Cos’è la destra, cos’è la sinistra
Nella coalizione di governo solo Fdl e Lega continuano a perseguire la missione storica di difesa della tradizione. FI è più vicina al modello Usa. Sul fronte opposto invece sono in crisi perché hanno sostituito l’anticapitalismo con l’antifascismo”. Parla Marcello Veneziani
COLLOQUIO CON MARCELLO VENEZIANI DI MARTA VIGNERI
- “Che cos’è la destra, cos’è la sinistra”, oggi?
«Sono due concetti logorati dalla storia e difficilmente praticabili nella nostra società. Ma credo che quello che resta di fondamentale sia che la destra ha un perno del suo pensiero e della sua visione nella tradizione, la sinistra nell’emancipazione, nell’idea della liberazione dei popoli. Credo che sia la prima sostanziale differenza, fermo restando la difficile praticabilità delle categorie politiche».
- Alla luce di questa definizione sembra che la destra stia riuscendo meglio nella difesa dei suoi valori storici.
«La destra ha un vantaggio: ha sempre espresso una maggiore sensibilità alla realtà, è più realista rispetto alla sinistra, che ha la tendenza ad immaginare quello che non c’è. In questo momento particolare la destra appare più in forma, almeno sul piano dei concetti. Le è più facile enunciare concetti coerenti con la sua identità, come appunto la tradizione e la salvaguardia delle radici. Vedremo sul piano dei fatti cosa accadrà, e cosa realizzerà veramente con l’esperienza di governo».
- Sul piano dei fatti la maggioranza di destra è già spaccata su molte questioni.
«Nella pratica corrente bisogna usare la mediazione, i grandi concetti non servono. Bisogna aggiungere poi che stiamo parlando di un’alleanza in cui la destra è rappresentata solo da Fratelli d’Italia e in parte dalla Lega. Il berlusconismo rappresenta un’altra cosa, una realtà moderata che prende voti a destra ma la cui natura è quella di essere partito liberale moderato non facilmente coincidente con i valori della destra».
- Può fare un esempio?
«Se vogliamo mantenerci sul piano dei principi, Forza Italia da partito di massa, com’era un tempo, ha sposato un impianto individualista, legato all’idea del mercato: una visione vicina al modello no. La destra è diversa, ha una visione più comunitaria, legata a principi più radicati nell’identità nazionale, con una presenza più significativa dello Stato rispetto al mercato. Ci sono queste differenze di fondo».
- Perché la sinistra non riesce a promuovere la giustizia sociale?
«Strada facendo la sinistra ha perduto il suo impianto originario, che era la critica e la condanna del sistema capitalistico, il primato dei deboli, degli oppressi e degli sfruttati. È diventata una forza radical borghese che alle battaglie degli operai e del proletariato ha sostituito quelle per i diritti civili. Alla sensibilità che la collegava alle masse popolari italiane, il cosiddetto nazional popolare di cui parlava Gramsci, ha sostituito una visione che guarda al piano internazionale imperniato sui migranti. Infine ha sostituito l’anticapitalismo con l’antifascismo, non potendo più trovare il suo nemico nel capitale, di cui è diventato alleato».
- Ma la sinistra non ha mai abbandonato l’antifascismo.
«Ci sono state fasi e fasi. Nelle lotte operaie del comunismo il nemico era il capitale, di cui il fascismo era considerato il braccio armato, ma aveva una funzione subalterna rispetto al capitale. Oggi è sparito ogni elemento critico al capitale ed è rimasto l’antifascismo».
- Oggi chi difende gli ultimi?
«Piccole realtà anche contraddittorie, movimenti civili e sociali, associazioni solidaristiche oppure frange legate all’idea di comunismo. Ma è poco presente nella società italiana la sensibilità a questi temi, motivo per cui il voto proletario si sposta su Lega, Fratelli d’Italia o Movimento 5 Stelle».
- Per Fratelli d’Italia esiste un’idea di felicità?
«L’idea della felicità indotta da un legame pubblico non fa parte dell’orizzonte culturale della destra, e questo può essere un altro degli elementi di distinzione tra destra e sinistra. La sinistra crede ancora possibile – in virtù del ’68 o di altri principi – ottenere una felicità pubblica grazie allo Stato che accoglie le istanze dei cittadini. Per la destra la felicità è un fatto personale che non deriva dalla politica. La politica deve pensare a governare bene, dando sicurezza e ordine, ma la felicità non c’entra».
- Perché quella per l’autonomia regionale è una battaglia di destra?
«In realtà l’autonomia regionale è un corpo estraneo alla destra, legato all’impianto federalista che ha avuto la Lega. Credo che l’impianto della destra sia votato più a una visione che crede nella centralità dello Stato. Il modello ideale della destra resta quello delle 100 province italiane, o delle prefetture che rispondono a uno Stato centrale, ma non delle regioni autonome. L’idea dell’autonomia è arrivata col tempo rispetto ad alcune parti del nord d’Italia, infatti l’unico modo che hanno per renderla più digeribile è di associarla al presidenzialismo, all’elezione diretta del presidente della Repubblica o del Consiglio, un tema tradizionalmente di destra che garantisce unità, e parallelamente dare spazio di autonomia alle Regioni. Ma storicamente la destra è sempre stata contraria all’autonomia, persino alle Regioni».
Tpi, 27 gennaio 2023