Virus, fascismo e libertà

“Me ne frego del virus” è il nuovo motto dei fascisti del terzo millennio? È il covid il nome d’arte dell’attuale globalizzazione repressiva contro cui insorgono gli outsider, i ribelli, gli anarco-fascisti? Non si tratta solo di una sfida al coronavirus ma a tutto quello che evoca la pandemia. La dittatura sanitaria imposta ovunque, il totalitarismo della vigilanza che ha minato la democrazia e la libertà, il modello comunista cinese esportato in Occidente dopo aver esportato anche il virus; il globalismo ospedaliero promosso dalle agenzie global come l’Organizzazione mondiale della sanità, il ruolo di Big Pharma con le multinazionali dei farmaci e il business dei vaccini; il capitalismo della sorveglianza e della terapia obbligata; i governi come il nostro che reggono sulla paura del contagio. I simboli concreti della restrizione che sono la mascherina, il distanziamento sociale, l’ossessione dell’igiene, l’amuchina e la disinfezione continua, il terrorismo della salute.

Si è creato un vero e proprio sistema ideologico-sanitario che somiglia a una cintura di castità globale, o se preferite un cordone sanitario-ideologico con risvolti polizieschi e ospedalieri e un giro di interessi giganteschi, contro cui insorge una specie di fascismo libertario. Usiamo questo ossimoro apparente, coniato diversi anni fa da Giorgio Pisanò per designare un suo movimento, Fascismo e libertà, perché in effetti confluiscono due atteggiamenti all’apparenza opposti. Da una parte lo spirito libertario, la voglia di liberarsi di camicie di forza e maschere di ferro, museruole e bavagli, regole asfissianti e paure paralizzanti. Ma dall’altra insorge anche qualcosa che evoca lo spirito degli arditi in guerra e la spavalderia fascista di fronte al rischio, lo sprezzo del pericolo, la rivendicazione del viso scoperto, la morte in faccia, coraggio virile contro paura virale. Da qui dunque l’idea che esista nell’aria un atteggiamento vagamente fascio-libertario o anarco-fascista che un dannunziano come Vittorio Sgarbi, meglio di altri esponenti più politicizzati, ha rappresentato col suo stile d’avanguardia artistica, il suo connaturato esibizionismo teatrale e il suo linguaggio franco, torrenziale e irriverente.

L’accettazione del rischio, il rifiuto della regola, il disprezzo per la paura e per l’ordine sanitario, l’inaccettabilità di seguire le norme e le procedure, la vivace dietrologia, più o meno complottista che ne fa da contorno: questo è il succo del fascio-estetismo anti-virus. E, se vogliamo, un certo sovrumanismo nietzscheano: il superuomo potrà accettare l’idea del distanziamento sociale magari nel nome del liebe der ferne più che per l’imposizione governativa. Ma reputerà inaccettabile farsi mettere il bavaglio, la museruola e soprattutto conformarsi al gregge vigliacco degli “ultimi uomini”…

Si tratta di atteggiamenti, a volte pose estetiche più che politiche, che possono dar luogo a stili di vita non certo a movimenti rivoluzionari o reazionari. Oltre le frange estreme e un po’ infantili c’è il disagio reale, diffuso nelle popolazioni.

Ma è bastato l’affiorare nella società di questi atteggiamenti per scatenare intellettuali e media allineati al regime dell’informazione e lanciare una nuova caccia al fascista post-covid. Stavolta però il “fascista” in questione è anomalo, contraddice gli stereotipi: non è nemico dello straniero o del migrante ma è nemico delle restrizioni, dei sistemi totalitari, seppure su base sanitaria. Non vuole la guerra semmai la liberazione, detesta le uniformi, preferisce vivere in libertà… Il fascio-libertario non vuole imporre una dittatura ma al contrario intende avversarla; non chiede olio di ricino e manganello ma l’opposto, la libertà di pensarla in modo diverso su virus e vaccini e di vivere senza obblighi ossessivi e ordinamenti da caserma, o da ospedale militare. Per combattere il covid-19 è insorto allo stato sfuso, liquido, una specie di fascismo diciannovista, radicale e anarco-libertario.

Sono state subito applicate le categorie demonizzatrici solitamente usate per criminalizzare i sovranisti e ridurli al nazifascismo: i suddetti obiettori di virus sono stati infatti subito definiti negazionisti, come quelli della Shoah, oltre che eversivi, irresponsabili, incoscienti e socialmente pericolosi. C’è pure chi ha definito fascista il covid stesso, perché spietato con i più deboli, i più indifesi e i più poveri. È la tesi di Donatella di Cesare che ha aggiunto un’altra sciocchezza alle sue tesi, frutto di nota acidità mentale: ha accusato il coronavirus di aggirare i muri patriottici e “le boriose frontiere dei sovranisti”. A parte il fatto che non dovrebbe esultare se il covid, come lei, è internazionalista. Ma se un effetto ha prodotto il virus è l’esatto contrario di quello che sostiene l’emerita fasciofoba: il virus ha fatto chiudere le frontiere, innalzare muri, cordoni e confini, evitare ogni contaminazione. Stiamo subendo al contrario una forma imprevista di sovranismo sanitario… Ma quando si è accecati dal livore ideologico si attribuisce al Nemico Assoluto tutto e il suo contrario, virus incluso.

Tornando invece alla realtà ritroviamo il regime di vigilanza e divieti, la sospensione delle libertà e dei diritti, gli obblighi vigenti o annunciati, il primato assoluto della vita biologica sulla dignità della vita, il rischio di rendere perdurante, cronico, se non permanente, questo regime di emergenza e questo stato d’eccezione. In realtà non si tratta di respingere le necessarie norme sanitarie – osservare l’igiene, usare le protezioni, disinfettarsi, rispettare il distanziamento sociale, evitare luoghi affollati – semmai di contestare un modello ideologico, etico e politico che si impone nel mondo attraverso l’alibi sanitario e la difesa prioritaria della salute. Il quadro è assai preoccupante anche perché duraturo, e la reazione a questo stato di cose non si può liquidare col puerile negazionismo della malattia e della terapia, che riguarda solo alcune frange. La paura di morire non può impedirci di vivere.

MV, Il Borghese, ottobre (2020)

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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