Marcello Veneziani: “Il pensiero è come la banana di Cattelan, appiccicata nel vuoto”
Intervista di Federica Fantozzi per Huffington Post
Intervista con l’autore di Senza eredi (Marsilio), sulla scomparsa di maestri e allievi e sulla necessità di un pensiero neonato che salvi i primi e metta al mondo i secondi. Settantaquattro ritratti indispensabili
Nessun dubbio né stupore, nessun sapere di non sapere, solo acqua e vento e oblio. Nella società contemporanea dei self made men, dei “trovatelli”, dei borghi spopolati e della denatalità, dell’isolamento senza argini, l’unica promessa mantenuta è quella del nichilismo. In questo contesto crepuscolare Macello Veneziani nel suo ultimo libro Senza eredi – Ritratti di maestri veri, presunti e controversi in un’epoca che li cancella (Marsilio) compone i profili di una settantina di “saggi” – “Non tutti ammirevoli, non tutti amabili” premette – in cerca della strada per ribellarsi a un destino che appare ineluttabile. Da Pascal a Vico, da Leopardi a Manzoni, da Baudelaire a Nietzsche e D’Annunzio, da Proust a Kafka, da Vattimo a Ratzinger. Nomi noti e altri inattesi per offrire una chiave di lettura agli antipodi di Wikipedia.
Lei scrive: non siamo eredi e non lasciamo eredi, siamo tutti contemporanei al massimo coinquilini. Una società parricida e infanticida. Non lasceremo tracce, tutto sarà portato via dal diluvio. Viviamo in un restyling continuo, nell’assenza di valori e saperi e linguaggio comuni. Da dove e come nasce un libro così pessimista?
È quel che sta succedendo realmente nella nostra società e solo una denuncia forte può tentare di svegliarci dal sonno dell’automatismo inconsapevole con cui sta avvenendo. Nel libro non ci sono solo quelle constatazioni, c’è anche altro: il tentativo di incuriosire sugli autori e i temi trattati e la necessità di un pensiero “neonato”.
Non ci sono più maestri perché non ci sono più discepoli, o è il contrario?
Naturalmente è un circolo, una società senza maestri diventa inevitabilmente società senza eredi; ma il primo atto fu il rigetto dei maestri e la convinzione della propria autosufficienza.
Se oggi l’unico valore è quello commerciale – anche per opere del pensiero come gli archivi discografici e cinematografici – e “l’eredità finisce dal notaio”, non c’è soluzione all’isolamento e all’autoreferenzialità. È il fallimento di famiglia, scuola, patria?
È il fallimento dei luoghi in cui si forma l’educazione, la coscienza civile e culturale, l’autorevolezza dei maestri. Direi a partire dalla famiglia, dalla scuola e dai mass media. Si spezza il principio di connessione su cui è fondata ogni cultura, ogni tradizione, ogni civiltà.
Neanche nel campo letterario – lei scrive – esistono più i “venerati maestri”, ma nemmeno le critiche e tantomeno le stroncature: solo marchette, pregiudizi o anticipazioni. Davvero “del contenuto parla solo l’autore nel trionfo dell’autarchia che sconfina nel solipsismo”? Neppure la lettura, un piacere a costo contenuto, possiede più gli anticorpi per durare?
La lettura è affidata alla virtù e alla passione solitaria del lettore; la recensione critica è sparita tra adulazione, amichettismo e cancellazione a priori di autori e temi sgraditi. L’anticipazione del testo sostituisce l’analisi del testo, l’attenzione e la pazienza di leggere e interpretare. Così finisce la civiltà letteraria e i pensieri sono come la banana di Cattelan, appiccicata nel vuoto.
Lei contrappone la solitudine all’isolamento, anche collettivo – sentirsi soli in compagnia. La monade versus lo sciame che diventa branco, gregge, salottino o circoletto. Ma a nuotare controcorrente prima o poi si annega: di chi è la colpa di questa condizione?
La solitudine può essere una scelta, l’isolamento è una condanna; nella solitudine puoi conquistare una distanza critica che non ti separa dalla comunità; l’isolamento è la perdita del mondo, del contesto. È solipsismo, narcisismo malato.
Tra i 74 maestri ci sono Mazzini, Leopardi, Verga. Croce, Gentile, Enza Pound. Trilussa, Evola. Poi Camilleri e De Crescenzo: sud e letteratura pop. Massimo Cacciari, Roberto Calasso. Come li ha scelti e a volte abbinati?
Non c’è un criterio se non il libero cammino di un lettore “vorace”, e questi ritratti proseguono i cento “imperdonabili” raccolti in un precedente volume. Il filo conduttore è il punto di vista dell’autore e la convinzione che stiamo perdendo il rapporto vitale con i maestri.
Ci sono Bocca e poi Pansa come storici revisionisti del fascismo. Dugin il teorico del sovranismo populista e dell’Eurasia. Miglio, l’ideologo del federalismo bossiano. Toni Negri, meno cattivo maestro di Marx e Lenin. Cesare De Micheli, editore e talent scout. Che cosa vuole premiare: l’anticonformismo? L’introspezione? La passione?
Provo a raccontare e leggere autori diversi che ebbero o hanno punti di vista inconsueti o controcorrente. A volte il loro punto d’attrazione è l’anticonformismo, a volte la capacità di suscitare passioni. Si trovano anche autori inattesi, e tra tanti nomi noti anche alcuni sconosciuti, da scoprire. Di ognuno si dà una chiave di lettura solitamente inedita, originale, qualcosa di molto diverso da un bignami o una voce di Wikipedia.
C’è la rivalità tra Scalfari, “Papa laico, grande giornalista e grandissimo impresario di giornali”, e Montanelli, “solista della penna e misantropo nella vita”. Ritratti vividi e taglienti: “Indro venne a patti con il mondo ma se ne tenne alla larga, Eugenio lo frequentò e pretese di guidarlo”. Esiste ancora il giornalismo?
Certamente vive una fase discendente, priva di grandi direttori e grandi firme; destino inevitabile nell’era dei social, dei lettori autarchici e dei lettori di quotidiani solo over 50. Naturalmente è una tendenza generale ma poi esistono fenomeni in controtendenza, anche se si tratta spesso di nicchie.
Può ancora esistere un “pensiero nuovo” o rimarrà solo l’intelligenza artificiale?
L’intelligenza artificiale è oggi l’erede universale di ogni sapere, ridotto però a magazzino dati, cioè eredità stoccate, devitalizzate. Necessario a questo punto tentare la scommessa più ardua: un pensiero nuovo, anzi neonato – che pure nasce da due genitori e porta con sé una lunga eredità – come non accade più da decenni. Si tratta insomma di mettere in salvo i maestri e di mettere al mondo gli eredi.