esponenti della Chiesa e dello Stato, dal Papa Benedetto XVI al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L’evento fu realizzato, al posto del Pontefice intervenne alla cerimonia il segretario di Stato vaticano, cardinal Bertone, insieme alle massime autorità pubbliche. Paolo Mieli giorni fa ricordava sul Corriere della sera che quel 19 settembre di dieci anni fa era stato in effetti il primo atto ufficiale della Chiesa di riconoscere il XX settembre 1870 e quel che ne segue, ben oltre il Concordato del 1929 e le dichiarazioni dei pontefici italiani in favore dell’Italia unita. Organizzammo una grande mostra sulle radici dell’identità nazionale che inaugurò Napolitano, pubblicammo il catalogo, facemmo un convegno in Campidoglio e in altre sedi, ad alto livello, ma nel silenzio assordante dei media perché la matrice dell’iniziativa non era conforme al potere mediatico-culturale e politico-ideologico vigente.

Sono passati solo dieci anni eppure tutto ci sembra così lontano, così anacronistico, così surreale. La Chiesa che si occupa di Roma e della sua storia, ma figurarsi; l’Italia che ricorda i suoi eventi più significativi e istituisce eventi che non siano in tema di antifascismo; il Comune di Roma che solleva lo sguardo dalle buche, dai topi e dai monopattini e rievoca le sue storiche svolte. Vi immaginate Papa Bergoglio alle prese con questi temi, ma anche Mattarella che si occupa di temi storici oltre i soliti canonici del secolo scorso, o addirittura Virginia Raggi che pensa alla storia di Roma capitale e alla civiltà cattolica? Pensate che i protagonisti dell’era grillina, trasformista, bergogliana, euro-sinistra si possano occupare di un evento storico che non riguarda l’accoglienza, le varie omotransislamofobie, o l’antifascismo ma la storia civile e religiosa d’Italia e di Roma?

Cosa è successo nel frattempo, come si è ulteriormente accelerata la triplice decadenza di una Capitale, di uno Stato-Nazione, della civiltà cristiana, se un anniversario importante come questo, un centocinquantenario, non merita nessuna speciale attenzione e non sfiora nemmeno di striscio il popolo romano e italiano?

Eppure dieci anni fa non eravamo un Paese redento e pacificato, una nazione in forma che coltivava la sua memoria storica e la sua identità, con una classe politica degna e inappuntabile e un rapporto fiorente con le nostre matrici storiche, civili e religiose. Avvertivamo la crisi internazionale e finanziaria, cresceva il degrado, la scristianizzazione e la snazionalizzazione del nostro paese, Roma aveva i suoi mille acciacchi, la smemoratezza, l’oblio e i “che me frega?” erano assai diffusi. Ma c’era ancora aspettativa di vita e di futuro, c’era più reattività e più iniziativa e c’era ancora un briciolo di considerazione del nostro passato, non ci eravamo definitivamente arresi alla miseria dei redditi di cittadinanza, dei fondi elemosinati, delle scuole a rotelle, dei tamponi seriali e dei lockdown mentali. Non era ancora scesa nella nostra mente una specie di mascherina totale, simile a una cataratta.

Cosa è successo se nel frattempo tutto è precipitato al punto che nemmeno si pongono queste aperture o questi conti con la storia, vengono considerate quasi temi dell’assurdo, fuori luogo e fuori tempo? Un paese si sta sfarinando non solo a causa di una pandemia; dall’antipolitica è passato all’antimateria, è entrato in un buco nero da cui non sa più come risalire. Ricoveri, sussidi, tamponi, squallori, più tanto odio, tanta paura, e su ogni altro tema il deserto. Dalla breccia di Porta Pia non entra più nessuno, neanche i ricordi, in compenso da quella breccia escono in molti, quasi un fuggi fuggi generale.

MV, La Verità 20 settembre 2020

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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