Un Parlamento malato sin dall’inizio

“Il mestiere di deputato a farlo con coscienza, è un mestiere da rendere ebete l’uomo più svegliato, a capo di tre anni”. Questo caustico giudizio di Ferdinando Petruccelli della Gattina, deputato lucano del Regio Parlamento italiano, è l’epigrafe più impietosa che dà ragione a un secolo e mezzo di antiparlamentarismo.
Mussolini fu persino più moderato di Petruccelli definendo il Parlamento “un’aula sorda e grigia” anziché una fabbrica di ebeti; e dà ragione a chi di recente ha definito inutili gran parte dei nostri parlamentari ridotti solo a “pianisti” di bottoni o voltagabbana.
Una democrazia “digitale” considerando che la sovranità del popolo italiano viene oggi esercitata solo attraverso il dito dei nostri rappresentanti; anche se ormai, senza il voto di preferenza, è difficile definire gli attuali parlamentari come rappresentanti dei cittadini e del territorio.
Sono nominati, non eletti.
Il curioso e ironico ritratto di Petruccelli della classe politica italiana all’indomani dell’Unità d’Italia nel primo parlamento italiano nel suo libro I moribondi del Palazzo Carignano, dimostra che l’antipolitica è nata insieme alla politica, una specie di gemellaggio che ricorda quello di Romolo e Remo alla fondazione della città. Il testo di Petruccelli si può definire il primo saggio contro la casta, scritto da uno che vi era dentro, anche isolato, al punto da definirsi “il solo repubblicano” presente nel Parlamento regio.
L’assenteismo, la riduzione del parlamentare a burattino, i clan e i privilegi, traspaiono già nel Parlamento torinese, in cui tuttavia era ancora forte l’impronta etica, il senso dell’onorabilità e della dignità.
Petruccelli descrive anche una malattia attualissima: l’attrazione fatale verso il centro, soprattutto per quel che riguarda i meridionali, i napoletani in testa. Si parla pure di federalismo e di regioni con Minghetti, esponente della destra storica; ma il savio parlamento dell’epoca, napoleonico e centralista, non volle saperne.
Meglio i prefetti che i governatori. Si rivelò purtroppo verissima la profezia di Petruccelli, quando dice che la perdita di Cavour “nelle circostanze attuali, sarebbe per l’Italia una sventura irreparabile”. Così fu, e non solo per quel tempo.
Curioso l’arcipelago della sinistra, descritta da Petruccelli come una miriade di gruppettini e gruppettari, un vero caos, su cui torreggia la figura di Garibaldi. Dure le pagine dedicate alle consorterie napoletane che considerano la cosa pubblica come affare di famiglia.
Il libro termina con l’invocazione dello scioglimento anticipato delle Camere perché è rotta l’armonia. E anche questo appello sembra attinto da cronache presenti del parlamento repubblicano. Senza il Re e i notabili del suo tempo, la musica non è cambiata, anzi. È il ritratto di un Parlamento così antico da sembrare appena insediato, abitato da moribondi ancora troppo vivi nei loro eredi e cloni.
(brani dalla prefazione di MV a I moribondi di Palazzo Carignano)